Ecumenismo e dialogo teologico tra Chiesa cattolica e ortodossa
Papa Francesco in Turchia ad Istanbul dal 28 al 30 novembre, un viaggio dalle molteplici implicazioni soprattutto rispetto ai rapporti con l'Islam
Il cuore del viaggio di tre giorni (28-29-30 novembre) di Papa Francesco in Turchia è sicuramente «ecumenico». Domenica 30 partecipa alla festa di Sant’Andrea, fratello di Pietro e patrono della Chiesa ortodossa. Sbrigate venerdì 28 le formalità ad Ankara, capitale della Turchia, si sposta a Istanbul e visita il Mausoleo di Santa Sofia – Cattedrale cattolica scippata dai musulmani che ne fecero una moschea e poi un museo – e la moschea Sultan Ahmet, partecipa alla preghiera ecumenica e incontra il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I nella chiesa patriarcale di San Giorgio. Domenica nella stessa chiesa partecipa alla Divina Liturgia, impartisce con il Patriarca la benedizione ecumenica, firma la «dichiarazione congiunta», pranza con il Patriarca e, al termine, tiene un discorso. ***
Si deve alla ventennale (1925-1944) immersione nel mondo ortodosso, come delegato apostolico a Sofia (1925-1934) e poi a Istanbul (1934-1944), l’acuta sensibilità di Papa Giovanni per l’ecumenismo.
Con il motu proprio «Superno Dei nutu» (5 giugno 1960) istituisce il Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, divenuto nel 1988 Pontificio Consiglio, «un cammino irreversibile e irrevocabile» scrive Giovanni Paolo II nell’enciclica «Ut unum sint» (25 maggio 1995), «una pietra miliare sul cammino ecumenico della Chiesa cattolica, un impegno primario per la ricostituzione della piena e visibile unità dei seguaci di Cristo» dice Benedetto XVI (19 novembre 2010). Prima del Concilio Leone XIII e Benedetto XV promuovonola Settimanadi preghiera per l’unità dei cristiani, iniziata nel 1908 da Paul Watson, un anglicano statunitense convertito al Cattolicesimo.
Giovanni XXIII spingela Chiesasulla scena ecumenica con l’annuncio il 25 gennaio 1959 del Concilio in una stagione in cui il Sant’Uffizio considerava l’ecumenismo un potenziale pericolo per la dottrina, esercitava un controllo asfissiante sulle attività ecumeniche in forza dell’enciclica «Mortalium animos» (1928) di Pio XI che vietava ai cattolici di partecipare alle riunioni ecumeniche.La Chiesaera in spaventoso ritardo, ma il Concilio la riportò al passo con i tempi. Nella seconda guerra mondiale cattolici e protestanti, ortodossi ed ebrei soffrirono insieme nei campi di battaglia, nei rifugi antiaerei, nei campi di concentramento, nella resistenza.
Il protagonista di quella stagione è il gesuita tedesco Agostino Bea: conosce la tragedia della divisione confessionale in Germania. Studente a Berlino, incontra famosi teologi protestanti; eminente biblista, conoscitore dell’Antico Testamento e dell’Ebraismo, rettore del Pontificio Istituto Biblico, «cardinale del dialogo» Bea l’11 marzo 1960 chiede a Papa Giovanni di erigerela Commissioneper l’ecumenismo: due giorni dopo il Papa la istituisce e lo nomina presidente. Lo scopo «è ad unitatem christianorum fovendam e per mostrare il nostro amore e la nostra benevolenza verso quelli che portano il nome di cristiani, ma sono separati dalla Sede Apostolica, perché possano seguire i lavori del Concilio e trovare più facilmente la via dell’unità».
Il Segretariato stabilisce i contatti con le altre Chiese e il Consiglio ecumenico delle Chiese, invita gli osservatori a partecipare al Concilio, deve superare le difficoltà frapposte dal Sant’Uffizio e dal suo capo Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio».
Il 2 dicembre 1960 visita segreta del dottor Geoffrey Francis Fisher, arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, a Giovanni XXIII. «Santità, sono quattro secoli che non ci vediamo» dice entrando.
Sotto la direzione di Bea, il Segretariato è molto attivo nel Concilio. Si articola in due sezioni, una per gli ortodossi e una per i protestanti; si occupa degli osservatori non cattolici; offre contributi al dibattito conciliare; prepara il decreto sull'ecumenismo; contribuisce alla stesura dei documenti «Dei Verbum» sulla Parola di Dio, «Nostra aetate» sull’ebraismo, «Dignitatis humanae» sulla libertà religiosa.
Cinquant’anni fa, il 21 dicembre 1964, Papa Paolo VI e i padri conciliari firmano e promulgano tre documenti di grande importanza: la costituzione dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium», il decreto sulle Chiese cattoliche orientali «Orientalium ecclesiarum», il decreto sull’ecumenismo «Unitatis redintegratio». L’anno si era aperto sotto i migliori auspici: Papa Montini, durante il viaggio in Terra Santa (2-4 gennaio 1964) incontra e abbraccia il Patriarca di Constantinopoli Athenagoras I, che restituisce la visita a Roma il 6 dicembre 1965 quando cancellano le reciproche scomuniche del 1054.
Dopo il Concilio alla presidenza del Segretariato si alternano cardinali provenienti dai Paesi della Riforma: l’olandese Johannes Willebrands, l’australiano Edward Cassidy, il tedesco Walter Kasper e oggi lo svizzero Kurt Koch. Lavorano agli incontri tra i capi delle Chiese; alle «Dichiarazioni cristologiche» con le Chiese copta, siro-ortodossa, armena e assira che chiudono controversie durate 1.500 anni; alla «Dichiarazione sulla dottrina della giustificazione» con luterani e metodisti; al «Documento di Ravenna» con gli ortodossi sulla natura della Chiesa; ai dialoghi con anglicani, luterani, riformati e metodisti.
Il clima è ben diverso rispetto a 50 anni fa. L’entusiasmo si è affievolito. Come reazione al secolarismo ci sono atteggiamenti integralisti e antiecumenicí, le Chiese sono alle prese con problemi interni. Molti hanno perduto la speranza e prevale un ecumenismo di convivenza bonaria e di collaborazione nella cultura e nel sociale, nei diritti umani, nella tutela della vita, nella giustizia, nella salvaguardia del creato. Tutto questo è importante ma non è lo scopo dell’ecumenismo, che rimane l’unità nella diversità e la diversità nell’unità.
Il «primato petrino» – cioè i poteri e i compiti, le prerogative e l’autorità del Papa – è la vera pietra d’inciampo nel dialogo ed è oggetto di ricerca della Commissione mista internazionale cattolici-ortodossi, i cui lavori si sono sbloccati nel 2006, dopo una stasi di sei anni, durante la visita di Benedetto XVI in Turchia (28 novembre-1° dicembre 2006).
Nell’enciclica «Ut unum sint» Giovanni Paolo II definisce «significativo e incoraggiante» che il primato sia diventato «oggetto di studio dopo secoli di aspre polemiche». Definisce il primato: «Con il potere e l’autorità il Vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese, egli è il primo tra i servitori dell’unità. Quale Vescovo di Roma so bene che la comunione piena e visibile di tutte le comunità è il desiderio ardente di Cristo («Ut unum sint, che tutti siano uno», n.d.r.). Sono convinto di avere una responsabilità particolare, nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova».
Cinquant’anni di ecumenismo insegnano che il dialogo procede a piccoli passi e che la vera unità è ancora lontana. Dal 15 al 23 settembre 2014 si è tenutala XIII(e ultima) sessione della Commissione ad Amman (Giordania). Ai lavori, presieduti dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio, e dal metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico, hanno partecipato due rappresentanti di ognuna delle 14 Chiese ortodosse autocefale e altrettanti rappresentanti cattolici.La Commissioneha esaminato il documento «Sinodalità e primato», redatta dal comitato di coordinamento della Commissione nelle ultime riunioni a Ravenna 2007, Vienna 2010, Roma 2011, Parigi 2012.
Ecumenismo e dialogo
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