Messaggi da Istanbul, una riflessione dopo lo storico viaggio apostolico di Francesco
Il docente della Pontificia Università San Tommaso rilegge la tre giorni di Bergoglio: gli incontri e il rapporto con gli ortodossi e l'islam
Quali sono i messaggi che risuonano fortemente, dagli ultimi gesti di Papa Francesco, in occasione del recente viaggio a Istanbul? Che dire, a proposito della preghiera nella Moschea Blu e del capo chinato del Vescovo di Roma davanti al Patriarca Bartolomeo? Come già in altre circostanze e occasioni, Papa Bergoglio sembra aver sottolineato con energia e chiarezza due convinzioni.
Anzitutto egli ha proclamato al mondo intero l’assoluto primato di Dio: questa verità costituisce il nucleo profondo, il ‘nocciolo duro’ di qualunque esperienza autenticamente religiosa. Orbene, questa idea, che è presente in modo particolare nelle religioni che professano – seppur nella differenza – il monoteismo, così come fanno l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, è sempre associata a un’altra convinzione condivisa: Dio si rivela e vuole essere a favore dell’uomo e di tutte le creature; chi lo conosce, lo ama, lo serve non può dimenticare l’alta stima che Dio stesso ha per le creature “opera delle sue mani” (Sal 138,8). Chi proclama che ‘solo Dio è Dio’, deve di conseguenza riconoscere che ‘ogni uomo è uomo’, ossia creatura certamente fasciata di limiti, ma portatrice di una dignità altissima e meritevole di un rispetto indiscusso.
Chiunque professi la fede nell’unico Dio, ha ‘a cuore’ ciò che a Lui ‘sta a cuore’, ossia la ‘buona riuscita’ del progetto di bene (la creazione, l’opera salvifica, la destinazione alla felicità eterna) che Egli ha amorevolmente e sapientemente ideato e realizzato a favore di ogni esistente. Sotto questo profilo, il gesto di pregare insieme al Gran Muftì Rahmi Yara sollecita ogni credente, qualunque sia la sua appartenenza religiosa, a porre seri e veri gesti di pace, a condannare qualunque forma di violenza e ingiustizia, a seppellire l’aggressività, a contribuire a rendere il mondo più vivibile, a educare le persone all’accoglienza, a cercare ciò che unisce gli uomini, rifiutando tutto ciò che eleva barriere tra di essi. Messaggio forte, è evidente, che non può lasciare indifferente la politica, che non può non sollecitare le coscienze, non può non allertare i responsabili del bene comune e dei rapporti fra i popoli.
Anche il gesto dell’inchino del Vescovo di Roma davanti alla persona del Patriarca Bartolomeo ha una profonda risonanza, per i cristiani di ogni confessione, d’Oriente e d’Occidente. Costituisce il segno di uno stile di esercizio del dialogo in vista dell’unità; esso si connota per un’umiltà che vuole impedire ogni superba presunzione di superiorità; si caratterizza per il riconoscimento delle originalità, contro ogni accanimento sulle differenze; si nutre di obbedienza alla Parola del Signore Gesù, che ha sollecitato i suoi discepoli al reciproco servizio; si impegna a togliere le barriere, piuttosto che a erigerle, sapendo che “un regno diviso in se stesso va in rovina” (Lc 11,17).
Anche il viaggio in Turchia, come tanti altri impegni assolti da Papa Francesco, ha un’indiscutibile valore profetico, nel triplice senso che l’aggettivo possiede: è stato una proposta al mondo dell’unica Parola che salva, quella dell’Altissimo; ha messo in atto un pubblico annuncio dei si! e dei no! che Dio rivolge alle nostre vite; ha voluto indicare il futuro di bene e di pace che l’unico Signore promette a coloro che hanno a cuore Lui e il Suo progetto.
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