Dottrina sociale cristiana: cambiare per essere efficaci
A Chieri una giornata di studio per cercare nuove prospettive in grado di incidere sul mondo attuale
«La persona umana viene al primo posto». Così l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia ha aperto sabato 4 luglio il «Festival della Dottrina sociale della Chiesa» per i gruppi Dottrina Sociale della Chiesa (Dsc) delle province di Torino e Asti.
«Un Festival che ha lo scopo di preparare all’appuntamento nazionale di novembre a Verona», spiega Sergio Gaiotti, anima dell’evento. «Un’occasione per riflettere su tre questioni all’apparenza distanti tra loro, ma in realtà unite dal denominatore della valorizzazione dell’individuo: il lavoro, il contrasto alle dipendenze e la lotta a mafie e lobby, in particolare alla luce del pensiero di don Luigi Sturzo».
Nella relazione introduttiva, mons. Nosiglia ha sottolineato il primato della persona nei suoi molteplici aspetti, quello spirituale compreso: «Tutt’altro approccio rispetto a chi considera l’uomo come una particella della Natura, da accendere o spegnere in base all’utilità. L’uomo, invece, è una creatura di Dio, titolare di diritti inalienabili che la Chiesa difende in ogni aspetto dell’esistenza umana».
L’arcivescovo mette poi in evidenza un secondo aspetto: «Il primato dell’essere sull’avere. Ricordo quando ero vescovo a Vicenza: in un incontro con un imprenditore emerse che il compito principale era produrre reddito, per poi distribuire ai poveri un’eventuale eccesso. Il welfare, la giustizia sociale erano dunque relegati a un ruolo marginale». Occorre invece recuperare un codice etico del lavoro: «Perché il lavoro è uno specchio, dice qual è il nostro stile di vita».
Infine un terzo aspetto: «Imboccare la via della comunione, contrapposta alla via dell’individualismo. Un tema sul quale papa Francesco è già intervenuto più volte, chiamando a un patto intergenerazionale tra giovani e adulti». Comunione significa mettere insieme le forze: «È quella che papa Francesco definisce ‘agorà sociale’: creare ponti per unire le tante isole di chi si impegna a favore della persona».
In un’epoca di crisi economica grave come quella che stiamo attraversando, la promozione sociale passa inevitabilmente per la ricerca di un lavoro dignitoso, e una formazione professionale per chi non ha risorse da spendere sul piano occupazionale. Un tema oggetto di una petizione alla Regione Piemonte, presentata da Daniele Ciravegna, Luciano Gozzarino, Antonio Labanca e Riccardo Mottigliengo, chiede alla Regione di attivare una politica industriale in filiere produttive innovative: tra esse housing sociale, mobilità, ambiente, territorio e acqua, energia, agricoltura.
Se da un lato si tenta di creare risorse, dall’altro non le si deve però bruciare: l’assessore regionale Giovanna Pentenero, il vicequestore Fulvia Marsaniga e il referente per le dipendenze dell’Asl To5 Paolo Barcucci hanno portato l’attenzione sul gioco d’azzardo e sul sovraindebitamento che ne consegue. Un problema dalle ripercussioni sociali via via crescenti, a fronte del quale lo Stato ha un doppio atteggiamento contraddittorio: da un lato deve curare le conseguenze degli eccessi, dall’altro li incoraggia gestendo buona parte del gioco d’azzardo.
Il compito di mettere in evidenza il contrasto a mafie, caste e lobby, così come lo intendeva don Sturzo, è stato affidato a Sergio Gaiotti, all’ex ministro Guido Bodrato e all’arcivescovo di Monreale mons. Michele Pennisi: «Don Sturzo aveva lo scopo di educare il popolo per formarne la coscienza ad una cultura della legalità e della moralità, che risultavano assenti o sopite. Fu uno dei pochi uomini di Chiesa e politici che già all’inizio del XX secolo denunciarono senza timori e peli sulla lingua l’esistenza di una mafia criminale e non come innocuo costume isolano, che oscilla dal conformismo all’anarchismo».
Don Sturzo sostenne che l’economia senza etica è diseconomia e che l’utile degli associati a delinquere non è qualificabile come bene comune: «Insegnava che per combattere le varie mafie occorre considerarle non solo come problema di sottosviluppo economico, ma come un problema culturale, morale e religioso», spiega monsignor Pennisi. «La mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale e politica».
Di qui la conclusione: «Le coraggiose prese di posizione di papa Francesco mostrano l’incompatibilità fra cultura mafiosa e logica evangelica – commenta l’arcivescovo - Voglio dunque riaffermare la radicale incompatibilità tra mafia e vita cristiana e il conseguente rifiuto di ogni compromissione della comunità ecclesiale col fenomeno mafioso». La Chiesa non può tornare indietro su questa via: «Tanto più che questo cammino storico è stato suggellato dalla splendida testimonianza del martirio del beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia solo perché fedele al suo ministero».
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