Il Papa a Carpi: non lasciamoci imprigionare dal pessimismo
No all’atmosfera del sepolcro, sì a speranza e risurrezione. L’invito di Francesco, con l’aiuto di Gesù, a sollevare le macerie della nostra vita
“Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere soli e sfiduciati a piangerci addosso per quello che ci succede; non cediamo alla logica inutile e inconcludente della paura, al ripetere rassegnato che va tutto male e niente è più come una volta. Questa è l’atmosfera del sepolcro”. Papa Francesco, in visita a Carpi, nell’Emilia Romagna colpita dal terremoto, porta parole di speranza e risurrezione: “Il Signore desidera invece aprire la via della vita, quella dell’incontro con Lui, della fiducia in Lui, della risurrezione del cuore, la via dell’«Alzati! Alzati, vieni fuori!». E’ questo che ci chiede il Signore, e Lui è accanto a noi per farlo”.
E’ questo il cuore di Dio
Al sepolcro dell’amico Lazzaro, Gesù compie l’ultimo dei segni miracolosi prima della sua Pasqua. Lì tutto sembra finito: la tomba è chiusa da una grande pietra; intorno, solo pianto e desolazione. Anche Gesù è scosso dal mistero drammatico della perdita di una persona cara: “Si commosse profondamente” e fu “molto turbato”. Poi “scoppiò in pianto” e si recò al sepolcro, dice il Vangelo, “ancora una volta commosso profondamente” (cfr. Gv. 11,33-38). “È questo - osserva Francesco - il cuore di Dio: lontano dal male ma vicino a chi soffre; non fa scomparire il male magicamente, ma con-patisce la sofferenza, la fa propria e la trasforma abitandola”.
L’esempio di Gesù
Notiamo però che, in mezzo alla desolazione generale per la morte di Lazzaro, Gesù non si lascia trasportare dallo sconforto. Pur soffrendo Egli stesso, chiede che si creda fermamente; non si rinchiude nel pianto, ma, commosso, si mette in cammino verso il sepolcro. “Non si fa catturare dall’ambiente emotivo rassegnato che lo circonda”, ma prega con fiducia e dice: “Padre, ti rendo grazie”. Così, nel mistero della sofferenza, di fronte al quale “il pensiero e il progresso si infrangono come mosche sul vetro”, Gesù ci offre l’esempio di come comportarci: “non fugge la sofferenza, che appartiene a questa vita, ma non si fa imprigionare dal pessimismo”.
La speranza si chiama Gesù
Attorno a quel sepolcro, avviene così un grande incontro-scontro. Da una parte c’è la grande delusione, la precarietà della nostra vita mortale che, attraversata dall’angoscia per la morte, sperimenta spesso la disfatta, “un’oscurità interiore che pare insormontabile”. La nostra anima, creata per la vita, soffre sentendo che “la sua sete di eterno bene è oppressa da un male antico e oscuro”. Da una parte c’è questa disfatta del sepolcro. Ma dall’altra parte c’è la speranza che vince la morte e il male e che ha un nome: “la speranza si chiama Gesù”. Egli non porta “un po’ di benessere o qualche rimedio per allungare la vita”, ma proclama: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Per questo decisamente dice: “Togliete la pietra!” e a Lazzaro grida a gran voce: “Vieni fuori!”.
“Cari fratelli e sorelle - prosegue il Papa - anche noi siamo invitati a decidere da che parte stare. Si può stare dalla parte del sepolcro oppure dalla parte di Gesù. C’è chi si lascia chiudere nella tristezza e chi si apre alla speranza. C’è chi resta intrappolato nelle macerie della vita e chi, come voi, con l’aiuto di Dio solleva le macerie e ricostruisce con paziente speranza”.
Quelle grotte oscure che abbiamo dentro...
Di fronte ai grandi “perché” della vita abbiamo due vie: “stare a guardare malinconicamente i sepolcri di ieri e di oggi, o far avvicinare Gesù ai nostri sepolcri”. Sì, perché ciascuno di noi ha già “un piccolo sepolcro”, “qualche zona un po’ morta dentro il cuore”: una ferita, un torto subìto o fatto, un rancore che non dà tregua, un rimorso che torna e ritorna, un peccato che non si riesce a superare. “Individuiamo oggi questi nostri piccoli sepolcri che abbiamo dentro e lì invitiamo Gesù”. “È strano, ma spesso preferiamo stare da soli nelle grotte oscure che abbiamo dentro, anziché invitarvi Gesù; siamo tentati di cercare sempre noi stessi, rimuginando e sprofondando nell’angoscia, leccandoci le piaghe, anziché andare da Lui, che dice: «Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro»” (Mt 11,28).
L’invito del Papa è a sentire rivolte a ciascuno di noi le parole di Gesù a Lazzaro: “«Vieni fuori!»; vieni fuori dall’ingorgo della tristezza senza speranza; sciogli le bende della paura che ostacolano il cammino; ai lacci delle debolezze e delle inquietudini che ti bloccano, ripeti che Dio scioglie i nodi. Seguendo Gesù impariamo a non annodare le nostre vite attorno ai problemi che si aggrovigliano: sempre ci saranno problemi, sempre, e quando ne risolviamo uno, puntualmente ne arriva un altro. Possiamo però trovare una nuova stabilità, e questa stabilità è proprio Gesù, questa stabilità si chiama Gesù, che è la risurrezione e la vita: con lui la gioia abita il cuore, la speranza rinasce, il dolore si trasforma in pace, il timore in fiducia, la prova in offerta d’amore. E anche se i pesi non mancheranno, ci sarà sempre la sua mano che risolleva, la sua Parola che incoraggia e dice a tutti noi, a ognuno di noi: «Vieni fuori! Vieni a me!». Dice a tutti noi: «Non abbiate paura»”.
Togliere la pietra
Anche a noi, oggi come allora, Gesù dice: “Togliete la pietra!”. Per quanto pesante sia il passato, grande il peccato, forte la vergogna, non sbarriamo mai l’ingresso al Signore. Togliamo davanti a Lui quella pietra che Gli impedisce di entrare: “è questo il tempo favorevole per rimuovere il nostro peccato, il nostro attaccamento alle vanità mondane, l’orgoglio che ci blocca l’anima, tante inimicizie tra noi, nelle famiglie,… Questo è il momento favorevole per rimuovere tutte queste cose”.
All’Angelus il pensiero per America Latina ed Africa
“Sono profondamente addolorato per la tragedia che ha colpito la Colombia, dove una gigantesca valanga di fango, causata da piogge torrenziali, ha investito la città di Mocoa, provocando numerosi morti e feriti”. Il Papa prega per le vittime ed assicura vicinanza a quanti piangono la scomparsa dei propri cari, e ringrazia tutti coloro che si stanno adoperando per prestare soccorso.
Un’altra ferita aperta si trova in Congo da dove continuano a giungere notizie di sanguinosi scontri armati che stanno provocando vittime e sfollamenti e che colpiscono anche persone e proprietà della Chiesa: chiese, ospedali, scuole... “Assicuro la mia vicinanza a questa nazione ed esorto tutti a pregare per la pace, affinché i cuori degli artefici di tali crimini non rimangano schiavi dell’odio e della violenza, perché sempre odio e violenza distruggono”.
Inoltre il Papa segue con viva attenzione quanto sta avvenendo in Venezuela e in Paraguay: “Prego per quelle popolazioni, a me molto care, e invito tutti a perseverare senza stancarsi, evitando ogni violenza, nella ricerca di soluzioni politiche”.
Il grazie di Francesco
“Voglio ringraziarvi per essere venuti qui, a questa Messa. Voglio ringraziare tutti, tutti quelli che hanno lavorato per questa doppia maratona”. Il Papa si riferisce all’inaugurazione della Cattedrale dell’Assunta, che è stata riaperta domenica scorsa dopo il restauro in seguito al terremoto. “Grazie tante! E vorrei ringraziare voi, ammalati. Ci sono 4.500 malati, qui! Grazie a voi, che con le vostre sofferenze aiutate la Chiesa, aiutate a portare la Croce di Cristo. Grazie! Grazie tante a voi!”.
“E al termine di questa celebrazione, il nostro pensiero va alla Vergine Santa, che voi venerate nella chiesa cattedrale a lei dedicata. A Maria offriamo le nostre gioie, i nostri dolori e le nostre speranze. Le chiediamo di posare il suo sguardo misericordioso su quanti tra noi si trovano nella sofferenza, particolarmente sui malati, sui poveri e su chi è privo di un lavoro dignitoso”.
Il Papa, all’arrivo in Cattedrale, si è soffermato a salutare tutti i Vescovi della regione ed ha scambiato un lungo ed eloquente abbraccio con il Card. Carlo Caffarra, Arcivescovo emerito di Bologna ed uno dei firmatari della lettera sui “dubia” in merito all’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia.
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