"Togliere il lavoro è un peccato gravissimo", il monito di Francesco
All’Udienza Generale i dipendenti di Sky Italia che rischiano il licenziamento. Attenzione all’idea falsa che se amiamo è perché siamo buoni
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All’Udienza Generale i dipendenti di Sky Italia che rischiano il licenziamento. Attenzione all’idea falsa che se amiamo è perché siamo buoni
“Il lavoro ci dà dignità, e i responsabili dei popoli, i governanti hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possano lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità”. Sono parole forti e scandite con determinazione quelle pronunciate da Papa Francesco all’Udienza Generale di oggi: “Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo”.
Un pensiero speciale il Santo Padre lo ha rivolto ai lavoratori di “Sky Italia”, che presto potrebbero venire licenziati in seguito al piano di riorganizzazione della sede di Roma in vista del trasferimento a Milano: “auspico che la loro situazione lavorativa possa trovare una rapida soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie”.
Il comandamento dell’amore
Il grande comandamento che ci ha lasciato il Signore Gesù è quello di amare: “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente e amare il prossimo come noi stessi” (cfr Mt 22,37-39), cioè siamo chiamati all’amore, alla carità. “E questa - ha sottolineato Francesco - è la nostra vocazione più alta, la nostra vocazione per eccellenza; e ad essa è legata anche la gioia della speranza cristiana. Chi ama ha la gioia della speranza, di arrivare a incontrare il grande amore che è il Signore”.
Attenzione all’ipocrisia
All’inizio dell’Udienza Generale è stato letto un brano della lettera ai Romani (Rm 12, 9-13) in cui l’Apostolo Paolo ci mette in guardia dal rischio che la nostra carità sia ipocrita, che il nostro amore sia ipocrita. “Ci dobbiamo chiedere allora: quando avviene questa ipocrisia? E come possiamo essere sicuri che il nostro amore sia sincero, che la nostra carità sia autentica? Di non far finta di fare carità o che il nostro amore non sia una telenovela: amore sincero, forte …”.
“L’ipocrisia - ha detto - può insinuarsi ovunque, anche nel nostro modo di amare. Questo si verifica quando il nostro è un amore interessato, mosso da interessi personali; e quanti amori interessati ci sono … quando i servizi caritativi in cui sembra che ci prodighiamo sono compiuti per mettere in mostra noi stessi o per sentirci appagati: ‘Ma, quanto bravo sono’! No, questa è ipocrisia! o ancora quando miriamo a cose che abbiano ‘visibilità’ per fare sfoggio della nostra intelligenza o della nostra capacità”. Dietro a tutto questo c’è un’idea falsa, ingannevole, vale a dire che, se amiamo, è perché noi siamo buoni; come se la carità fosse una creazione dell’uomo, un prodotto del nostro cuore. La carità, invece, è anzitutto una grazia, un regalo: “poter amare è un dono di Dio, e dobbiamo chiederlo. E Lui lo dà volentieri, se noi lo chiediamo”.
La carità è una grazia
La carità non consiste nel far trasparire quello che noi siamo, ma quello che il Signore ci dona e che noi liberamente accogliamo; e non si può esprimere nell’incontro con gli altri se prima “non è generata dall’incontro con il volto mite e misericordioso di Gesù”.
Paolo ci invita a riconoscere che siamo peccatori, e che anche il nostro modo di amare è segnato dal peccato. Nello stesso tempo, però, si fa portatore di un annuncio nuovo, un annuncio di speranza: “il Signore apre davanti a noi una via di liberazione, una via di salvezza”. È la possibilità di vivere anche noi il grande comandamento dell’amore, di diventare strumenti della carità di Dio. E questo avviene quando ci lasciamo guarire e rinnovare il cuore da Cristo risorto. “Il Signore risorto che vive tra noi, che vive con noi è capace di guarire il nostro cuore: lo fa, se noi lo chiediamo”. “È Lui - ha aggiunto il Papa - che ci permette, pur nella nostra piccolezza e povertà, di sperimentare la compassione del Padre e di celebrare le meraviglie del suo amore. E si capisce allora che tutto quello che possiamo vivere e fare per i fratelli non è altro che la risposta a quello che Dio ha fatto e continua a fare per noi. Anzi, è Dio stesso che, prendendo dimora nel nostro cuore e nella nostra vita, continua a farsi vicino e a servire tutti coloro che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino, a cominciare dagli ultimi e dai più bisognosi nei quali Lui per primo si riconosce”.
Saper amare è un dono di Dio
L’Apostolo Paolo, allora, con queste parole non vuole tanto rimproverarci, quanto piuttosto incoraggiarci e ravvivare in noi la speranza. Tutti infatti facciamo l’esperienza di non vivere in pieno o come dovremmo il comandamento dell’amore. Ma anche questa è una grazia, perché ci fa comprendere che da noi stessi non siamo capaci di amare veramente: “abbiamo bisogno che il Signore rinnovi continuamente questo dono nel nostro cuore, attraverso l’esperienza della sua infinita misericordia”. E allora sì che torneremo ad apprezzare le cose piccole, le cose semplici, ordinarie; che torneremo ad apprezzare tutte queste piccole cose di tutti i giorni e saremo capaci di amare gli altri come li ama Dio “volendo il loro bene, cioè che siano santi, amici di Dio”; e saremo contenti per la possibilità di farci vicini a chi è povero e umile “come Gesù fa con ciascuno di noi quando siamo lontani da Lui, di piegarci ai piedi dei fratelli, come Lui, Buon Samaritano, fa con ciascuno di noi, con la sua compassione e il suo perdono”.
L’amore di Dio è più forte dei fallimenti
“Cari fratelli - ha poi concluso Francesco - questo che l’Apostolo Paolo ci ha ricordato è il segreto per essere «lieti nella speranza» (Rm 12,12). La gioia della speranza, perché sappiamo che in ogni circostanza, anche la più avversa, e anche attraverso i nostri stessi fallimenti, l’amore di Dio non viene meno. E allora, con il cuore visitato e abitato dalla sua grazia e dalla sua fedeltà, viviamo nella gioiosa speranza di ricambiare nei fratelli, per quel poco che possiamo, il tanto che riceviamo ogni giorno da Lui. Grazie”.
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