Il Papa ai religiosi: non rassegnatevi davanti al crimine!
A Morelia, nel cuore del Messico, il Papa celebra la Santa Messa per i religiosi e li esorta a non chiudersi nelle sacrestie anche se fuori dominano violenza, droga e corruzione
Il primo pensiero di Papa Francesco a Morelia è andato a mons. Carlos Suárez Cázares, arcivescovo emerito, “che il Signore ha chiamato a sé ieri sera a 96 anni di età, affinché lo premi per tutto il lavoro che ha fatto in mezzo al suo popolo”.
Morelia è una città popolosa dello stato del Michoacàn, tristemente nota per gli elevati tassi di criminalità collegati al narcotraffico. Qui Papa Francesco esorta religiosi, religiose, seminaristi e consacrati a non cedere alla tentazione della disperazione: “di fronte a questa realtà ci può vincere una delle armi preferite del demonio: la rassegnazione”. “E che fa? La vita è così!” “Una rassegnazione che ci paralizza, una rassegnazione che ci impedisce non solo di camminare, ma anche di fare la strada; una rassegnazione che non soltanto ci spaventa, ma che ci trincera nelle nostre sacrestie e apparenti sicurezze; una rassegnazione che non soltanto ci impedisce di annunciare, ma che ci impedisce di lodare. Ci toglie l’allegria, la gioia della lode. Una rassegnazione che non solo ci impedisce di progettare ma che ci frena nel rischiare e trasformare le cose. Per questo, Padre Nostro, non lasciarci cadere nella tentazione”.
Non lasciarci cadere in tentazione
L’omelia di Papa Francesco è tutta costruita attorno al Padre Nostro, la preghiera alla quale Gesù ci ha invitati. “Padre, papà, abbà, non lasciarci cadere nella tentazione della rassegnazione, non lasciarci cadere nella tentazione dell’accidia, non lasciarci cadere nella tentazione della perdita della memoria, non lasciarci cadere nella tentazione di dimenticarci dei nostri predecessori che ci hanno insegnato con la loro vita a dire: Padre Nostro”.
In Gesù l’espressione “Padre Nostro” non ha il “retrogusto della routine o della ripetizione”. Al contrario ha “il sapore della vita, dell’esperienza dell’autenticità”.
Un calice di 500 anni fa
Il calice usato per la celebrazione è quello appartenuto a Vasco Vásquez, primo Vescovo di Michoacán nel 1550. “Con voi - ha commentato Francesco - desidero fare memoria di questo evangelizzatore, conosciuto anche come Tata Vasco: lo spagnolo che si fece indio”.
La realtà vissuta dagli indios Purhépechas descritta da lui come “venduti, vessati e vagabondi per i mercati a raccogliere i rifiuti gettati a terra”, lungi dal condurlo alla tentazione dell’accidia e della rassegnazione, gli mosse la fede, mosse la sua vita, mosse la sua compassione e lo stimolò a realizzare diverse iniziative che fossero di “respiro” di fronte a tale realtà tanto paralizzante e ingiusta. Il dolore della sofferenza dei suoi fratelli divenne preghiera e la preghiera si fece risposta concreta. E Questo gli guadagnò tra gli indios il nome di “Tata Vasco”, che in lingua purépechas significa: papà.
Non siamo funzionari del divino
“Guai a me se non evangelizzassi!”. Il Papa cita le parole di San Paolo: “guai a me! Perché evangelizzare – prosegue – non è una gloria ma una necessità” (1 Cor 9,16).
“Guai a noi, consacrati, consacrate, sacerdoti, seminaristi, vescovi, guai a noi se non la condividiamo, guai a noi se non siamo testimoni di quello che abbiamo visto e udito, guai a noi”. “Non vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo né desideriamo mai essere impiegati dell’impresa di Dio, perché siamo invitati a partecipare alla sua vita, siamo invitati a introdurci nel suo cuore, un cuore che prega e vive dicendo: Padre nostro”. E cos’è la missione se non “dire con la nostra vita”, dal principio alla fine, “come il nostro fratello vescovo che è morto stanotte, cos’è la missione se non dire con la nostra vita: Padre nostro?”.
“Che bene ci fa - ha concluso Francesco - fare appello alla nostra memoria nei momenti della tentazione! Quanto ci aiuta osservare il legno con cui siamo stati fatti. Non tutto ha avuto inizio con noi, non tutto terminerà con noi; per questo, quanto bene ci fa recuperare la storia che ci ha portato fin qui”.
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