Primo Mazzolari inizia il processo diocesano per la beatificazione
Il vescovo di Cremona ha fatto partire la causa del parroco di Bozzolo, prete per la pace e la vita
Mons. Dante Lafranconi, vescovo di Cremona, il 23 aprile ha annunciato chela Congregazione per le cause dei santi ha dato il via libera all’apertura, in sede diocesana, della causa di beatificazione di don Primo Mazzolari (1890-1959), che Papa Giovanni definì «la tromba dello Spirito». Un’esistenza dedicata ai poveri, ai «lontani», alla pace, al rinnovamento della Chiesa, alla valorizzazione dei laici ben prima del Concilio Vaticano II. È l’incarnazione una Chiesa «per» e «con» i poveri.
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Prima di morire il 12 aprile 1959, don Primo Mazzolari ebbe due intimi momenti di gioia: il 25 gennaio 1959 Papa Giovanni annunciava il Concilio e il 5 febbraio lo riceveva in udienza, a suggello di una «riabilitazione» alla quale aveva dato un contribuito determinante il cardinale arcivescovo Giovanni Battista Montini chiamandolo nel1957 apredicare nella «Missione di Milano». Riabilitazione «senza se e senza ma». Afferma il cardinale Carlo Maria Martini: «Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio».
Primo nasce al Boschetto, periferia di Cremona, il 13 gennaio 1890 da una famiglia contadina con la quale a 10 anni si trasferisce a Verolanuova nel Bresciano. Nel 1902 entra in Seminario a Cremona e il 25 agosto 1912 è ordinato sacerdote nella parrocchia di Verolanuova dal vescovo di Brescia Giacinto Gaggia, lo stesso che il 29 maggio 1920 ordinerà Montini, di 7 anni più giovane di Mazzolari.
Viceparroco a Spinadesco e al Boschetto, insegnante di lettere in Seminario a Cremona, nell’estate 1914 va in Svizzera tra gli emigrati italiani rimpatriati dalla Germania. Nel 1915 l’Italia entra in guerra e don Mazzolari è soldato semplice a Genova, caporale all’ospedale militare di Cremona e nel 1918-20 cappellano militare con le truppe italiane in Francia, degli Alpini sul Piave, poi nell’Alta Slesia in Polonia. Un’esperienza che lo segna profondamente. Al rientro, nel 1921 il vescovo Giovanni Cazzani lo nomina parroco di Cicognara. Inflessibile oppositore del fascismo, nel 1931 gli squadristi sparano tre colpi di pistola alla sua finestra. Nel 1932 è nominato parroco di Bozzolo e inizia uno straordinario percorso negli ambienti sociali e nei movimenti politici. Dal 1941 partecipa a Milano al movimento contro il nazifascismo e, dopo l’8 settembre 1943, collabora alla Resistenza partigiana: arrestato e rilasciato tre volte, ricercato dalle SS, in clandestinità si nasconde a Gambara (Bs) e poi a Bozzolo.
Dopola Liberazionecerca di evitare le vendette e prepara i giovani a una nuova stagione democratica. Nel 1949 fonda il quindicinale «Adesso» di cultura sociale e politica, che gli procura dieci richiami dall’autorità ecclesiastica e la chiusura temporanea nel1951. Inquell’anno convoca a Modena un convegno sulla pace proponendo agli italiani «un patto di fraternità». Nel 1954 il Sant’Uffizio – guidato dal cardinale Alfredo Ottaviani, «il carabiniere di Dio», quello della scomunica dei comunisti del 1949 e dei «comunistelli di sacrestia» – gli proibisce di predicare fuori diocesi e di scrivere su «Adesso». Ma dopo il pontificato pacelliano, arrivano Papa Giovanni e il Concilio. I riconoscimenti di Montini e Roncalli sono decisivi, anche se in extremis. Colpito da ictus mentre predica nella Messa domenicale, don Primo muore a Cremona il 12 aprile 1959.
Le sue opere principali sono: «La più bella avventura» (1934), «Il Samaritano» (1938), «Tra l’argine e il bosco» (1938), «La Via Crucisdel povero» (1939), «Tempo di credere» (1941), «Anch’io voglio bene al Papa» (1942), «Impegno con Cristo» (1943), «La samaritana» (1944), «Il compagno Cristo» (1945), «La pieve sull’argine» (1952), «La parola che non passa» (1954), «Tu non uccidere» (1955), «La parrocchia» (1957), «I preti sanno morire» (1958).
Titoli secchi, contenuti alti e forti. Nonostante le censure ecclesiastiche, non si sente «fuori» ma «dentro»la Chiesa. Autentico«profeta», avverte i passaggi della storia, le tensioni politiche, le sofferenze dei poveri, i dubbi dei lontani, le attese dei giovani. Dalla sua terra apre gli occhi sulla Chiesa e sul mondo con uno sguardo che sa coniugare l’«adesso» e il «domani», il «già» e il «non ancora». Per luila Chiesaè «la casa» dove si impara che «Dio è amore», «casa» coniugata in cinque modi:la Chiesacasa del Padre; casa della redenzione; casa della libertà; casa dei poveri; casa della testimonianza. Nella «Lettera sulla parrocchia» spiega: «Nella parrocchiala Chiesafa casa con l’uomo. Il parrocchiano ha diritto di incontrarvi il suo travaglio, la sua passione, la sua fatica quotidiana; non solo come spesso accade, attraverso l’asprezza del pulpito o del bollettino, ma nella verità del giudizio cristiano, il quale mentre dà il criterio di ciò che dovrebbe essere, dà pure la forza di superare certe posizioni incomplete e false. Anche gli errori vi hanno voce poichéla Chiesa, pur condannandoli, rispetta ogni rettitudine di ricerca e ricapitola ogni briciola di verità. Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome. C’è un bisogno di essere portati a spalla sull’esempio del buon pastore». Nei poveri vede i «segni dei tempi»: «Una parrocchia senza poveri cos’è mai? Una casa senza bambini, forse più triste. Purtroppo ci siamo così abituati a case senza bambini e a chiese senza poveri. I bambini e i poveri scomodano».
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