Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria
Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione
Il valore delle parole, il significato delle notizie: è in questi termini l’obiettivo che si propone l’iniziativa della diocesi di Torino attraverso il «master» in comunicazione del linguaggio religioso. L’iniziativa, presentata dall’arcivescovo nella conferenza stampa di mercoledì, non è un corso accademico ma piuttosto il tentativo di contribuire ad arricchire il dialogo fra chi fa comunicazione e il mondo articolato della Chiesa, i suoi linguaggi; un tentativo ad ampio raggio, che intende raggiungere sia gli operatori della comunicazione che i giovani gli educatori. L’idea venne lanciata da mons. Nosiglia nello scorso anno e trova ora un primo abbozzo di realizzazione.
Il «master» propone una serie di attività nuove e va ad innervare corsi già avviati: è un «cappello» attraverso cui coordinare e tenere in contatto mondi che si occupano tutti di comunicazione ma che, fino ad ora, non si erano mai parlati direttamente. Ecco in dettaglio.
Si comincia sabato 20 al Circolo della Stampa per un incontro riservato ai giornalisti iscritti all’Ordine. Nella conferenza stampa di mercoledì l’arcivescovo ha esposto le idee e gli obiettivi del master: «Un giornalista cristiano o comunque professionalmente onesto sa che la sua professione risponde a criteri, anche etici e spirituali, che ne qualificano lo svolgimento sotto il profilo non solo delle competenze acquisite, ma anche sul piano dei valori da accogliere e vivere secondo un codice che regola le finalità e le modalità stesse del proprio lavoro». C’è un serpente che si morde la coda, ha osservato mons. Nosiglia: l’informazione insegue i gusti del pubblico, che per altro sono condizionati dai messaggi dominanti nella comunicazione. E la grande diffusione dei social ha allargato e approfondito queste problematiche, riaprendo anche la questione delle «fake news» e dunque della manipolazione, occulta e palese, delle informazioni come delle opinioni. Di qui la necessità, per l’arcivescovo di Torino, di riflettere insieme, anche nell’ambito locale della comunità cristiana e del territorio torinese, sui linguaggi che ci guidano, e su come fare in modo che sulle nostre strade si incrocino la verità dei fatti e il rispetto della dignità delle persone.
Alle attività propriamente «didattiche» del master l’arcivescovo intende fra seguire incontri personali con giornalisti e operatori della comunicazione, proprio per cementare i legami di conoscenza, e di «cordialità» tra il mondo della Chiesa e quello dei media.
Il programma si apre con l’intervento del prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che propone due incontri: uno pubblico, aperto alla cittadinanza, venerdì 19 alle 18 sul tema «Periferie: realtà globale e sfida per il futuro»; il secondo incontro è riservato ai giornalisti iscritti all’Ordine e si tiene sabato 20 alle 9. Tema: «Comunicazione e globalizzazione. Le visioni di Zygmunt Bauman e Papa Francesco». L’obiettivo è di inquadrare i problemi etici e deontologici della professione oggi nel quadro più complessivo delle sfide che, a livello mondiale, sulla comunicazione si giocano. Segue, nella mattinata, un tempo di dibattito.
Un secondo momento del master è il corso di Comunicazioni di massa già attivo presso la Facoltà teologica di Torino come specializzazione biennale, che da quest’anno si coordina anche, dal punto di vista scientifico, con le attività dell’Università Cattolica di Milano. Don Pier Davide Guenzi, di Novara, coordinatore dei corsi, ha presentato il programma di quest’anno che prevede una serie di lezioni e incontri da marzo a novembre, dedicati ai vari aspetti della comunicazione e particolarmente indirizzati a insegnanti, catechisti, animatori ed educatori: persone, cioè, che vivono già il confronto di comunicazione con i giovani e con gli adulti nelle normali situazioni di vita pastorale. Nel ciclo degli incontri già programmati il «master» torinese si inserirà con alcuni interventi mirati alla conoscenza della realtà subalpina e degli strumenti con cui vi si opera.
Comunicazione e giovani. I nativi digitali rappresentano una sfida per il mondo adulto ma sono anche un «mistero» per loro stessi e per gli educatori. Di qui l’idea di lanciare, nelle Unità pastorali della diocesi, iniziative di formazione e di «incontro reciproco» tra giovani ed esperti di comunicazione. l’obiettivo è anche di far crescere una sensibilità che possa poi venire messa a servizio anche della diocesi, con la produzione di notizie e materiali da mettere in circolo attraverso i social e i siti di questo giornale e della pastorale giovanile. Don Luca Ramello, direttore della Pastorale Giovanile, ha presentato l’iniziativa, che prenderà il via nei prossimi mesi (anche perché al momento l’Upg è fortemente impegnato nella preparazione del pellegrinaggio alla Sindone per il Sinodo dei giovani: ne riferiamo a parte in questa stessa pagina).
Un terzo momento riguarda direttamente questo giornale. Nel mese di febbraio sarà on line il sito «www.vocetempo.it», rinnovato nella grafica come nella concezione dei servizi. È quel «sito di notizie» a cui si sta lavorando da tempo e che ora è completamente integrato con il lavoro di informazione svolto dal giornale cartaceo. Il sito non è un servizio diretto alla didattica del «master» ma rappresenta un momento importante di come si sta sviluppando (e consolidando) la comunicazione della diocesi verso il territorio, indirizzandosi non solo alle comunità cristiane ma all’intera società civile.
L'INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO MONS. CESARE NOSIGLIA
Con l’avvio dei due incontri che il prof. Riccardi terrà, la sera del 19 e il mattino del 20 gennaio sul tema del linguaggio massmediale (inteso non tanto solo come lingua ma come cultura e stile di approccio ai fatti ecclesiali da parte dei media) prende il via una serie di iniziative che intendono offrire ai giornalisti e di riflesso alla gente che legge i giornali o vede e ascolta i media motivazioni e orientamento utili a formarsi e aggiornarsi per conoscere e acquisire una sensibilità ed una attenzione intellettualmente onesta e vera del mondo ecclesiale e dei fatti che lo coinvolgono, ma anche di quanto il Magistero della Chiesa ci offre, in questo ambito, nei suoi vari interventi di questi ultimi anni, a cominciare dal Concilio Vaticano II con il decreto Inter mirifica. L’iniziativa che avevo auspicato lo scorso anno nella festa di San Francesco di Sales è certamente utile anche per nutrire la propria cultura e professionalità di quei riferimenti valoriali necessari ad acquisire criteri appropriati per interpretare e accogliere non passivamente ma anche criticamente le molteplici notizie e resoconti degli articoli o delle notizie veicolati dai media. Per i giornalisti l’obiettivo specifico è quello di svolgere un servizio con la consapevolezza di avere una responsabilità che chiamerei vocazionale e ministeriale. Vocazione significa dono ricevuto e servizio riconosciuto nelle sue specificità in rapporto alla vita della comunità per quanto attiene al fattore religioso. Un giornalista cristiano o comunque professionalmente onesto, infatti, sa che la sua professione risponde a criteri, anche etici e spirituali, che ne qualificano lo svolgimento sotto il profilo non solo delle competenze acquisite, ma anche sul piano dei valori da accogliere e vivere secondo un codice che regola le finalità e le modalità stesse del proprio lavoro. Tali regole riguardano primariamente non solo il servizio all’utente ma anche quello alla verità cui i fruitori hanno diritto di accedere mediante il lavoro dei giornalisti. Nella cultura e di conseguenza nella prassi di vita del nostro tempo infatti diventa sempre più forte l’influsso dei nuovi strumenti massmediali, che allargano il loro raggio di incidenza sulla mentalità e il costume di vita della gente, per cui, invece di perseguire vie di educazione e formazione, si inseguono i gusti del pubblico, che, a sua volta, è condizionato dai messaggi dominanti. È come il serpente che si morde a coda: da un lato si afferma che, per avere audience, occorre tenere in considerazione ciò che la gente desidera e cerca con più facilità e immediatezza, dall’altra si insiste, in modo ossessivo, su alcuni argomenti, orientando e veicolando di fatto i gusti e le attese del pubblico su di essi. Viene sempre meno, nella cultura liquida e veloce del nostro tempo, l’impegno a verificare le fonti delle notizie e a garantirsi dalla menzogna o da una non piena verità con quella capacità critica propria dell’uomo adulto maturo. Spesso ci si trova impotenti di fronte al diffondersi di notizie e servizi, che accentuano in modo unilaterale scampoli di opinioni, che vengono assunti come assoluti e propagandati come dogmi. Per non parlare delle campagne orchestrate ad arte, per cui ci sono filoni di articoli e di messaggi, che, in vario modo, vengono offerti da tutti i mass media e che insistono a lungo per confermare tesi precostituite, che, di fatto, poi si rivelano fasulle o non del tutto vere, ma che ormai sono di dominio comune e non si possono più facilmente modificare o smentire. Districarsi dentro un mondo del genere non è facile per chi, da cristiano, desideri rimanere fedele al detto di Gesù: «Il vostro parlare (scrivere, filmare e trasmettere) sia sì, sì, no, no; il di più viene dal Maligno». Naturalmente questo discorso sarà affrontato non solo in termini generalisti ma tenendo conto del nostro territorio e delle sue problematiche vissute in concreto dalla gente che lo abita. Un secondo spunto positivo di questa iniziativa lo ricavo dall’intervento che ho svolto, nella festa di S. Francesco di Sales lo scorso anno. Rifacendomi al Vangelo del buon pastore e del mercenario, di cui parla Gesù, e proprio della festa del Santo, affermavo: «Credo che anche la vostra professione, cari operatori della comunicazione, abbia da imparare tanto da questo vangelo. Agire da buoni pastori o da mercenari è il dilemma che spesso compare nella vostra professione e vi obbliga a scegliere una o l’altra via, non senza conseguenze positive o negative nei confronti del gregge e dunque della gente che usufruisce del vostro servizio. L’operatore dei mass media agisce da buon pastore quando ama il suo lavoro, in cui vede la possibilità di nutrire la mente e il cuore delle persone con la luce della verità e del bene, per cui è sempre attento a perseguire con coscienza retta vie di ricerca rigorosa del vero e del giusto, senza lasciarsi trascinare nel vortice dell’apparire o del facile consenso. Non antepone mai il profitto finanziario, carrieristico o di apprezzamento dei superiori alla verità dei fatti e al rispetto delle persone coinvolte. Non alimenta con i suoi servizi il pettegolezzo e quella curiosità pruriginosa, propria del cosiddetto gossip, che fa tanto audience nell’opinione pubblica. Non risponde del suo operato solo al padrone di turno, ma alla sua coscienza e a quei principi etici, che la regolano per agire bene, onestamente a costo di pagare, anche di persona, un prezzo alto per la propria coerenza. Non cerca di soppiantare un collega per ottenere un impiego migliore e maggiore spazio per se stesso nell’azienda. Il mercenario, invece, si comporta esattamente all’opposto e non gli importa delle pecore, cioè della gente e degli stessi colleghi di lavoro, ma del riscontro positivo del suo agire, in termini di migliore realizzazione della sua posizione e di onori o riconoscimenti ricevuti dall’alto». Detto ciò ringrazio l’Ordine dei giornalisti che ha accettato di inserire l’intervento di Andrea Riccardi e altre tappe del percorso previsto su questo tema nelle prossime settimane, tra le iniziative di aggiornamento e formazione previste per i giornalisti.
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