Filippine, liberato padre Chito ostaggio dell'Isis
A Marawi l'esercito del Presidente Duterte continua la guerra contro i terroristi. Ancora nessuna notizia di padre Dall'Oglio e di due metropoliti ortodossi siriani
Due preti cattolici sono stati liberati dalle mani dei terroristi islamici in Oriente, ma di altri non si hanno notizie da anni. Ovunque, sotto i colpi di varie coalizioni, la follia jihadista sta perdendo terreno ma non è ancora sconfitta.
NELLE FILIPPINE PADRE CHITO È LIBERO - All'alba del 17 settembre 2017 l'esercito delle Filippine è strappato dalle mani dei jihadisti – a Marawi, sull'isola di Mindanao occupata dal 23 maggio – padre Teresito («Chito») Suganob, parroco di Marawi. Il sacerdote sta bene. A Marawi l'esercito sta stringendo le fila per porre fine al terrorismo dei militanti del «Maute» che hanno giurato fedeltà allo stato islamico. Il sito «Vatican Insider» de «La Stampa» informa che «gli ultimi jihadisti si sono asserragliati nella moschea e si fanno scudo con gli ostaggi». Prima di lasciare Roma – dove ha partecipato a un incontro promosso dalla Comunità di Sant'Egidio - mons. Edwin De la Pena, vescovo di Marawi, dichiara: «Dio sa trarre il bene anche dal male. Tra cristiani e musulmani abbiamo superato i reciproci pregiudizi e abbiamo sperimentato la comune umanità. La triste vicenda della distruzione di Marawi è stata l'opportunità per sviluppare vicendevole compassione e misericordia». Il vescovo scampò al sequestro: trovandosi in visita pastorale in una parrocchia fuori città, giunse in ritardo in Cattedrale dove avevano fatto irruzione i jihadisti, sequestrando padre Chito e altri.
PADRE TOM, 30 CHILI IN MENO - Trenta chili in meno, indebolito nel fisico, ma con una forza spirituale meravigliosa e una forte lucidità mentale. Così a Roma si è presentato ai giornalisti padre Tom Uzhunnalil, il salesiano missionario indiano sequestrato il 4 marzo 2016 ad Aden in Yemen e liberato il 12 settembre 2017. Sulla dinamica della liberazione e sull’identità dei rapitori non vengono forniti elementi «poiché – precisa don Ángel Fernández Artime, rettor maggiore dei Salesiani - «molte sono le cose che non sappiamo. È certo che la liberazione e la consegna sono avvenute attraverso un operatore umanitario, in comunicazione e connessione con il Sultanato di Oman. Alla Congregazione Salesiana non è stato chiesto il pagamento di nessun riscatto, e non abbiamo notizia che sia stato effettuato alcun pagamento». La Segretaria di Stato, il Vicariato apostolico dell’Arabia del sud e i Salesiani si sono affrettati a ringraziare pubblicamente il sultano di Oman.
HO PREGATO PER I RAPITORI - Racconta padre Tom: «Ho pregato sempre per tutti, il Papa, le suore Missionarie della carità di madre Teresa uccise ad Aden, la famiglia, coloro che sapevo avrebbero pregato per me, per i rapitori. Mai sono stato maltrattato e i rapitori hanno provveduto anche a darmi le medicine che mi servono per il diabete. Grazie alle 230 compresse che avevo a disposizione riuscivo a tenere il conto dei giorni che passavano». I rapitori, al momento dell’irruzione, avevano portato via anche il tabernacolo della cappella. I giornalisti gli chiedono le ragioni del rapimento. Risponde: «Non saprei, per tentare di avere soldi, forse. Ci sono molti gruppi che fanno cose del genere per soldi. Oppure perché sono indiano. Non so, davvero». Padre Uzhunnalil ora è in cura nella casa salesiana nel territorio della Santa Sede e tornerà in India quando i medici lo riterranno opportuno. Nel commovente incontro con Papa Francesco, secondo lo stile indiano, si è chinato a terra per baciare i piedi del Pontefice, che lo ha aiutato a rialzarsi, gli ha baciato le mani e lo ha benedetto. Il cardinale arcivescovo di Mumbai Oswald Gracias di Mumbai lo ha accompagnato dal Papa. Il salesiano ha chiesto di essere confessato, cosa che non faceva dal giorno del rapimento. A seguito del suo rapido dimagrimento i rapitori gli hanno fornito i farmaci per il diabete.
NESSUNA NOTIZIA DI PADRE DALL’OGLIO – Quattro anni fa il 29 luglio 2013 veniva sequestrato a Raqqa (Siria) il gesuita italiano Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica siriana di Mar Musa. Sulla sua sorte si sono rincorse tante voci, ma nessuna conferma. Il suo rapimento non è mai stato rivendicato. Il sacerdote si era recato a Raqqa, capitale siriana dello Stato Islamico (Isis) per prendere parte a un raduno di studenti. Il giorno dopo andò al quartier generale dello Stato Islamico dell'Iraq e della Siria per parlamentare: lì è scomparso. Una versione, questa, avvalorata da Pietro Dall’Oglio, fratello del sacerdote: «Credo che si sia recato a Raqqa per parlare con i capi dell’Isis e dire loro che i cristiani credono nel dialogo e nell’integrazione. Ha voluto suggellare il suo impegno come gesuita a difesa della pace, dei suoi fedeli e confratelli». Impegnato nel dialogo con il mondo islamico, padre Dall’Oglio nel 2012 fu espulso dal regime del presidente Assad. Ma era tornato in Siria il 27 luglio 2013 ed è scomparso due giorni dopo.
DA QUATTRO ANNI RAPITI I VESCOVI ORTODOSSI - Due metropoliti di Aleppo - il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi – furono rapiti il 22 aprile 2013 nell'area compresa tra la metropoli siriana di Aleppo e il confine con la Turchia. L'auto su cui viaggiavano fu bloccata da un gruppo dei rapitori, che freddarono l'autista con colpo alla testa: era Fathallah, un cattolico di rito latino, padre di tre figli. Da allora, nessun gruppo ha rivendicato il loro sequestro. «Il destino dei nostri fratelli è ancora oscuro». Con queste parole, contenute in un messaggio congiunto, indirizzato nella Pasqua di quest’anno, i due patriarchi di Antiochia - il siro ortodosso Mar Ignatios Aphrem II e il greco ortodosso Yohanna X – parlano del «dolore della Chiesa di Antiochia e della voce di tutti gli afflitti di questo Oriente». Aggiungono: «I cristiani della Chiesa di Antiochia sono sempre chiamati a ricordare che il cammino della risurrezione è iniziato con la croce, e si è compiuto con la luce della tomba vuota. Noi che seguiamo Cristo, non temiamo morte e avversità, ma preghiamo nella nostra debolezza».
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