NELLA FESTA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Nosiglia: "Torino ha bisogno di politica. Il futuro si costruisce insieme"

Città ricca di risorse ma divisa da troppe polemiche. Nell’omelia per la festa patronale di san Giovanni Battista mons. Cesare Nosiglia ha chiesto che le istituzioni e la popolazione lavorino per l’unità. Foto gallery

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Nosiglia: "Torino ha bisogno di politica. Il futuro si costruisce insieme"

Oggi il mondo della politica, a Torino, «appare silente». Di fronte alle grandi sfide della città post-industriale, fiaccata dalla crisi economica e sociale, l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia registra nelle istituzioni e nella popolazione un calo della capacità di incontrarsi, discutere, disegnare insieme il futuro. Mancano progetti di lungo respiro, parole di speranza; va in scena una politica, «che per i cristiani rimane la forma più alta di carità», sempre più litigiosa e lontana dalla vita. Ma «il desiderio della nostra gente è di poter vivere in una città sempre più umana e vicina; una città che abbia lo stile della famiglia, dove le relazioni sono improntate alla fraternità e al dialogo, alla comprensione tra le molteplici componenti religiose, culturali e sociali».

I tragici fatti di piazza San Carlo (1 morto e 1.500 feriti il 3 giugno nella folla impazzita, forse per un falso allarme terroristico), gli scontri che stanno ripetendosi fra i giovani dei centri sociali e la polizia nei quartieri della movida notturna sono gli ultimi segnali di un disagio sociale che cresce e che avrebbe bisogno di risposte, di prospettive: questa mattina, 24 giugno, pronunciando l’omelia per la Festa patronale di San Giovanni Battista davanti al sindaco Chiara Appendino, al prefetto Renato Saccone, al questore Angelo Sanna, e alle autorità cittadine, l’Arcivescovo ha lanciato il suo forte appello perché si torni a fare politica, cioè a ragionare tutti insieme sul bene di Torino, superando fazioni e steccati ideologici, coinvolgendo i giovani, moltiplicando «le iniziative di formazione politica, gli spazi di dibattito, confronto e ascolto sui temi concreti del nostro territorio».

Secondo Nosiglia la città è molto ricca di risorse umane, opere e iniziative su cui costruire, ma occorre intercettarle e farle parlare, saperle coinvolgere. «La politica appare silente soprattutto a confronto con la ricchezza di iniziative e proposte che vengono dai mondi del volontariato e delle attività culturali, ma anche delle imprese e del credito». «La città appartiene a ogni suo ambiente e tutti dobbiamo sentircene custodi».

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia:

NON LASCIAMOCI RUBARE LA SPERANZA

Cari fedeli e amici,

la festa di san Giovanni Battista è un momento importante e fecondo di unità e di fraternità per tutta la nostra città, occasione di bilancio del suo cammino e di speranza per il suo futuro. Di quale segno abbiamo bisogno, per intravvedere una svolta positiva nella nostra vita, in quella dei nostri cari e dell’intera città?

Vedo questo cuore del futuro legato molto al dono e all’impegno della comunione, dell’accoglienza e della riconciliazione. Il desiderio della nostra gente è di poter vivere in una città sempre più umana e vicina. Una città che abbia lo stile della famiglia, dove le relazioni sono improntate alla fraternità e al dialogo, alla comprensione e collaborazione tra le molteplici componenti religiose, culturali e sociali. Una città in cui ci si aiuta a vicenda, e non solo in termini di pubblica assistenza. Ma è possibile questo, se viviamo immersi in una cultura individualista, dove la ricerca del dio denaro, del proprio tornaconto personale e dellinteresse sembrano prevalere, a discapito dei valori di solidarietà nei rapporti?

Custodi e promotori della città

La città appartiene a ogni suo abitante e tutti dobbiamo sentircene custodi. Qui non c’è soltanto casa nostra, i nostri cari, il nostro lavoro. È l’intero territorio che ci appartiene, con le sue tradizioni e le sue culture antiche e recenti. Siamo chiamati a custodire questo patrimonio come un ambiente educante, dove si respira aria pulita non solo per la mancanza di smog e polveri sottili, ma per quella fraternità che unisce le famiglie e le persone e le varie aggregazioni sociali. Essere custodi della nostra città significa anche preoccuparsi di far crescere un ambiente antropologico e sociale, di valore umano e spirituale insieme, che non emargina nessuno e non scarta chi è meno fortunato nei beni o nella salute o nella condizione di vita e di censo, ma sa offrire a ciascuno un sostegno per rendersi anche lui responsabile attivo del cammino di tutti.

La città unita è un’utopia? Forse; ma senza utopia non c’è futuro, non c’è ragione e stimolo a impegnarsi veramente, non c’è slancio creativo e innovativo, come si esige oggi in un mondo nel quale predominano l’idolo dell’individualismo o dello stare insieme per pura funzionalità e interessi parziali sempre cangianti di volta in volta.

La città dei diritti e dei doveri

San Giovanni Battista ci aiuta a rendere concreto il nostro impegno di cittadini. Il Vangelo ci mostra che da lui accorrevano persone di ogni ceto sociale: alcuni gli chiedevano: «Che cosa dobbiamo fare?» e Giovanni rispondeva: «Chi ha due abiti ne dia uno a chi non ce l’ha e chi ha dei viveri li distribuisca a chi ne è privo». Ad alcuni agenti delle tasse, che chiedevano: «Che cosa dobbiamo fare», Giovanni diceva: «Non prendete niente di più di quanto è stato stabilito dalla legge». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che cosa dobbiamo fare?». «Non portate via soldi a nessuno, né con la violenza, né con false accuse, ma accontentavi della vostra paga». Tre esempi concreti, improntati sul dovere che riguarda in prima persona ciascuno, secondo il suo stato di vita e professione.

Torino è riconosciuta, e giustamente, come la città dei diritti in tanti ambiti del vissuto personale e collettivo. Sarebbe bene però far crescere anche la città dei doveri, che spesso restano inevasi e ignorati da tanti cittadini e realtà sociali, economiche e politiche. Ad ogni diritto deve corrispondere un dovere.

Penso al diritto al lavoro, a cui di fatto non corrisponde il dovere da parte dello Stato e degli Enti preposti, sia politici che economici e sociali, di far sì che tutti i cittadini abbiano assicurato un lavoro, fonte prima di dignità della persona e della sua libertà e promozione integrale. La perdita del lavoro nel nostro territorio, sia per gli adulti che lo avevano, sia per i giovani che non lo trovano, rappresenta la criticità più pesante a cui far fronte ed è dunque il primo dovere di ogni istituzione pubblica o privata.

È solo un esempio, come potrebbe essere quello relativo al dovere di rispettare il diritto alla quiete e al sonno notturno dei residenti nei quartieri della città, dove predominano invece il chiasso e lo schiamazzo della movida fino al mattino. Analogamente, credo che anche i fatti tragici di Piazza San Carlo indichino che c’è ancora molto da fare, per educare a stare insieme in modo civile e rispettoso delle regole proprie dell’ambiente e degli altri, oltre ovviamente al dovere di programmare e gestire al meglio gli eventi cittadini.

Il ruolo della politica

È in questo contesto che mi permetto di fare una considerazione che, con rispetto ma anche con schiettezza, rivolgo al mondo della politica. Un ambiente che oggi a Torino appare silente, soprattutto a confronto con la ricchezza di iniziative e proposte che vengono dai mondi del volontariato e delle attività culturali, ma anche delle imprese e del credito. Eppure la politica, che per i cristiani rimane la forma più alta di carità, è arte di costruire il futuro, momento in cui fare sintesi dei legittimi interessi di tutti i cittadini e disegnare un progetto unitario, organico per la città intera. Invece, oggi, manca questa passione per la politica, intesa come “amore per la città”, voglia di costruire insieme che vada al di là delle priorità individuali e di gruppo.

Mancano, soprattutto, i giovani che scommettano sulla politica non come carriera, ma come realizzazione di una vocazione, di un progetto di vita. Attenzione, non è un problema di singole persone e singoli partiti. Se manca la politica, con le sue ricadute di rappresentanza e di esercizio della democrazia, il problema è di tutti: perché stiamo rinunciando tutti all’unico strumento con cui costruire insieme il nostro avvenire.

Per questo rivolgo un invito, cordiale ma caldo e pressante, affinché si incoraggino le iniziative di formazione politica, gli spazi di dibattito, confronto e ascolto sui temi concreti del nostro territorio – e tutto questo possa diventare canale che conduce a promuovere una “cultura politica” di base, che impegni ogni cittadino a operare insieme per il bene comune. Abbiamo sperimentato, e non da ieri, che la protesta da un lato o l’acquiescenza e il paternalismo dall’altro, o peggio lo scambio di favori interessati con il potere, non bastano, né per essere buoni cittadini né per ben governare.

I segni concreti della speranza; unagorà in atto

Anche se sovente la cronaca ci mostra gli aspetti più negativi, alimentando la paura e la diffidenza, io devo testimoniare la presenza, in questa città, di numerosi e grandi segni di speranza. Nella Visita pastorale, come in tanti incontri sul territorio, trovo una numerosa schiera di promotori di giustizia e di pace che operano, giorno per giorno, nel tessuto delle parrocchie e del territorio, sia in campo religioso che laico. Nei gesti concreti e quotidiani, queste persone e gruppi promuovono solidarietà e comunione e offrono una testimonianza che produce frutti meravigliosi di bene nella società. Non parlo solo di cristiani, ma di uomini e donne di buona volontà, che generano amore e speranza attorno a sé nell’accoglienza a immigrati e rifugiati, come nelle raccolte alimentari e in altre iniziative di servizio.

Ci sono oratori e centri giovanili, sportivi e associativi dove si attivano iniziative ed occasioni di incontro tra ragazzi e giovani di diversa provenienza, anche culturale, religiosa e sociale. Sono realtà che andrebbero incoraggiate e sostenute insieme alle scuole statali e paritarie, specie quelle dell’infanzia nelle periferie della città.

Abbiamo bisogno di conoscere meglio il bene che facciamo e di mettere in rete le esperienze positive. Insieme con le iniziative concrete, è necessario promuovere una mentalità ed una cultura dell’accoglienza, che non nascondano i problemi e non sottovalutino le difficoltà, ma sappiano prospettare percorsi di inclusione sociale, mediante la collaborazione delle componenti interessate nella comunità cristiana e civile.

Preoccupa il fatto che soprattutto per i minori non accompagnati una burocrazia farraginosa rende complessa e difficile la loro accoglienza e soprattutto il passaggio poi alla maggiore età, senza sbocchi lavorativi e sicurezze necessarie al loro futuro. Mi auguro infine che lo ius soli per i bambini dei rifugiati e immigrati, nati in Italia, sia legalmente riconosciuto e sempre più accolto e considerato dalla gente un traguardo di civiltà di cui il nostro Paese è stato antesignano e promotore.

Cari fedeli e concittadini!

Come Vescovo sento il dovere oggi, nel giorno della festa del patrono e in un momento difficile per la vita della città, di parlare a tutti e di invitare a riflettere sul nostro bene comune. Ciò che ci unisce è, infatti, molto più e molto più forte di quel che ci potrebbe dividere. Come dev’esserci una sola città, che appartiene a tutti, così deve esserci una sola libertà, che ugualmente appartiene a tutti. Ma tale libertà, proprio perché è comune, si fonda sul rispetto delle medesime regole e, prima ancora, sul rispetto profondo di ogni persona. Siamo tutti “prossimo”, gli uni per gli altri. Se non comprendiamo e non accettiamo questo, sappiamo anche da dove hanno origine l’incomprensione, il dissidio, la violenza.

Noi cerchiamo la concordia. Non per pigrizia, non per una malintesa tolleranza che è solo indifferenza verso gli altri. No: perseguiamo la concordia, perché soltanto lungo questa via potremo realizzare quei progetti di cui abbiamo bisogno, quelle aspirazioni di rilancio e di riscatto per cui nutriamo la speranza. Ma se dalle nostre bocche lasciamo uscire parole di divisione, giudizi semplicistici o affrettati, e i nostri comportamenti si pongono in contrasto con le regole del bene comune, quale cuore stiamo esprimendo con le nostre parole e i fatti che ne conseguono?

Io credo che il cammino della concordia passi – anzi, cominci – proprio dallo stile del nostro linguaggio e dei nostri gesti. E anche questo, ovviamente, lo dico per tutti, a cominciare da me e dai fedeli di questa Chiesa. Facciamo crescere una cultura e una prassi dell’incontro e mai dello scontro. È nel reciproco ascolto che vanno fatti emergere e composti i conflitti, così come è nel rispetto delle opinioni altrui la vera forza delle nostre opinioni. Sono i doveri che dobbiamo esercitare, che fondano la nostra libertà e il nostro diritto di cittadinanza.

Ai giovani pertanto, che a volte con rabbia reagiscono a scelte che giudicano esagerate e limitative di diritti acquisiti da tempo, dico di ricercare sempre le vie del dialogo e del confronto anche dialettico, ma costruttivo, con le istituzioni e con chi chiede loro altrettanto rispetto dei propri diritti. Occorre trovare insieme le vie di una convivenza che salvaguardi le esigenze della legalità e quelle di chi abita nei quartieri, vi lavora o li frequenta.

Alle istituzioni, ai genitori ed educatori, rivolgo l’invito dell’Apostolo: non esasperate gli animi dei giovani, perché non si scoraggino e reagiscano in modi inappropriati, che non possono essere approvati; ma ascoltateli e stabilite con loro un rapporto fondato sulla comune ricerca del loro vero bene e insieme di quello della comunità.

A tutti dico: non lasciamoci rubare quanto di più prezioso abbiamo ricevuto e sta a fondamento di questa città: la speranza che nasce dalla – fede per i credenti – e dai principî laici di giustizia, solidarietà e pace. Facciamo leva sulle grandi potenzialità e risorse positive che abbiamo e non lamentiamoci solo e sempre di quello che ci manca. Una migliore condivisione da parte di tutti sui molteplici problemi che ci assillano – dal lavoro, alla casa, alle povertà crescenti… – promuoverà un clima e ambiente positivo, che potrà attivare un volano di nuova crescita morale, civile e sociale della nostra città. Il nostro patrono ci è di esempio, sia quando richiama a tutti il proprio dovere, sia – e ancora di più – quando è pronto a giocarsi la vita intera per non tradire la forza e la bellezza di ciò in cui ha creduto.

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