Francesco: "La morte non è l'ultima parola, siamo destinati alla vita"

Il ricordo della festività dei santi e dei defunti nelle parole di Bergoglio, alla Messa nel Cimitero del Verano e nel corso dell'Angelus di domenica 

Parole chiave: Papa (648), defunti (6), omelia (6), morte (35), vita (45), santi (55)
Folla di fedeli a Verano

Noi siamo capaci di devastare la terra meglio degli angeli. E lo stiamo facendo: devastare il creato, devastare la vita, devastare le culture, devastare i valori, devastare la speranza. Abbiamo bisogno della forza del Signore perché ci sigilli con il suo amore e la sua forza, per fermare questa pazza corsa di distruzione di tutto quello che ci ha dato, delle cose più belle che ha fatto per noi, perché le portassimo avanti, le facessimo crescere e dare frutti». Papa Francesco ritorna sul tema del rispetto del creato, al quale dedicherà la sua seconda enciclica: più che l’ecologia sarà l’«ecologia umana».

Al cimitero romano del Verano sabato 1° novembre, festa di Tutti i Santi, commenta il brano dell’Apocalisse 7,2-4.9-14. Al sentire la frase: «Gridò a gran voce ai quattro angeli  ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare» al Papa è venuta in mente un’altra frase: «Gli uomini sono capaci di farlo, meglio di voi»: «Siamo capaci di struggere la terra meglio degli angeli». Racconta che «quando in sagrestia (di San Lorenzo al Verano, n.d.r.) guardavo le fotografie di 71 anni fa (il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 che colpì il quartiere dove si trova il cimitero, n.d.r.) ho pensato: questo è stato tanto grave e doloroso. Questo è niente in comparazione di quello che oggi accade. L’uomo si impadronisce di tutto, si crede dio. Le guerre continuano, non precisamente a seminare grano di vita ma a distruggere. È l’industria della distruzione: quando le cose non si possono sistemare, si scartano. Si scartano i popoli, i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro. La devastazione ha creato la  cultura dello scarto».

Papa Francesco improvvisa tutta l’omelia a braccio. La seconda immagine è quella delle vittime, dei poveri: «Adesso incomincia il freddo: questi poveri, che devono fuggire per salvare la vita, dalle loro case, dai loro popoli, dai loro villaggi, nel deserto… e vivono in tende, sentono il freddo, senza medicine, affamati… perché il dio-uomo si è impadronito del creato, di tutto quel bello che Dio ha fatto per noi. Ma chi paga la festa? Loro! I piccoli, i poveri, quelli che sono finiti in scarto. E questo non è storia antica, succede oggi. Sembra che questa gente, bambini affamati e ammalati, non contino, che siano di un’altra specie, non siano umani. Questa moltitudine è davanti a Dio e chiede: “Per favore, salvezza! Per favore, pace! Per favore, pane! Per favore, lavoro! Per favore, figli e nonni! Per favore, giovani con la dignità di poter lavorare!”».

Tra le vittime i tanti perseguitati per la fede, «quelli che vengono dalla Grande Tribolazione e che hanno le vesti candide nel sangue dell’Agnello». Invita a pensare «a tutti i santi sconosciuti. Peccatori come noi, peggio di noi, ma distrutti. La maggior parte del mondo è in tribolazione. Il Signore santifica questo popolo con la tribolazione».

Poi la prima lettera di San Giovanni 3,1-3 «Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è». Commenta: «La speranza è ancora la benedizione del Signore. La speranza che abbia pietà del suo popolo, di quelli che sono nella grande tribolazione, dei distruttori e si convertano. E così, la santità della Chiesa va avanti».

Conclude con il Vangelo delle beatitudini Matteo 5,1-12. E dice: «Se vogliamo entrare in questo popolo e camminare verso il Padre, in questo mondo di devastazione, di guerre, di tribolazione, il nostro atteggiamento è quello delle beatitudini. Soltanto il cammino delle beatitudini ci salverà dalla distruzione, dalla devastazione della terra, del creato, della morale, della storia, della famiglia, di tutto. Ma quel cammino ci porterà cose brutte, problemi, persecuzioni. Questo popolo, che soffre per l’egoismo dei nostri fratelli devastatori, va avanti con le beatitudini e con la speranza di trovare Dio. Il Signore ci dia la grazia della speranza e del coraggio di uscire da tutto quello che è distruzione, devastazione, relativismo di vita, esclusione degli altri, esclusione dei valori, esclusione di tutto quello che il Signore ci ha dato».

All’Angelus spiega che «i santi sono uomini e donne comuni, persone semplici, ultimi per il mondo ma primi per Dio. Diamo lode a Dio per la schiera innumerevole dei santi e delle sante di tutti i tempi». Cosa è la comunione dei santi? Un’unione spirituale «che non viene spezzata dalla morte, ma prosegue nell’altra vita. Sussiste un legame indistruttibile tra noi viventi in questo mondo e quanti hanno varcato la soglia della morte. Noi quaggiù, insieme a coloro che sono entrati nell’eternità, formiamo una sola e grande famiglia. Questa realtà ci colma di gioia: è bello avere tanti fratelli nella fede che camminano al nostro fianco, ci sostengono con il loro aiuto e insieme a noi percorrono la strada verso il cielo che ci chiama a essere santi come egli è santo. Per chi vuole seguire Gesù sulla via del Vangelo, Maria è la guida sicura, la Madre premurosa e attenta, a cui confidare ogni desiderio e difficoltà».

All’Angelus della Commemorazione dei fedeli defunti il 2 novembre riflette sulla morte che non ha «l’ultima parola perché l’uomo è destinato a una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio». Invita a pregare per tutti, «anche quelli che nessuno ricorda: le vittime delle guerre e delle violenze; tanti piccoli del mondo schiacciati dalla fame e della miseria; gli anonimi che riposano nell’ossario comune; i fratelli e le sorelle uccisi perché cristiani; quanti hanno sacrificato la vita per servire gli altri».

Con San Francesco d’Assisi auspica che «Sorella morte corporale ci trovi vigilanti nella preghiera affinché niente ci allontani da Dio ma tutto e tutti ci sostengano nell’ardente desiderio di riposare serenamente nel Signore. Il ricordo dei defunti, la cura dei sepolcri e i suffragi sono testimonianza di fiduciosa speranza, radicata nella certezza che la morte non è l’ultima parola sulla sorte umana, poiché l’uomo è destinato a una vita senza limiti, che ha la sua radice e il suo compimento in Dio».

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