Francesco: "Difendere la vita in ogni suo momento e tempo"
Il richiamo alla vita ispirato dal Vangelo di papa Bergoglio ai medici dell'Amci ai quali chiede più attenzione alla dignità umana in ogni circostanza e l'appello alla comunità cristiana per la costruzione di una società accogliente e giusta, rispetto per immigrati e rifugiati che sono figli dell'unico Padre
Alcuni commentatori interessati avevano ventilato l’idea che Papa Francesco fosse di manica larga su quelli che un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 24 novembre 2002 richiama come «principi non negoziabili»: matrimonio tra un uomo e una donna, l’aborto e l’eutanasia. Evidentemente questi «commentatori» si sbagliavano.
Sabato 15 novembre, ricevendo l’Associazione medici cattolici (Amci) per il 70° di fondazione, il Papa ha rivolto un vibrante discorso in difesa della vita umana e li ha esortati a respingere la «falsa compassione» che propone l’aborto, l’eutanasia, la «produzione» dei figli perché «la vita è sempre sacra» e non si possono trattare gli esseri umani come «cavie». Un discorso sulla dignità inviolabile dell’uomo e sulla necessità di porre «attenzione alla vita umana, specie in difficoltà», compito che «coinvolge la Chiesa, che si sente chiamata anche a partecipare al dibattito che ha per oggetto la vita umana, presentando la propria proposta fondata sul Vangelo».
Il Pontefice riconosce che «la qualità della vita è legata prevalentemente alle possibilità economiche, al benessere, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza. Alla luce della fede e della retta ragione, la vita è sempre sacra e sempre “di qualità”. Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non c’è una vita qualitativamente più significativa di un’altra, solo in virtù di mezzi, diritti, opportunità economiche e sociali maggiori».
Ai sanitari aggiunge: «La vostra opera vuole testimoniare con la parola e con l’esempio che la vita umana è sempre sacra, valida e inviolabile, e come tale va amata, difesa e curata. Proseguite su questa strada, sforzandovi di perseguire le vostre finalità statutarie che recepiscono l’insegnamento della Chiesa nel campo medico-morale».
Poi un affondo alla cultura dominante che propone «una falsa compassione: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che “vede e ha compassione”, si avvicina e offre un aiuto concreto», come esemplifica Gesù nel Vangelo. La missione, e la professione, medica «vi mette a quotidiano contatto con tante forme di sofferenza: viincoraggio a farvene carico come buoni samaritani». L’obiezione di coscienza è vista come coerenza e non come dispetto alle donne e alla cultura dominante: «La fedeltà al Vangelo della vita, a volte richiede scelte coraggiose e controcorrente che, in particolari circostanze, possono giungere all’obiezione di coscienza».
Prosegue a braccio denunciando la deriva di chi vuole «sperimentare con la vita: ma sperimentare è male. Di “fare” figli invece di accoglierli come dono e di giocare con la vita. State attenti, eh?, che questo è un peccato contro Dio Creatore, che ha creato le cose così». Si batte anche contro l’opinione che l’obiezione di coscienza è un problema religioso, cosa che ha sentito tante volte da quando è sacerdote (dal 1969): «No, non è un problema religioso, e nemmeno filosofico. È un problema scientifico, perché lì è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. “Ma, no, il pensiero moderno”. Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola “uccidere” significa lo stesso. Lo stesso vale per l’eutanasia: tutti sappiamo che con tanti anziani, in questa cultura dello scarto, si fa questa eutanasia nascosta. Questo è dire a Dio: “No, la fine della vita la faccio io, come io voglio”. Peccato contro Dio Creatore. Pensate bene a questo».
Tra i fondatori 70 anni fa dell’Amci ci sono due torinesi. Durante l'occupazione nazista di Roma nel 1943, l’Istituto cattolico attività sociali (Icas), in accordo con l’Azione Cattolica, comincia il riordino e la ricostruzione delle unioni professionali cattoliche, soppresse dalla dittatura fascista. Alcuni medici cattolici redigono lo statuto dell’Amci e la mattina del 5 luglio 1944 - guidati dai torinesi Luigi Gedda e Agostino Maltarello – si ritrovano in una chiesa romana e danno vita all’Associazione medici cattolici: sono sanitari ospedalieri, universitari e funzionari della sanità pubblica, tutti militanti dell’Azione Cattolica. Luigi Gedda (1902-2000) era veneziano di nascita e torinese di adozione, medico e genetista, allora presidente della Gioventù di Azione Cattolica e poi presidente dell’Azione Cattolica e sindonologo di fama; Agostino Maltarello (1912-2009), nato a Torino, collaboratore di Gedda, gli succede alla presidenza della Giac e dell’Azione Cattolica (1959-1964). Un altro settore «caldo» è quello dei rapporti immigrati-residenti. Ai disordini scoppiati a Roma nel quartiere di Tor Sapienza ha accennato Francesco all’Angelus di domenica 16, «tensioni piuttosto forti tra residenti e immigrati. Sono fatti che accadono in diverse città europee, specialmente in quartieri periferici segnati da altri disagi». Invita le istituzioni «ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale e che, se non affrontata al più presto e in modo adeguato, rischia di degenerare sempre di più».
E durante l'Angelus Papa Bergoglio ha ricordato come la comunità cristiana «si impegna in modo concreto perché non ci sia scontro ma incontro. Cittadini e immigrati, con i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi, anche in una sala della parrocchia, e parlare insieme della situazione. L’importante è non cedere alla tentazione dello scontro e respingere ogni violenza. È possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme e superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica e inclusiva».
La parabola dei talenti, ma anche gli scontri avvenuti a Roma tra residenti e migranti, e le vittime della strada. Ha spaziato tra questi temi papa Francesco all’Angelus di oggi in piazza San Pietro.
I talenti, ha spiegato il Pontefice, non sono le qualità individuali, ma il patrimonio che il Signore affida agli uomini: la sua Parola, l’Eucaristia, la fede, il Suo perdono, cioè «i suoi beni più preziosi» che le persone sono chiamate a rendere fruttuosi.
Proprio nel settore dei migranti e rifugiati la Chiesa si impegna da sempre a comprendere le cause alle origini delle migrazioni e a lavorare per superare gli effetti negativi. All’Università Urbaniana di Roma si tiene il VII Congresso mondiale della pastorale dei migranti con 300 esperti di 93 Paesi.
Il rapporto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite su sviluppo e migrazione internazionali del 30 luglio 2014 colloca al primo posto il Messico con 13 milioni di emigrati, poi India e Russia con 11 milioni, Cina (8.440.000), Bangladesh (6.480.000), Ucraina (6.450.000). Gli Stati Uniti è il Paese preferito dai migranti con 42.810.000, cifra che non si raggiunge sommando gli immigrati in Russia, Germania, Arabia Saudita, Canada.
Su base continentale l’Asia è al vertice con 92 milioni e mezzo di emigrati, Europa (58 milioni), America Latina e Caraibi (37 milioni), Africa (31 milioni), America del Nord (4.300.000), Oceania (1.900.000). L’Europa è la meta preferita con 72.400.000 immigrati, Asia (70.800.000), America del Nord (53.100.000), Africa (18.600.000), America latina e Caraibi (8.500.000), Oceania (7.900.000). Cifre che parlano chiaro: da decenni c’è la rincorsa ai Paesi del nord del mondo.
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