Un canto per papa Montini
Si intitola «In nomine Domini» ed è «torinese» l'inno eseguito domenica 19 ottobre in piazza San Pietro per la beatificazione di Paolo VI. Il testo è del liturgista padre Eugenio Costa, gesuita, a lungo direttore del Centro Teologico di Torino e collaboratore dell'Uffico liturgico diocesano. La musica è stata composta da don Massimo Palombella, salesiano torinese, direttore della Cappella Sistina.
No, non è un inno «a Paolo VI»: non si tratta di un canto agiografico, ma di un inno cristologico. Nel proclamare «Beato» questo suo figlio, la Chiesa, come dice la dichiarazione rituale detta dal Papa, «concede che il Venerabile Servo di Dio Paolo VI, papa, d’ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa …»: è un riconoscimento solenne della vita santa di un cristiano, ormai «al sicuro» nelle mani di Dio, che tutti abbiamo da considerare e da chiamare con un nome definitivo: «beato», cioè «santo». È dunque un Magnificat alla gloria di Dio, che ha colmato di doni “l’umile suo servo” e che, con un’infinita schiera di altri santi e sante, irrompe ancora una volta nella vita della Chiesa per darle vigore, coraggio e senso del futuro. Al centro della vita di Papa Montini, nostro Signore Gesù Cristo, «luce delle genti» (Concilio Vaticano II), cuore della Chiesa, centro di ogni lode e di ogni festa.
Comporre un inno per dare voce a questa formidabile esperienza ecclesiale ha richiesto anzitutto di pensarne l’impianto di fondo: come integrare questa centralità di una vita in Cristo, e le concrete realtà e vicende storiche che appartengono al Beato? Perché di fatto, la sua vita santa è cresciuta e maturata nei lunghi anni di tutta un’esistenza, dai tempi famigliari a quelli del massimo impegno pastorale, intrecciata a situazioni e contesti, e a una chiamata sempre più esigente, a cui Paolo VI ha fatto fronte con le proprie doti personali, di cui il Signore lo aveva largamente arricchito. Il suo impegno per il Concilio Vaticano II è stato un vertice del suo vissuto, nel suo svolgersi e nel suo dipanarsi durante i non facili anni successivi (un forte segno fu quello della riforma liturgica generale, voluta dal Concilio e attuata gradualmente nel seguito). Ma nello stesso tempo, i viaggi e i contatti internazionali (non dimentichiamo il suo discorso all’Onu, 1965) lo hanno reso cittadino del mondo e grande annunciatore del Vangelo oltre in confini della Chiesa.
L’inno a cui si è giunti, carichi di questa esigente meditazione, è concretamente fatto di tre strofe, ciascuna delle quali ha il suo fulcro nel ritornello («Christus, lumen gentium! Christus in Ecclesia! Mittat nos ad gentes!»), insieme acclamazione, e supplica per la missione. L’uso del latino, scolpito con pochi termini, vorrebbe facilitare il canto per una grande assemblea multinazionale e favorirne l’adesione al nucleo dell’inno stesso. Le tre strofe alludono alla personalità di Montini, al suo impegno pastorale e al suo essere per il mondo. Il ripetuto inserimento del suo motto pontificio (in nomine Domini) intende ribadirne l’orientamento profondo, che ha segnato una vita. Il tono delle strofe vorrebbe essere insieme ammirativo e affettuoso. L’articolazione del testo suggerisce, al compositore e a chi eseguirà il canto, di attribuirne forse le varie parti a voci diverse, per farne un vero atto di Chiesa, dove molti siano coinvolti e tutti possano unirsi nell’acclamazione.
La collaborazione con il musicista, don Massimo Palombella, Maestro della Cappella Musicale Sistina, è stata agevole, perché è entrato immediatamente nel gioco: sapendo di disporre di mezzi musicali adeguati, ha fatto entrare in campo il coro a più voci, i solisti e tutta l’assemblea, con un robusto accompagnamento strumentale. Mentre le parti destinate ai cantori sono più complesse, e sempre raffinate, il ritornello è semplice e quadrato, facile da apprendere. Lo stile complessivo dell’inno musicato è sensibile a certe acquisizioni compositive moderne ed evita di riprendere formule scontate e armonie stanche. Il musicista ha inteso, con questo, rimanere sensibile all’atteggiamento ben noto di Paolo VI verso il moderno, in particolare le arti, da lui sentite come segnali di un cammino dell’umanità e come apertura al mondo altro, luogo di ricerche e di approdi significativi.
testo e musica: http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=60910
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