Mons. Nosiglia: "Per una Chiesa sinodale, in ascolto del mondo"

Intervista all'Arcivescovo di Torino dopo la Visita di Papa Francesco e la chiusura dell'Ostensione della Sindone

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Mons. Nosiglia: "Per una Chiesa sinodale, in ascolto del mondo"

Arcivescovo Nosiglia, cosa ci lascia nel cuore e soprattutto come seme da fare crescere la visita del Papa alla nostra Chiesa?

I messaggi e le indicazioni pastorali che Papa Francesco ci ha offerto sono tanti e tutti molto concreti e alla nostra portata. Se vogliamo richiamare il nucleo centrale di tutta la sua visita, esso sta nell’invito che ha più volte ripetuto ad essere coraggiosi, fiduciosi e creativi sia in campo ecclesiale che sociale, perché possiamo attingere a piene mani a quel patrimonio di doni spirituali e di testimonianze che ci hanno lasciato i nostri Santi e Beati. Non si tratta infatti di una eredità del passato, ma di un fattore tutt’oggi stimolante da cui partire per rinnovare la nostra Chiesa e la società. La Sindone, poi, con la sua carica di umanità e di fede che ci ispira, ci dice che possiamo e dobbiamo superare stanchezze e rassegnazione e credere nella speranza che nasce dalla Croce del Signore, fonte perenne di quell’Amore più grande che innesta in ogni realtà umana e nell’azione missionaria della Chiesa la forza poderosa del Vangelo, capace di cambiare il cuore e rendere efficace  l’impegno della carità verso ogni povero e sofferente.

 

Tanti gli spunti nell’omelia, nei discorsi, nelle catechesi che Francesco ha lasciato alla Comunità. Attraverso quali modalità la Chiesa torinese le rilancerà?

Si tratta di orientamenti molto efficaci, su cui peraltro si sta già operando in Diocesi, ma che ricevono ora da Papa Francesco conferma e rilancio in alcune prospettive non nuove, ma date per scontate: prima fra tutte, quella della Comunione, per superare buone pratiche pastorali ma disorganiche e frammentate, per cui si tende a curare bene il proprio orticello (vedi parrocchia, movimento e associazione, comunità religiosa…) dimentichi che “fare Chiesa” significa collegarsi in rete sia sul territorio, sia con la realtà Diocesana che sola rende fecondo ogni agire pastorale rispondente a un progetto comune deciso in modo sinodale dall’assemblea del popolo di Dio. Troppa autoreferenzialità rischia di costruire sulla sabbia e quindi non lasciare traccia alcuna nella formazione e mentalità ecclesiale, trasformando la Chiesa in un arcipelago fatto di centinaia di piccole isole separate e chiuse in se stesse. Il riassetto diocesano in corso tende a far superare tale mentalità e prassi e a far camminare insieme, valorizzando tutti i soggetti ecclesiali e umani di cui sono ricche le nostre comunità.

 

3. L’insistenza sull’«uscire» di Papa Francesco si è espressa con forza nella sua visita. Come la nostra Chiesa intende accoglierla e attuarla?

Questo è l’altro preciso orientamento che ci ha dato il Papa: uscire, abitare le periferie esistenziali della famiglia, dell’uomo, nei suoi ambienti di vita, di studio e di lavoro e nelle sue fragilità fisiche e spirituali, con una cura particolare per i poveri, malati e giovani. È la sfida più difficile, anche se la nostra Chiesa svolge un’azione capillare, intesa e permanente nell’ambito della carità e della solidarietà, dell’accoglienza e della difesa e promozione umana e spirituale di ogni famiglia e persona. Difficile, perché si tratta di un’impostazione di mentalità che sposta l’asse portante della pastorale di evangelizzazione da ciò che chiamiamo “ordinario” e tradizionale, a ciò che non deve più essere considerato un fatto occasionale o di pochi adepti volonterosi, ma un compito dell’intera comunità cristiana e permanente, anzi prioritario. La pastorale finora ha puntato alla conservazione dell’esistente, qualificandolo sempre più sul piano dei contenuti, dei servizi religiosi e sociali, delle iniziative svolte a partire dalle concrete forze disponibili e in genere sulla base di un volontariato assai vasto e motivato. La sfida nuova di Papa Francesco è quella di una Chiesa (quindi dell’intero popolo di Dio, non solo degli operatori pastorali) che si muove in uno stile e cammino sinodale, coinvolgente all’unisono, inglobando in se stessa anche chi sta ai suoi margini e considerando costoro non solo destinatari, ma parte integrante della comunità, fratello e sorella, membro della stessa “famiglia”.

 

La lunga ostensione della Sindone è stato un tempo di grazia e di preghiera. Venerare il sacro Telo che esprime l’immagine dell’Uomo dei dolori ci indica il cammino della croce e della risurrezione di Cristo. Cosa  ci portiamo nel cuore dopo questo lungo pellegrinaggio?

La Sindone ci insegna a non estraniarci come cristiani dalla storia di sofferenze e di lacrime che inondano la vita delle persone e spesso ne travolgono i sentimenti e l’esistenza, ma a innestare in noi un “di più” di speranza, che proprio dai patimenti dell’uomo della Sindone ci viene trasmessa: quella di credere fermamente che il male e la menzogna, l’ingiustizia e la violenza non avranno mai l’ultima parola della storia anche più travagliata del nostro tempo, ma tutto si rinnoverà grazie alla potenza della croce del Signore e tutto si trasformerà per il bene di coloro che credono e lottano per un mondo a misura di uomo e di Dio insieme. Certo, questo esige che si sia pronti a pagare un prezzo per annunciare e vivere questa speranza: il prezzo della fedeltà che è richiesta ad ogni testimone e martire, perché essa rende credibile il proprio agire. È lo stesso prezzo pagato dal Signore e che la Sindone ci documenta: quello dell’Amore più grande.

L’Ostensione ci ha anche detto con la sua semplicità e drammaticità insieme che oggi c’è bisogno di cristiani che siano innamorati di Dio, convinti della propria fede, esperti secondo lo Spirito, pronti a rendere ragione della speranza che è in loro, capaci di rifiutare i compromessi di coscienza con le logiche dell’ambiente che li circonda, testimoni della potenza di Dio che si rivela nella loro debolezza. Cristiani dunque che dicano con la vita che ci sono ragioni vere del vivere e del vivere insieme che vanno oltre se stessi e il proprio sentimento o interesse e appellano a un “di più” di onestà che nasce dalla contemplazione del volto sofferente e glorioso di Cristo, aperto a quell’orizzonte di gloria che egli ha dischiuso e offerto ad ogni suo discepolo.

 

Le sfide della città sono molteplici, i cristiani – laici e presbiteri – devono essere segno di fraternità, di condivisione e di inclusione rispetto alle tante emergenze anche controcorrente.

Basta essere cristiani sul serio e convertirsi ogni giorno di più alla Parola di Dio vissuta con coerenza  e buona volontà. Prendiamo l’esempio della famiglia. Come ho detto nell’omelia di S. Giovanni Battista, credo che oggi tante famiglie cristiane, pressate e circondate come sono da messaggi reclamizzati che si impongono con ogni mezzo da parte di una cultura basata sull’individualismo e sul tentativo di minare nella fondamenta il matrimonio e la famiglia, con indirizzi in netto contrasto con la Parola di Dio, ma prima ancora con la retta ragione, siano poste in  condizione di offrire una testimonianza alternativa. Le famiglie cristiane diventeranno sempre più segno di contraddizione e di speranza, come è stato fin dall’inizio del cristianesimo quando, non potendo contare su una legislazione favorevole, testimoniavano la bellezza e verità dell’amore coniugale tra un uomo e una donna e l’unità fedele tra coniugi con grande impegno e generoso sacrificio, andando incontro anche a persecuzioni e rifiuti di ogni genere. O, come ha detto ai giovani con chiarezza il Papa – mi riferisco in particolare al discorso sull’amore vero e pieno, fonte di felicità e sul conseguente senso della vita –: un amore fatto di gesti e opere concrete e non solo di belle parole, un amore che si fa dialogo nella comunione, un amore casto che supera la concezione facilista ed edonista dell’amore, un amore che si sacrifica per l’altro e si fa servizio… Insomma, per vivere una vita che non deluda e non sia priva di senso, occorre andare controcorrente.

 

 Apriamo con questo numero della «Voce» dei focus sui discorsi di Papa Francesco e ripartiamo dai giovani: quali messaggi vuole donare loro?

Il mio messaggio è quello di convincersi che quanto ha detto loro il Papa nel discorso a braccio in Piazza Vittorio non è utopia, o un traguardo impossibile, ma è realizzabile con le loro forze, se si fidano del Signore e dei mezzi di grazia che egli dona loro. Anche il giovane ricco, di fronte all’invito di Gesù: «Va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri... allora sarai veramente felice... poi vieni e seguimi» (cfr. Mc 10,21), si è trovato davanti a una proposta sconvolgente e alternativa a quanto lui pensava di poter dare, per cui se n’è andato via triste e solo. Non ha avuto il coraggio di osare e di rischiare. Questa stessa cosa può capitare oggi ai giovani, se considerano le proposte del Papa troppo alte per le loro forze. Se non si punta il più in alto possibile, si resta fermi, ha detto il Papa: e se tu resti fermo, non combinerai mai nulla di buono nella vita, andrai sempre a rimorchio di qualcuno o di messaggi affascinanti ma vuoti di vera felicità. Non andare già in pensione da giovane e datti da fare, fai cose costruttive, anche se piccole, ma che ti uniscano agli altri e uniscano i tuoi ideali: questo è il miglior antidoto contro la sfiducia nella vita, contro una cultura che ti offre soltanto il piacere: passartela bene, avere tanti soldi e non pensare ad altre cose.

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