La violenza e il sacro, l'eredità di Renè Girard

Un ricordo e una riflessione sul grande pensatore recentemente scomparso

Parole chiave: girard (1), moderno (1), filosofia (6), sacro (7), mondo (65)
La violenza e il sacro, l'eredità di Renè Girard

Perché Gesù, che è Dio, prega il Padre nell’Orto di Getsemani di allontanare il calice della Croce, se è possibile? Forse perché sa che il sacrificio potrebbe essere evitato se solo gli uomini capissero ciò che è venuto a svelare, «quelle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo» (titolo del libro più famoso del filosofo francese Renè Girard, morto la scorsa settimana), cioè che il bisogno di violenza di cui l’umanità si nutre può essere rotto una volta per sempre.

Per Girard infatti l’uomo desidera ciò che un altro uomo desidera. Non è tanto l’oggetto del desiderio a possedere il soggetto desiderante, quanto l’imitazione di chi già desidera. L’uomo desidera desiderare come gli altri desiderano. Entra perciò in un rapporto «mimetico», cioè di imitazione e competizione verso chi desidera ciò che lui stesso ambisce. Il rapporto mimetico, che è anche la molla educativa, porta alla fine a desiderare di eliminare fisicamente chi compete con noi.

La violenza in questa triangolazione tra soggetto desiderante (per es., un uomo innamorato), oggetto desiderato (per es., una donna desiderata), ma soprattutto oggetto imitato e alla fine detestato fino a volerne la morte (per es., un rivale in amore) diventa insopportabile per l’umanità, tutta coinvolta in questo triangolo, fino a quando non si acquieta sacrificando un capro espiatorio e riconquista l’omeostasi (la quiete, appunto). I capri espiatori sono di volta in volta gettati dalla rupe tarpea in età romana, bruciati nei roghi dell’Inquisizione, condannati a morte ancora nei nostri giorni. Gesù però è l’unico capro espiatorio, non solo innocente, ma che è venuto a dirci che questa spirale può essere spezzata riconoscendola e che l’umanità può uscire una volta per tutte dalla violenza fondatrice.

Il debito che questa stessa umanità ha nei confronti di René Girard è enorme. Partendo da studi di letteratura comparata è riuscito, analizzando con soprendente acume e profondità i personaggi e i testi di Dante, Dostojevski, Stendhal, Shakespeare e altri grandi scrittori, fissare con coraggio il proprio sguardo là dove la violenza prima si genera: nel rapporto mimetico, come si diceva. Da lì in poi è stata una vita di studio spessa per capire le ragioni della violenza, il suo carattere fondante, il rapporto essenziale tra la violenza e le religioni (che in qualche modo la regolano), fino ad intuire la possibilità che la storia della Salvezza cristiana, unica religione che secondo Girard permette di uscire dal triangolo violento, avrebbe potuto essere diversa se l’umanità stessa avesse inteso ciò che Gesù aveva predicato, e sarà in futuro possibile quando lo intenderà pienamente.

Storico, critico letterario, filosofo, Girard ha dialogato con molte discipline, dalla psicanalisi all’antropologia, dalla storia delle religioni alla pedagogia; fuori da ogni dialettica strettamente filosofica, ha indicato – forse proprio per la sua capacità di uscire dai dettami rigidi delle discipline – dei percorsi inauditi di riflessione che ci interrogano più che mai e che appaiono ancora ricchi di ulteriori spunti di ricerca.

Lo stesso Monsieur Malaussène, l’eroe dei romanzi di Pennac, di professione «capro espiatorio», che ci racconta con ironia e divertimento il nostro bisogno quotidiano di scaricare la violenza su un povero innocente, è certamente uno dei frutti più popolari di quei percorsi che partono dalle scoperte di René Girard.

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