Tutto il mondo è intimamente connesso

Sulla nuova Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”

Parole chiave: Natura (3), laudato si (8), ambiente (25), creato (3)
Tutto il mondo è intimamente connesso

Il grande tesoro della “dottrina sociale della Chiesa” si è ulteriormente accresciuto (v. il n. 15 del documento) di questa nuova “perla” dedicata da papa Francesco alla cura della casa comune (Roma, 24 maggio 2015, terzo anno del suo pontificato). L’incipit della Enciclica: “Laudato sì, mi’ Signore’” rimanda al celebre canto di san Francesco d’Assisi con il quale egli ricorda che la terra è nostra sorella e madre, proprio perchè “la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Tuttavia, “questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi” (nn. 1-2).

Dicevo del grande patrimonio della “dottrina sociale della Chiesa”, sul quale deve essere (almeno) velocemente  precisato il suo generale significato e valore. Perché la Chiesa – la quale sembrerebbe tutta orientata alla sola meta eterna dei suoi figli, con un messaggio, dunque, personale ed escatologico (da cui la vecchia critica rivolta ai cattolici di occuparsi troppo dell’aldilà e poco dell’orizzonte umano delle ingiustizie) – nutre questa profonda attenzione all’impegno sociale? Possiamo tranquillamente affermare che dall’espressione di Cristo (“Ho compassione per questa folla”, v. Mc 8,2) ai giorni nostri “la storia della dedizione ai fratelli più bisognosi (si potrebbe dire la storia della carità) si identifica con quella della Chiesa” (così p. Angelo Bellon o.p.). D’altronde la stessa fede non isola il credente dal mondo e dai suoi problemi, ma lo introduce e lo spinge ad affrontarli con una motivazione più urgente e nello stesso tempo più profonda.  Già nell’Antico Testamento Dio chiede di non separare la pratica religiosa dall’impegno sociale: “Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni … Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne” (Am 5,21.23-24). Ed ancora: “Cessate di portare oblazioni inutili, l’incenso è per me un abominio;  non posso sopportare noviluni, sabati, assemblee sacre, delitto e solennità. … Lavatevi, purificatevi, rimuovete dal mio cospetto il male delle vostre azioni. Cessate di operare il male, imparate a fare il bene, ricercate il diritto, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova” (Is 1,13.16-17). Senza contare i numerosi riferimenti del Nuovo Testamento con i quali Gesù annuncia l’esigenza - che scaturisce dalla nuova esperienza della divina figliolanza degli uomini - di privilegiare l’amore verso i fratelli (v. ad esempio la parabola del Buon samaritano, Lc 10,25-37; oppure l’invito a riappacificarsi con il proprio fratello prima di recarsi all’altare, Mt 5,23).

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Papa Francesco (molto opportunamente, data la “gravità comune” di questo tema)  riprendendo l’invito del santo papa Giovanni XXIII - il quale, per la prima volta, nel suo messaggio “Pacem in terris” si rivolse non soltanto alla cristianità ma a “tutti gli uomini di buona volontà” – con questa Enciclica si propone “specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune”  (n. 3; ed ecco perché dedica giustamente i nn. 8 e 9 al prezioso contributo offerto dal Patriarca  ecumenico Bartolomeo, “con il quale condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale”). Dopo aver ripercorso alcune significative tappe di riflessione dei suoi ultimi predecessori (ad esempio il richiamo di san Giovanni Paolo II ad una “conversione ecologica globale”; oppure quello di Benedetto XVI alla comprensione “che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché ‘il libro della natura è uno e indivisibile’ e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti”), ci si ricollega ancora alla testimonianza di san Francesco (santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia) per saper cogliere come “l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano” (del resto, come afferma la “Gaudium et spes”, n. 22, “solamente alla luce del mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”).

Nella evidente ricchezza del testo, vorrei soltanto soffermarmi su due aspetti che – a mio giudizio – costituiscono non soltanto due  importanti chiavi di lettura del documento, ma che rappresentano quasi il fondamento di tutto  l’ “edificio argomentativo”: la profonda relazione che esiste tra tutti gli esseri viventi; e l’impegno etico personale (ed anche comunitario e locale) che deve esserci da parte di tutti. Nel n. 16 viene espressamente detto che ci sono nell’Enciclica alcuni assi portanti, fra cui: “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta”; “la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso”; “il senso umano dell’ecologia”; “la proposta di un nuovo stile di vita”.

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Sul primo aspetto, viene chiaramente detto che “se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea” (n. 11).  Ed ancora, siamo invitati a riflettere sul fatto che “tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati  abbiamo bisogno gli uni degli altri” (n. 42). “Bisogna rafforzare la consapevolezza  che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza” (n. 52). Perché “tutto è connesso” (n. 138), in quanto (come insegna san Tommaso d’Aquino) Dio ha sapientemente disposto la molteplicità e la varietà dell’esistenza, per cui “ciò che manca a ciascuna cosa per rappresentare la bontà divina sia supplito dalle altre cose, perché la sua bontà ‘non può essere adeguatamente rappresentata da una sola creatura’. Per questo, abbiamo bisogno di cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni … Questo insegna il Catechismo: ‘L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio’ “ (n. 86). Significativa, poi, al riguardo l’assonanza con il pensiero di papa san Giovanni Paolo II nella Enciclica “Sollicitudo rei socialis” (nel 20° anniversario della “Populorum progressio”), dove si afferma che “Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù’, è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione … Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.

Mai dobbiamo dimenticare che “Il mondo è stato creato dalla tre Persone come unico principio divino, ma ognuna di loro realizza questa opera comune secondo la propria identità personale” (n. 238). San Bonaventura ci insegna, poi, che “ogni creatura  porta in sé una struttura propriamente trinitaria” (n. 239), per cui “la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione,  quando esce da sé stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione. Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità” (n. 240; v. anche i nn. 83; 93; 118; 119; 160; 164; 202 e 208). Perché “Alla fine  ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr. 1 Cor 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine…. La vita  eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati” (n. 243).

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Venendo al secondo e ultimo aspetto, papa Francesco  segnala una serie di “piccoli gesti” per farci capire l’urgenza ed il valore del nostro personale contributo al bene comune. Ecco alcuni rapidi esempi. “Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano … di spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento”; “evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti”; “utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili” (n. 211); “è necessario curare gli spazi pubblici, i quadri prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso di appartenenza” (n. 151); nella famiglia, poi, “si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature” (n. 213). Sull’esempio di santa Teresa di Lisieux occorre educarsi “alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”, ben sapendo che “l’amore per la società e l’impegno per il bene comune sono una forma eminente di carità” (nn. 230-231). Del resto – come ci ricorda la “Gaudium et spes” (n. 38) – Cristo “ci rivela che ‘Dio è carità’ (1 Gv 4,8), e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità”. Inoltre, “Egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita”.

Dunque, “la spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. E’ un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo”. Perché “la sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario… Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazione negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera” (nn. 222-223; v. anche i nn. 25; 28; 33; 51; 134; 145; 174; 179; 183; 189 e 206). Infine, da questo punto di vista, la domenica, con la partecipazione all’Eucaristia, assume una particolare importanza. “Questo giorno, così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il ‘primo giorno’ della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata” (la quale creazione “geme e soffre le doglie del parto”, così Rm 8,22, cit. nel n. 2).

Perché “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbraccia e illumina tutto” (n. 83).

 

                                                             

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