La tre giorni di speranza di Papa Francesco in Turchia

Un viaggio apostolico denso di significati per unire le chiese cristiane e costruire ponti di dialogo con l'islam e le terre d'Oriente

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Papa Francesco e Bartolomeo I

«Vi chiedo un favore: di benedire me e la Chiesa di Roma». Papa Francesco china profondamente il capo. Il Patriarca Bartolomeo lo bacia sulla testa e lo abbraccia.

Francesco in silenzio, senza scarpe, con il capo chino e in raccogliemento, davanti alla «Mihrab», la nicchia che indica la Mecca, accanto al Gran Muftì Rahmi Yaran che apre le mani e spiega a bassa voce alcuni versetti del Corano.

I due fermo-immagine racchiudono la sintesi, il significato e il contenuto del viaggio il 28-30 novembre di Papa Bergoglio in Turchia, ad Ankara e a Istanbul. Sotto la splendida cupola della Moschea Blu ripete due volte: «Non solo dobbiamo glorificare e lodare Dio, ma dobbiamo anche adorarlo. Ecco la prima cosa». Spiega il portavoce vaticano Federico Lombardi: «Ritengo che il Papa abbia compiuto una silenziosa adorazione di Dio Assoluto». Preghiera che non esclude la ferma condanna delle brutalità con le quali i terroristi delCaliffato-Isis riempiono le loro giornate e nottate.

«Sì, venerato e caro fratello Bartolomeo, mentre le esprimo il mio sentito grazie per la sua fraterna accoglienza, sento che la nostra gioia è più grande perché la sorgente non è in noi ma è nel comune affidamento alla fedeltà di Dio. Andrea e Pietro fratelli nella fede, nella carità e nella speranza. Quale grazia, e quale responsabilità, camminare insieme sorretti dall’intercessione degli apostoli Andrea e Pietro». Il Patriarca ricorda l’importanza della visita di Papa Francesco, dopo quelle di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. «È un fatto storico ricco di buoni auspici».

A Santa Sofia - la Cattedrale cattolica scippata dagli islamici e trasformata in moschea e dal 1935 in museo - sul Libro d’Oro Francesco scrive le parole greche «Αγία Σοφία του Θεού. La Santa Sapienza di Dio» in quanto la basilica è intitolata non a una generica e inesistente Santa Sofia – ma credono i turisti - ma alla Santa Sapienza di Dio.

Nella Cattedrale dello Spirito Santo, allo sparuto gregge dei cattolici, divisi in quattro riti, Francesco augura di vivere nella pienezza dell’unità: «I differenti carismi nella Chiesa non sono disordine ma un’immensa ricchezza perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità. Solo lo Spirito Santo suscita la molteplicità e opera l’unità. La Chiesa e le Chiese sono chiamate a lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, ponendosi in un atteggiamento di apertura, docilità e obbedienza. Così supereremo incomprensioni, divisioni e controversie». Accanto ai fedeli cattolici il Patriarca ecumenico Bartolomeo I.

Durante la Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Phanar il Papa recita ad alta voce in latino il «Padre nostro». L’esempio dell’apostolo Andrea è un illuminante riferimento. Ricorda due anniversari di fatti accaduti cinquant’anni fa: l’inizio del percorso di riconciliazione tra cattolici e ortodossi segnato dall’abbraccio tra Paolo VI e Athenagoras I a Gerusalemme il 5 gennaio 1964 e la promulgazione, il 21 novembre 1964, di «Unitatis redintegratio», il decreto conciliare «con il quale è stata aperta una nuova strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese». Francesco fuga qualsiasi timore che la Chiesa cattolica possa o voglia dettare condizioni per il raggiungimento dell’unità: «La Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune. L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma è la comunione con le Chiese ortodosse».

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Unità che si deve perché «nel mondo ci sono troppe donne e uomini che soffrono per malnutrizione, disoccupazione, alto numero di giovani senza lavoro, esclusione sociale, che può indurre ad attività criminali e perfino al reclutamento di terroristi. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle voci di questi fratelli e sorelle». A quella dei poveri si unisce la voce delle vittime dei conflitti nelle «nazioni vicine segnate da una guerra atroce e disumana». E Francesco pensa «alle tante vittime del disumano e insensato attentato che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani che pregavano nella moschea di Kano in Nigeria». Non solo le vittime cattoliche o cristiane ma anche quelle islamiche.

Nella «Dichiarazione comune» Francesco e Bartolomeo riaffermano la volontà «di continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia, gli ostacoli che dividono le due Chiese. Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione, unta - in obbedienza alla volontà del Signore Gesù Cristo, di intensificare gli sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi».

Pieno sostegno esprimono al dialogo teologico della Commissione mista internazionale istituita nel 1979 da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Dimitrios». Esprimono «la comune preoccupazione per la situazione in Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente, uniti nel desiderio di pace e di stabilità e nella volontà di promuovere la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo e la riconciliazione». Chiedono alla comunità internazionale di intensificare l’impegno perché «le comunità cristiane che soffrono possano rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medio Oriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni». Cristiani perseguitati e costretti con la violenza a lasciare le loro case. Sembra addirittura che si sia perduto il valore della vita umana e che la persona non abbia più importanza e possa essere sacrificata ad altri interessi».

Entrambi sottolineano il valore dell’ecumenismo della sofferenza: «Come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze può essere uno strumento efficace di unità».

L’ultimo incontro è, nella Cattedrale dello Spirito Santo, con un centinaio di giovani profughi assistiti dall’oratorio salesiano di Istanbul:«Cari giovani, non scoraggiatevi. Continuate a sperare in un futuro migliore, nonostante le difficoltà e gli ostacoli. La Chiesa, anche attraverso il prezioso lavoro dei Salesiani, vi è vicina».

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