Anche a tavola l’incontro del clero: le nuove sfide dell'evangelizzazione

Don Amore e don Prastaro: in Assemblea i nodi della «Chiesa in uscita» e il confronto in piccoli gruppi. L'intervento dell'Arcivescovo Nosiglia

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Anche a tavola l’incontro del clero: le nuove sfide dell'evangelizzazione

Una sfida «missionaria» a tutto campo interpella ogni sacerdote in un contesto ecclesiale che muta. Una sfida che si gioca sul campo della spiritualità del «roveto ardente» e del linguaggio, del riconoscersi «preti per la Chiesa – come ha sottolineato l’Arcivescovo aprendo i lavori - prima che per la parrocchia». Questi alcuni degli stimoli che hanno caratterizzato la Giornata del clero di mercoledì 21 settembre. Una giornata dedicata alla figura del sacerdote e improntata sulla fraternità – per la prima volta il pranzo insieme a conclusione dei lavori - e lo scambio di proposte.  «Proposte – ha ancora ribadito mons. Nosiglia – perché tutti sappiamo le cose che non vanno, ma è importante cercare invece cose positive e concrete valorizzando quella ricchezza di carismi che ci caratterizza».

Ed ecco che a orientare lo stile propositivo la relazione di don Antonio Amore è stata incentrata sulla spiritualità del sacerdote che attinge nel suo agire «in quel ‘roveto ardente’ che conforma la loro esistenza a Gesù  Cristo, poiché solo Cristo è la verità definitiva della nostra vita».

Una spiritualità, una fede capace di far mutare lo sguardo sul mondo, un mondo che mette in crisi e che può far sentire impotenti. Una spiritualità imperniata di misericordia che rende capaci «di accogliere – ha sottolineato don Amore - le fragilità umane della comune condizione di povertà, trasformandole in occasioni di Grazia».

E ancora tra gli spunti offerti da don Amore la necessità di uscire dalla mentalità della «boita», del piccolo angolo costruito su misura, e un coinvolgimento dei laici non come «riserva» del clero ma come famiglia nella Chiesa.

Ad arricchire l’orizzonte l’intervento di don Marco Prastaro che alla luce della sua esperienza come fidei donum ha individuato alcuni elementi condivisibili per la realtà torinese. «Rifletterò più su uno stile,  - ha sottolineato  - su degli atteggiamenti che non piuttosto su metodologie pastorali, così da poter proporre elementi per pensare ad una pastorale missionaria, ad una Chiesa in uscita.

Userò, come chiave di lettura dell’esperienza della missio ad gentes, il grande tema della inculturazione poiché mi sembra possa aiutarci ad acquisire elementi generali validi anche per noi qui e adesso».

Come primo spunto il tema del linguaggio: «parlare la stessa lingua significa non solo usare lo stesso idioma, conoscere i termini di un linguaggio, ma anche ragionare alla stessa maniera di chi usa quel linguaggio. Significa assumersi tutto il complesso di valori che esso si porta dietro. Ciò fa sì che si parli di Dio a partire da categorie e punti di vista nuovi, diversi, che non sono i tuoi ma quelli dell’altro. Rischiamo di presentare una fede con parole che nessuno comprende, o a cui viene dato un significato diverso (matrimonio, famiglia, redimere…) oppure facendo riferimento ad un mondo che non esiste più».  Quali vie dunque per capirsi? «È necessario immergersi nella vita reale. Conoscere fino in fondo la vita dell’altro, viverla e patirla sulla propria pelle. Questo richiede capacità di ascolto molto attento e capacità di empatia. Conoscere e condividere la vita reale di oggi non la vita di chi vive beato nella propria sacrestia, o in un mondo a parte, speciale, protetto e avulso dai problemi del nostro tempo. Altrimenti come potremmo dire di ‘avere l’odore delle pecore’?».

Accettare, mettendosi in gioco e a confronto sincero con la realtà, di non essere una élite stimata e apprezzata,  diventa per il sacerdote un elemento necessario per riuscire a compiere il passo successivo non quello «di portare ‘i lontani’ in Chiesa, quanto piuttosto, come Chiesa, di andare ed avvicinare queste persone per incontrarle nel loro vissuto quotidiano. I giovani sulla panchina… chi li avvicina andando alla panchina?. Toccherà quindi a noi Chiesa muoverci, anche adeguando gli orari, le strutture, le metodologie, gli stili perché possano essere accessibili, comprensibili e condivisibili dall’altro»

 E ancora don Prastaro ha ricordato l’importanza di condurre alla fede non per proselitismo ma «per attrazione»: «abbiamo bisogno di una comunità che sia vero esempio di accoglienza, attenzione, coerenza, testimonianza. Dobbiamo curare la vita delle nostre comunità. Ma non perché diventino dei paradisi bellissimi ma chiusi in sé stessi ed isolati dal mondo. Comunità che vivano nella fraternità e nell’accoglienza».

Alla base ancora la misericordia e la carità «che rende visibile nelle azioni di attenzione, cura e misericordia il volto di Dio. Rinforza l’annuncio. Ma nel contempo l’annuncio spiega la carità, ne disvela il suo significato. Una carità che oggi comprendiamo essere un percorso non solo del dare, ma anche e soprattutto del volere bene e dell’entrare in relazione, del creare fratellanza».

Spunti diversi e sollecitazioni che gli oltre 200 sacerdoti hanno ripreso nel confronto a gruppi che è seguito alle relazioni e che poi è stato riportato nel dibattito in sala. Dibattito in cui  è stata posta al centro la necessità di vivere maggiormente momenti di fraternità e confronto fra preti, e di curare il proprio percorso di spiritualità anche attraverso un cammino diocesano strutturato. Centrale anche l’attenzione a valorizzare i carismi nelle Unità pastorali, sia delle congregazioni religiose che delle associazioni e gruppi laicali.

L’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia nel concludere i lavori ha infine richiamato i sacerdoti ad andare sempre nella direzione dell’accoglienza, dell’ascolto delle persone in particolare di chi è lontano dalla Chiesa o di chi vive situazioni di fragilità e difficoltà curando le relazioni.

«La Chiesa in uscita – ha sottolineato – si sperimenta anche quando le persone vengono in parrocchia a chiedere servizi o sacramenti, nella modalità dell’accoglienza e, dunque, dell’accompagnamento alla fede. È bene a questo proposito anche educare sempre le proprie comunità a comprendere e vivere il senso della misericordia».

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