Francesco all'Europa, "Troppa distanza tra la gente e l'Istituzione"
Papa Francesco a Strasburgo riporta al cuore della sua storia e identità il continente europeo. Un messaggio con molti spunti su cui politici e cittadini potranno meditare e trarre profondi insegnamenti per la loro azione sociale. Toccati i temi della vita, la famiglia, i giovani e la dignità del lavoro
Una lunga ovazione durata alcuni minuti dei 751 deputati, tutti in piedi, saluta il discorso di Papa Francesco al Parlamento europeo, riunito in seduta solenne a Strasburgo, per una visita di poche ore dal significato preciso, indicato sul libro dei visitatori illustri: «Auguro che il Parlamento Europeo sia sempre più la sede dove ogni membro conosca e faccia sì che l’Europa, consapevole del suo passato, guardi con fiducia al futuro, per vivere con speranza il presente. Franciscus 25.11.2014».
Sull'aereo scherza con i giornalisti sul «tour de force» del viaggio internazionale più breve: «Una giornataccia». Gli eurodeputati punteggiano di applausi il discorso, specie nei passaggi sull'immigrazione, il lavoro e la povertà. L’Europa ruoti sulla sacralità della persona e non sulle bizze della finanza. «L’Europa riscopra la sua anima buona».
«Lei è una personalità che orienta in momenti di perdita di orientamento, le sue parole ci aiuteranno» commenta il presidente Martin Schulz. Il Pontefice pone l'accento sull'occupazione «per ridare dignità all’uomo e al lavoro»; ricorda il dramma dei migranti: «Il Mediterraneo non diventi grande cimitero» – silenti gli eurodeputati xenofobi, anti-immigrati, anti-Ue e della destra estrema -; ammonisce sui temi etici: «L'uomo non sia trattato come un bene di consumo» perché l’Europa «soffre per la cultura dello scarto e il consumismo»; ricorda le «radici cristiane» del Continente che – come diceva Giovanni Paolo II - «respira con due polmoni».
Esordisce: «Vi ringrazio per l'invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell'Unione europea e per l'opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri». Constata: «I grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni. Va abbandonata l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa» e indica «l’ideale di un'Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri. Gli effetti della crisi economica perdurano con conseguenze drammatiche dal punto di vista sociale. Dio trasforma il male in bene e la morte in vita».
Il messaggio di speranza si basa «sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa sta attraversando». Incoraggia a «tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori, che desideravano un futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti i popoli». Al centro di questo ambizioso progetto politico c’era «la fiducia nell'uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente».
Rispetto alla visita di Giovanni Paolo II dell’11 ottobre 1988 – quindi prima della caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 - «molto è cambiato in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che l'Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia». Vi è anche un mondo «più complesso e fortemente in movimento, sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno eurocentrico». A un'Europa più estesa «sembra affiancarsi l'immagine di un'Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista».
Il Papa argentino sottolinea «lo stretto legame che esiste fra le due parole: dignità e trascendente» e spiega: la dignità è la parola-chiave che «ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra» quando l’Europa ha incominciato il cammino comune seppellendo «l’ascia di guerra». La storia recente «si contraddistingue per l'indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. Oggi la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell'impegno dell'Ue» anche se persistono «fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi. Quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, il lavoro che lo unge di dignità?».
Promuovere la dignità della persona significa, allora, «riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici». Di conseguenza invoca «una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione individuale o personale a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale».
Prosegue il Papa, che parla in italiano, anche nel successivo discorso all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: «Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze». Una delle malattie più diffuse oggi in Europa «è la solitudine, propria di chi è privo di legami». In particolare negli anziani «spesso abbandonati al loro destino», nei giovani «privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro», nei numerosi poveri «che popolano le nostre città». La povertà si vede «negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti in cerca di un futuro migliore». Negli ultimi anni, accanto al processo di allargamento dell’ Unione Europea «è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti, impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose. Si ricava un'impressione generale di stanchezza e invecchiamento di un’Europa “nonna” e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni».
Nella parte più sferzante del discorso, Francesco condanna «alcuni stili di vita egoisti, caratterizzati da un'opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri» ma condanna anche «un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico».
E così l’uomo «rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere. L’assolutizzazione della tecnica confonde fini e mezzi». Sono i risultati inevitabili della «cultura dello scarto e del consumismo esasperato». Invece «affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio».
Un ampio discorso che sollecita l’esame di coscienza dei singoli parlamentari ma anche delle strutture statali e comunitarie e che chiede un radicale cambio di rotta in nome della dignità umana. Prendersi cura della fragilità delle persone e dei popoli – aggiunge il Pontefice - «dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”; significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità. Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi».
Ma c’è anche una dimensione trascendentale della vita, che il Vescovo di Roma non può assolutamente dimenticare: un’Europa incapace di «aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello spirito umanistico che pure ama e difende». Il Papa di Roma Francesco scuote il Vecchio Continente ricordando «le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone oggetto di barbare violenze; cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti», a cominciare proprio dalla patria del diritto e dei diritti.
Se il motto dell’Unione Europea è «unità nella diversità», unità «non significa monotelismo o uniformità politica, economica, culturale, o di pensiero. Ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo se stesso senza timore». L’Europa è – rammenta il Pontefice ai rappresentati dei 500 milioni di cittadini di 28 Paesi - «una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se esse sapranno sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e dalle tante fobie».
Mettere al centro la persona umana significa «lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività, a livello di singolo e di popolo». Mantenere la democrazia in Europa richiede di evitare «tante maniere globalizzanti di diluire la realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza».
In questa visione, la famiglia «è la cellula basale ed elemento prezioso di ogni società e porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali».
Nell’ultima parte il Pontefice affronta un tema a lui molto caro e che sarà il perno dell’enciclica che sta preparando. Accanto all’ecologia ambientale è assolutamente indispensabile «quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona. È tempo di “favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; significa favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli».
Per il Papa è necessario affrontare insieme la questione migratoria ma, a questo punto, cala sull’euroassemblea la domanda più angosciante: «È lecito accettare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero? Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee, su quei muri che i migranti cercano di scavalcare, su quelle frontiere che cercano di attraversare per sottrarsi alla fame, alla guerra e alla disperazione «ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto». L'assenza di un sostegno reciproco all'interno dell'Ue e di una politica coordinata «rischia di incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti».
Rammentando che la funzione prima di un Parlamento è quella di fare leggi oneste e giuste ecco l’appello finale di Francesco: «A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità individuale e collettiva: vi esorto perciò a lavorare perché l'Europa riscopra la sua anima buona».
Nel successivo discorso al Consiglio d'Europa rammenta che «il terrorismo religioso e internazionale nutre profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti ed è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita in tante parti del mondo, dove imperversano conflitti di vario genere. Anche in Europa quanto dolore e quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo. Oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e l'energia di un tempo. Un'Europa un po' stanca e pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono dagli altri continenti».
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