Papa Francesco: Non c’è santo senza passato, non c’è peccatore senza futuro.
Questa la frase chiave della Catechesi sulla Misericordia nel Vangelo all’Udienza Generale. La chiamata di Matteo e l’annuncio del viaggio a Lesbo.
“Sabato prossimo mi recherò nell’isola di Lesbo” sono le parole di Papa Francesco al termine dell’Udienza. E’ un annuncio, ma anche un invito alla preghiera: “Chiedo per favore di accompagnarmi con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e la materna intercessione della Vergine Maria”.
A Lesbo il Papa andrà “insieme con i fratelli il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Hieronymos” per “esprimere vicinanza e solidarietà sia ai profughi sia ai cittadini e a tutto il popolo greco tanto generoso nell’accoglienza”.
La chiamata di Matteo
Proseguendo il ciclo di catechesi sulla Misericordia, il Papa ha commentato il passo del Vangelo di Matteo a lui tanto caro (Mt 9,13) che narra l’episodio della chiamata di Levi: Matteo era un “pubblicano”, cioè un esattore delle imposte per conto dell’impero romano, e per questo “considerato pubblico peccatore”. Ma Gesù “lo chiama a seguirlo e a diventare suo discepolo”.
“Matteo - ha proseguito Papa Francesco - accetta, e lo invita a cena a casa sua insieme con i discepoli”. Allora sorge una discussione tra i farisei e i discepoli di Gesù per il fatto che questi condividono la mensa con i pubblicani e i peccatori: “Ma tu non puoi andare a casa di questa gente!”.
Tutti siamo peccatori
Gesù, infatti, non li allontana, anzi frequenta le loro case e siede accanto a loro; questo significa che anche pubblicani e peccatori possono diventare suoi discepoli. “Ed è altrettanto vero - ha commentato il Papa - che essere cristiani non ci rende impeccabili. Come il pubblicano Matteo, ognuno di noi si affida alla grazia del Signore nonostante i propri peccati. Tutti siamo peccatori, tutti abbiamo peccati”.
“Non c’è santo senza passato e non c’è peccatore senza futuro”. Papa Francesco lo ha ripetuto due volte, poi ha osservato che la Chiesa “non è una comunità di perfetti”, ma di “discepoli in cammino”, che seguono il Signore “perché si riconoscono peccatori e bisognosi del suo perdono”. La vita cristiana quindi è scuola di umiltà che ci apre alla grazia.
La presunzione di chi si crede giusto
Un tale comportamento non è compreso da chi ha la presunzione di credersi “giusto” e di credersi “migliore degli altri”. Superbia e orgoglio non permettono di riconoscersi bisognosi di salvezza, anzi, “impediscono di vedere il volto misericordioso di Dio e di agire con misericordia”. Per Papa Francesco la superbia e l’orgoglio sono “un muro che impedisce il rapporto con Dio”. Eppure, la missione di Gesù è proprio questa: “venire in cerca di ciascuno di noi, per sanare le nostre ferite e chiamarci a seguirlo con amore”.
Se i farisei vedono negli invitati solo dei peccatori e rifiutano di sedersi con loro, Gesù al contrario ricorda loro che anch’essi sono commensali di Dio. In questo modo, sedere a tavola con Gesù significa essere da Lui trasformati e salvati. “Innanzi a Gesù nessun peccatore va escluso – nessun peccatore va escluso! - perché il potere risanante di Dio non conosce infermità che non possano essere curate; e questo ci deve dare fiducia e aprire il nostro cuore al Signore perché venga e ci risani”.
Le due mense di Gesù
C’è la mensa della Parola e c’è la mensa dell’Eucaristia (cfr Dei Verbum, 21). Con la Parola “Gesù si rivela e ci invita a un dialogo fra amici”. “Gesù - ha commentato Papa Francesco non aveva paura di dialogare con i peccatori, i pubblicani, le prostitute… No, lui non aveva paura: amava tutti! La sua Parola penetra in noi e, come un bisturi, opera in profondità per liberarci dal male che si annida nella nostra vita”.
A volte questa Parola è dolorosa perché incide sulle ipocrisie, smaschera le false scusanti, mette a nudo le verità nascoste; ma nello stesso tempo illumina e purifica, dà forza e speranza, è un ricostituente prezioso nel nostro cammino di fede.
L’Eucaristia, da parte sua, “ci nutre della stessa vita di Gesù e, come un potentissimo rimedio, in modo misterioso rinnova continuamente la grazia del nostro Battesimo. Accostandoci all’Eucaristia noi ci nutriamo del Corpo e Sangue di Gesù, eppure, venendo in noi, è Gesù che ci unisce al suo Corpo!”.
Una religiosità di facciata
Concludendo quel dialogo coi farisei, Gesù ricorda loro una parola del profeta Osea (6,6): “Andate e imparate che cosa vuol dire: misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13). Nonostante l’alleanza di Dio e la misericordia, il popolo viveva spesso con una religiosità “di facciata”, senza vivere in profondità il comando del Signore. Ecco perché il profeta insiste: “Misericordia io voglio”, cioè la lealtà di un cuore che riconosce i propri peccati, che si ravvede e torna ad essere fedele all’alleanza con Dio. E non sacrificio: “senza un cuore pentito ogni azione religiosa è inefficace!”.
L’aneddoto del pacchetto
Quei farisei erano molto religiosi nella forma, ma non erano disposti a condividere la tavola con i pubblicani e i peccatori. Non mettevano al primo posto la misericordia: “pur essendo fedeli custodi della Legge, dimostravano di non conoscere il cuore di Dio!”.
Il Papa ha illustrato questo passaggio con una efficace similitudine: “È come se a te regalassero un pacchetto con dentro un dono e tu, invece di andare a cercare il dono, guardi soltanto la carta nel quale è incartato: soltanto le apparenze, la forma, e non il nocciolo della grazia, del dono che viene dato!”.
“Tutti noi - ha concluso Francesco - siamo invitati alla mensa del Signore. Facciamo nostro l’invito a sederci accanto a Lui insieme ai suoi discepoli. Impariamo a guardare con misericordia e a riconoscere in ognuno di loro un nostro commensale. Siamo tutti discepoli che hanno bisogno di sperimentare e vivere la parola consolatrice di Gesù. Abbiamo tutti bisogno di nutrirci della misericordia di Dio, perché è da questa fonte che scaturisce la nostra salvezza. Grazie!”.
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