Il senso della Domenica, giorno di festa
I documenti dalla Conferenza Episcopale negli anni Ottanta alle parole di Papa Francesco del 2017
Alcune società secolarizzate hanno smarrito il senso cristiano della domenica illuminata dall’Eucaristia. È un peccato questo». Nell’udienza generale del 13 dicembre 2017 Papa Francesco risponde alla domanda «Perché andiamo a Messa la domenica?» e ricorda: «L'astensione domenicale dal lavoro non esisteva nei primi secoli: è un apporto specifico del Cristianesimo. Fu il senso cristiano del vivere da figli e non da schiavi, animato dall’Eucaristia, a fare della domenica, quasi universalmente, il giorno del riposo».
Parecchi giornali si sono meravigliati che il Pontefice tornasse sull’argomento, come se egli non sapesse che nella società opulenta, globalizzata e interattiva si considerano queste cose poco o nulla. E invece sono cose importanti se si vuole conservare un minimo di umanità. A metà dell’Ottocento i vescovi piemontesi, nelle lettere pastorali, sono molto allarmati dall’incipiente «disinteresse» dei cattolici per la domenica; scagliano fulmini contro la libertà di stampa e le rappresentazioni teatrali. Nella lettera per la Pasqua 1944 l’estensore, il torinese mons. Giuseppe Angrisani, vescovo di Casale, constata: «I divertimenti lubrici o addirittura osceni profanano i giorni festivi, dissacrano famiglie e coscienze».
Della domenica si torna a parlare, fuggevolmente, nel fondamentale documento pastorale dell’episcopato «Catechismo per la vita cristiana. Il rinnovamento della catechesi» (2 febbraio 1970): «La domenica deve essere presentata come festa primordiale e Pasqua settimanale. Il giorno del Signore risorto e asceso al cielo raduna in assemblea i credenti per renderli sempre più Chiesa: è giorno di gioia, di riposo dal lavoro, di fraternità» (n. 2721).
Il 15 luglio1984, nella nota pastorale «Il giorno del Signore» l’episcopato scrive: «È sempre più necessario ripensare il ruolo e gli scopi del fine settimana alla luce della nuova realtà socio-culturale, se non si vuole che la domenica, anziché rappresentare un momento di crescita per la convivenza umana, diventi un'evasione dall'impegno cristiano e un motivo di disgregazione e alienazione».
Il problema non è solo italiano. Nel settembre 1985 la Conferenza episcopale tedesca e il Consiglio della Chiesa evangelica di Germania firmano la dichiarazione comune «Bisogna difendere la domenica». Il 25 gennaio 1988 mons. Karl Lehmann, presidente dei vescovi tedeschi, e il dottor Martin Kruse, presidente del Consiglio della Chiesa evangelica, osservano: «Un numero crescente di persone è impegnato anche alla domenica e nei giorni festivi, e la domenica diventa un giorno di lavoro al servizio del tempo libero e dei consumi. Questi sviluppi mettono in pericolo la domenica. L'uomo non può essere assorbito solo dal lavoro».
Il 6 marzo 1990 nella nota «Il lavoro festivo» interviene l’episcopato piemontese: «Per molti lavoratori la domenica ha perso il suo senso originario. Molti non legano più il giorno festivo del non lavoro alla domenica e ipotizzano una diversa regolamentazione dei giorni lavorativi e dei giorni festivi. Questa tesi propone un alternarsi di lavoro e di riposo in cui la domenica non assume il significato di un unico giorno non lavorativo».
Sopravviverà la domenica? Qualche industriale si secca per questo allarme: «Certe affermazioni sono gratuite e ciascuno deve fare il suo mestiere» dichiara Carlo Patrucco, vicepresidente della Confindustria. Non è dello stesso avviso Gianni Agnelli, presidente della Fiat. Con altri colleghi incontra mons. Giovanni Saldarini, arcivescovo di Torino. «Non condivido il giudizio di Patrucco - dice Agnelli - mi pare inopportuno». Per Vittorio Merloni, ex presidente della Confindustria, la sortita di Patrucco è infelice «perché i vescovi hanno il diritto di intervenire sulle questioni morali e il lavoro è una questione morale».
Il 19-20 marzo 1990 nella visita a Ivrea, Scarmagno e Chivasso, Giovanni Paolo II afferma: «Il lavoro non deve spegnere lo spirito, deve porsi al suo servizio, va svolto in modo umano. Di qui la necessità del riposo festivo». Al documento dei vescovi subalpini il Papa offre apprezzamento e appoggio. Il fenomeno del lavoro festivo «purtroppo si sta introducendo nel processo lavorativo delle fabbriche. Giustamente avete rilevato che il ritmo della vita dell'uomo non solo esige una sosta nel lavoro settimanale, ma chiede che questa sosta sia possibilmente contemporanea per tutti i membri della famiglia».
Papa Wojtyla riprende il tema il 15 giugno 1990 con i giudici della Corte d'Appello di Graz in Austria: «La preservazione e il recupero della domenica, minacciata dal mondo economico e dall'industria del tempo libero» sono un impegno per i cattolici.
Nell'opulenta Svizzera nell'aprile 1990 i vescovi esprimono un «no» deciso al progetto di legge sul lavoro perché antepone le esigenze del capitale a quelle dei lavoratori e delle famiglie e discrimina le donne sul salario e sull'avanzamento di carriera. Nella lettera apostolica «Dies Domini. Il giorno del Signore» (31 maggio 1998) Wojtyla ribadisce: «Il giorno del Signore per i cristiani deve tornare a essere espressione di gioia comunitaria».
La coraggiosa espressione che sgorga dalla bocca dei martiri di Abitene «Sine dominico non possumus. Senza la domenica non possiamo vivere» è scelta come tema del XXIV Congresso eucaristico nazionale di Bari (21-29 giugno 2005), concluso da Benedetto XVI.
Nell’enciclica «Laudato si’» (24 maggio 2015) Papa Francesco scrive: «La domenica, la partecipazione all'Eucaristia ha un'importanza particolare. Questo giorno, come il sabato ebraico, è per il risanamento delle relazioni dell'uomo con Dio, con sé, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della risurrezione, il "primo giorno" della nuova creazione. Questo giorno annuncia il riposo eterno dell'uomo in Dio. Così la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L'essere umano tende a ridurre il riposo all'ambito dello sterile e dell'inutile. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione gratuita. In questo modo l'azione umana è preservata da un vuoto attivismo, dalla sfrenata voracità e dall'isolamento della coscienza».
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