«Questo sarà il segno: un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia»
L'omelia di mons. Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino alla Santa Messa di mezzanotte di Natale nella Cattedrale di San Giovanni a Torino
Dopo l’annuncio più sconvolgente della storia dell’umanità, «Oggi vi è nato un Salvatore», gli angeli hanno indicato ai pastori il modo per riconoscere quel bambino nato a Betlemme, che porterà la pace a tutti gli uomini. Giace in una mangiatoia, in una grotta circondato dagli animali e amorevolmente cullato da Maria, sua madre, e Giuseppe.
Perché Dio si fa uomo e viene ad abitare nel mondo? Perché sceglie di nascere povero in una stalla, quando avrebbe potuto nascere in un palazzo reale? Egli è il Creatore dell’universo; tutto ciò che esiste è suo, niente gli è impossibile. Mistero di un Dio, che vuole farsi amare anche da chi non crede in lui o non lo ama; chi può infatti rifiutare un bambino e quale famiglia può non gioire per la sua nascita? Ci sono purtroppo anche coloro che rifiutano i loro figli, ma si tratta di tragedie inconcepibili alla mente e al cuore
umano. Un figlio è pur sempre un dono grande e meraviglioso; una nuova vita è segno di pace e di speranza, perché assicura il nostro futuro. A Natale, Dio ci fa dono di un bambino, che è per tutti come un figlio, un fratello, un amico. Nessuno in questa notte deve sentirsi solo: questo Dio bambino, semplice ma potente e ricco di amore e di pace, è per ciascuno. Ed io vorrei invitarvi a portare davanti alla grotta di Betlemme, come hanno fatto i pastori, i vostri doni; non cose e richieste, ma il dono delle persone che più vi stanno a cuore in questo momento.
Provo a dirvi chi ci metto io, questa notte, nell’ideale presepe. Ci metto, anzitutto, i miei genitori, perché a loro devo la vita e l’amore che mi hanno dato e sono certo che dal cielo gioiscono con me, come quando eravamo insieme su questa terra. Ci metto i carcerati che ho incontrato in questi giorni e che mi hanno dato tanta gioia nel
cantare insieme le lodi di Natale e nel vederli comunque sereni e aperti alla fede; vorrei che il Signore donasse loro un po’ di pace, di serenità e di speranza per poter guardare al futuro con rinnovata fiducia in se stessi e in Dio. Ci metto Matteo, un ragazzino di pochi anni di vita che ha una malattia rara, è assistito notte e giorno, vive sempre agganciato a un tubo di ossigeno e respira a fatica ogni momento, ma se gli stringi la mano ti sorride e senti il calore del suo cuore.
Ci metto le donne immigrate con i loro bimbi, accolte dalle Figlie missionarie di madre Teresa, con cui ho cantato «Tu scendi dalle stelle» e ho passato alcune ore insieme in questi giorni. Ci metto tanti anziani e malati che ho incontrato negli ospedali e nelle case di accoglienza, ed i miei confratelli preti anziani e malati di Casa “San Pio X”: chiedo al Signore di far sentire a tutti il caldo abbraccio di questo Bambino, di sentirsi amati da lui, di non temere perché non sono più soli.
Ci metto gli amici senza dimora con cui condivido la casa e i molti altri incontrati nei dormitori notturni o nelle mense e questa sera fraternamente accolti per una festa insieme che ha visto tante loro storie vere cariche di drammi profondi ma anche di speranza per il domani: chiedo al Signore, lui che non è stato accolto nelle case di Betlemme, di dare loro la speranza di trovare chi se ne prende cura e dà loro una mano per trovare una casa dove abitare. Ci metto tante famiglie in difficoltà per la mancanza di lavoro o di casa che lottano per affrontare giorno dopo giorno la durezza della loro condizione di vita, ma non hanno cessato di restare unite e solidali tra loro: tante persone che ti guardano profondamente, ti scrutano quasi timorosi, ma che sanno stringerti la mano forte per salutarti e ringraziarti.
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