Un Referendum con incognite le ragioni del «Sì» e del «No»
Verso la consultazione popolare in ordine sparso. Il risultato determinerà le linee guida del Governo
L’incertezza regna sovrana. Sull’esito del referendum costituzionale, che inciderà o no sulle modifiche alla Carta previste dalla riforma Renzi-Boschi, dopo l’approvazione parlamentare e la richiesta di oltre 500mila firmatari per il SI. Così come previsto dall’iter, in caso di approvazione in aula senza la necessaria maggioranza qualificata. Incertezza sulla data (dipenderà dal giudizio della Corte sulla correttezza delle firme e della richiesta), che deve essere stabilita tra il 50° e il 70° giorno dalla data di indizione. Solo apparentemente è una tecnicalità, visto che molti per il Sì vorrebbero spostare il giorno, per avere più tempo per spiegare nel merito i contenuti e – soprattutto – per recuperare i sostenitori del «SI, se…», che accetterebbero (senza grandi entusiasmi) il plauso alle riforme solo a patto di un cambiamento radicale dell’Italicum. Ma, oltre al consenso politico, rischia di mancare per questo obiettivo anche il tempo.
Incertezza, quindi, soprattutto sul risultato finale, che alcuni sondaggi di metà luglio vedono attestarsi su un sostanziale pareggio, con un leggero prevalere del SI, all’aumentare (sempre molto lento) del fronte di chi decide di non astenersi. Tutto può ancora cambiare, dopo la sempre calda ripresa settembrina.
Sembra invece consolidarsi il quadro delle posizioni delle forze politiche. Il Pd, diviso al suo interno, ha una forte maggioranza (non solo di renziani in senso stretto) che si pronuncia per il SI e una minoranza ancora fredda e distinta, al suo interno, tra chi non vuole sentire neppure parlare di un sostegno di partito (appello per il NO, e non solo di D’Alema & c.), e chi è disposto per il Sì, ma solo dopo una sostanziosa modifica della legge elettorale (uninominale secco o a due turni, o cancellazione del premio di maggioranza, o, al limite, attribuito alla coalizione e non al partito vincente).
Il resto è una sorta di giudizio (più o meno velato) pro o contro il governo di Renzi, che questa riforma ha fortemente voluto, ma che con un marcato accento sulla sua indisponibilità a continuare la leadership di governo in caso di sconfitta, ha di fatto attirato tutti i malumori delle opposizioni (e non solo di esse) che vogliono semplicemente «mandare a casa» l’esecutivo. Punto e basta. A prescindere dalla necessità di eliminare il bicameralismo che (in modo egualitario e perfetto) attribuisce al momento lo stesso ruolo alle due Camere, con evidenti rallentamenti della produttività legislativa; a prescindere dall’attuale confusione dei compiti legislativi tra Regioni e Stato; a prescindere dalla verità se nel rapporto esecutivo/legislativo si premia, secondo gli avversari della riforma, il primo a discapito del secondo. A prescindere dalle positive novità introdotte sullo stesso istituto del referendum e sull’iniziativa popolare di legge. Senza tener conto, sia detto per inciso, delle conseguenze politiche e istituzionali di una soluzione del genere in un momento internazionale così travagliato come quello che stiamo vivendo.
Non mancano buoni pezzi della società civile che si mobilitano per far riflettere sulle singole questioni. Associazioni come Acli e Azione Cattolica, Città dell’uomo, Agire politicamente o Rosa Bianca (vedi www.c3dem.it), solo per citarne alcune, hanno prodotto documenti e attivato incontri per aiutare nel «discernimento» sui contenuti specifici, con pacatezza e ragionevolezza, ampliando il più possibile il confronto e lasciando ai singoli la scelta finale. E’ «l’importanza di generare processi», ha scritto di recente Matteo Trufelli, presidente dell’Ac.
Ma ci sono anche numerosi appelli del multiforme e assai variegato arcipelago dei Comitati per il NO a schierarsi a «difesa della Costituzione» e della «democrazia minacciata», fino agli ultimi che invitano il Governo ad «astenersi dalla lotta» o a «regalare una Costituzione ai propri figli», nell’idea di trasmettere i valori della Resistenza, o di «adottare» un articolo con un finanziamento di 1000 euro per ciascuno dei 139 che ne formano il testo, al fine di finanziare la campagna. Senza tema di essere contestato: le critiche ci possono essere, perché no, e la discussione non può che essere positiva. Ma credo che un clima da battaglia campale, apocalittico, da fine dell’Italia democratica e civile, non faccia il bene né della buona politica, né della stessa Costituzione. Le vacanze e il meritato riposo aiuteranno a portare consiglio?
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