Verso Firenze 2015: nella storia umana l'invisibile riesce a rendersi visibile
Il cardinale Ennio Antonelli declina le "cinque vie" del Convegno di Firenze a partire dalla storicità come caratteristica peculiare del cristianesimo
“Evangelizzare è più che istruire; è vivere una storia di relazioni con Dio e con gli uomini, una storia di azioni e parole, di gioie e sofferenze”. Ne è convinto il cardinale Ennio Antonelli, che nel suo ultimo libro: “Visibilità dell’invisibile. Dio con noi nella storia” (Edizioni Ares), declina le “cinque vie” del Convegno di Firenze a partire dalla storicità come caratteristica peculiare del cristianesimo, dal potere attrattivo dei “paradossi” di Gesù - “uomo vero ma singolarissimo” - e dalla capacità dei santi di “abitare” il loro tempo in modo eroico e, al tempo stesso, estremamente concreto. Lo abbiamo intervistato.
Nel libro lei afferma che per la credibilità del cristianesimo non basta che esso sia percepito come messaggio pieno di senso, ma occorre che la rivelazione sia percepita come evento reale: “Ciò che non è reale non è neppure sensato”.
“Il cristianesimo non deve essere ridotto né a un sistema coerente di idee né a un bel racconto, ispiratore inesauribile di valori umani. Certo risponde meravigliosamente alle domande esistenziali dell’uomo; offre una visione coerente di Dio, del mondo, della persona e della società; continua sempre a ispirare il pensiero, la vita, l’arte, la cultura. Ma la fede cristiana è adesione a Dio che ci viene incontro nella storia. Non le bastano le idee e i racconti sensati; le occorrono gli avvenimenti sensati. ‘Se Cristo non è risorto - esclama l’apostolo Paolo - vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede’ (1Cor 15,14). Dio invisibile si rende presente e in qualche modo visibile nella storia con la mediazione dei segni (persone e avvenimenti, oltre che parole): è questo il tema generale del mio libro”.
Tra Dio e l’uomo, come lei stesso riconosce, c’è un’infinita differenza. Come allora possono incontrarsi nella storia?
“L’infinita differenza non esclude la somiglianza. Le creature, specialmente l’uomo e il suo linguaggio, possono veicolare un riflesso di Dio, anche se debole e imperfetto. Dio si rivela nella storia adattandosi agli uomini, soggetti spirituali, corporei, sociali, storici. Noi comunichiamo reciprocamente i nostri mondi interiori (pensieri, desideri, decisioni, sentimenti) attraverso segni sensibili (parole, gesti, comportamenti, opere) in un processo di auto-testimonianza, interpretazione e fiduciosa adesione. Anche Dio si esprime mediante una storia di eventi e parole, complementari tra loro, che ha al centro Gesù di Nazaret, uomo concreto, ma straordinario, incomparabile. Nella sua personalità singolarissima si compongono armoniosamente qualità antinomiche, che di solito non si trovano insieme in una sola persona. La singolarità paradossale di quest’uomo lascia trasparire la presenza e l’amore di Dio. I credenti percepiscono la credibilità e affidano a lui la propria vita”.
Quali paradossi della figura di Gesù lei considera più significativi per costruire un nuovo umanesimo?
“Gesù vive, muore e risorge per una sola causa: la causa del Regno di Dio che è anche la causa dell’uomo e della sua salvezza integrale. Cristo, afferma il Concilio Vaticano II, ‘rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione’ (Gaudium et Spes 22). È santo, perfettamente unito al Padre nella preghiera e nell’obbedienza alla sua volontà; nello stesso tempo è amico dei peccatori, pieno di misericordia verso di loro, fino a prendere su di sé il peso tremendo di tutti i peccati. È libero e distaccato nei confronti delle realtà terrene e, nello stesso tempo, è impegnato a purificarle e valorizzarle, specie il matrimonio e la famiglia, il lavoro e l’economia. Lotta contro la sofferenza e, nello stesso tempo, l’assume in prima persona, per renderla preziosa. Parla e agisce con autorità assoluta e, nello stesso tempo, si pone a servizio con totale dedizione. Muore sulla croce come abbandonato da Dio e rifiutato dagli uomini, ma risorge il terzo giorno come Signore e Salvatore, che apre a tutti un futuro pieno di speranza nella storia e nell’eternità”.
Una parte del volume è dedicata a otto “giganti” della santità: san Paolo, san Francesco d’Assisi, santa Caterina da Siena, santa Giovanna d’Arco, san Giovanni Bosco, santa Teresa di Lisieux, san Pio da Pietrelcina, beata Madre Teresa di Calcutta. Quale “lezione di cittadinanza” ci viene dal loro esempio?
“La terza parte del mio libro, la più ampia, è dedicata alla presenza di Gesù nella Chiesa, secondo la sua promessa: ‘Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’ (Mt 28,20). Una presenza che si lascia intravedere attraverso molteplici segni; una conferma per la fede cristiana e un rinnovato appello a credere. Nella prospettiva della ‘Visibilità dell’Invisibile’, i santi sono mostrati più come riflesso e segno trasparente di Cristo che come modelli da imitare. Sulla base di una sicura documentazione storica, si mettono in risalto la bellezza dell’amore eroico fino al sacrificio totale e la gioia traboccante in mezzo alle fatiche e alle sofferenze, in modo che la loro personalità globale appaia straordinaria, superiore alle capacità umane, un miracolo in se stesso, motivo di stupore e di meraviglia. A somiglianza di Gesù, i santi testimoniano che il Regno di Dio è la salvezza dell’uomo e che vivere per Dio è vivere per gli uomini. Costituiscono un segno credibile della presenza e dell’amore di Dio e, nello stesso tempo, la forma più riuscita di umanità, la più feconda di bene nella Chiesa e nella società”.
Da Piero della Francesca a El Greco, da Raffaello a Caravaggio, da Michelangelo a Grunewald, da Van Gogh a Cézanne: qual è il messaggio delle tavole iconografiche scelte a corredo dell’opera?
“Le immagini artistiche sono state inserite non a scopo decorativo, come abbellimento tipografico del volume, ma come parte integrante del discorso. Così anche i frammenti poetici disseminati nel testo. Con una varietà di linguaggi si espone la stessa visione teologica. A riguardo, nel corso della trattazione, segnalo a più riprese la complementarietà per l’esperienza religiosa dei due linguaggi fondamentali, quello simbolico e quello concettuale. Il primo, intuitivo e affettivo, prevale nella preghiera e nella testimonianza, come del resto nelle relazioni interpersonali, nella poesia e nell’arte. Il secondo, preciso e riflesso, prevale nella teologia scientifica, come del resto nel sapere critico in genere”.
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