Il beato Paolo VI e la Sindone
Le parole di Montini aprirono veramente una nuova, imprescindibile, strada per un’equilibrata elaborazione del tradizionale rapporto tra il significato religioso e la realtà materiale della Sindone nel mutato contesto ecclesiale, in un percorso che verrà approfondito dalla Chiesa torinese e dai successivi Sommi Pontefici, in particolare attraverso gli interventi alle ostensioni di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
All’inizio degli anni Settanta si levarono voci a reclamare l’opportunità di una ostensione della Sindone, delle quali si fece autorevole interprete il Centro Internazionale di Sindonologia, in particolare attraverso la rivista Sindon. Erano ormai trascorsi quasi quarant’anni dalla precedente esposizione, con una devastante guerra di mezzo. D’altra parte molte cose erano cambiate da allora, a partire dalla nuova forma istituzionale repubblicana – che toccava dunque lo stesso assetto proprietario della sindone - sino alle perplessità all’interno della Diocesi torinese circa la ricollocazione della realtà e devozione sindonica nella temperie postconcilare. Si riteneva non più opportuna l’ostensione nella forma tradizionale, mentre si subordinava il ruolo ecclesiale della Sindone alla questione scientifica circa la sua cosiddetta autenticità.
Alla fine il cardinale Pellegrino, pressato dalle richieste, optò per una soluzione di compromesso: una necessariamente breve ostensione televisiva realizzata in uno spazio laico, il Salone degli Svizzeri di Palazzo Reale in Torino il 23 novembre 1973. Il risultato si rivelò nel complesso deludente. A partire dal fatto che la ripresa in bianco e nero della Sindone, oltretutto esposta in verticale, risultò ovviamente riduttiva. Da ricordare invece per il sommo valore l’intervento del beato Paolo VI, col suo caratteristico stile sobrio e razionale:
Sappiamo quanti studi si concentrano intorno a cotesta celebre reliquia, non ignoriamo quanta pietà fervida e commossa la circondi….. Qualunque sia il giudizio storico e scientifico che valenti studiosi vorranno esprimere circa cotesta sorprendente e misteriosa reliquia, noi non possiamo esimerci dal fare voti che essa valga a condurre i visitatori non solo ad un'assorta osservazione sensibile dei lineamenti esteriori e mortali della meravigliosa figura del Salvatore, ma possa altresì introdurli in una più penetrante visione del suo recondito e affascinante mistero…
Straordinarie parole che recuperano tutta una tradizione precedente, l’esperienza della ricerca attuale, fugano i timori torinesi della subordinazione al problema dell’autenticità. Paolo VI qualifica la Sindone, secondo la propria personale convinzione, come reliquia. Che tuttavia, se pure poteva essere utile a rassicurare la Diocesi torinese, rimane solo una definizione: la riflessione successiva infatti ne prescinde, per incentrarsi sul valore sull’incontro con il Volto di Cristo, con la sua umanità dolente, reso possibile attraverso lo strumento privilegiato della Sindone, indipendentemente dal giudizio scientifico che tanto assillava la Chiesa torinese. Sottolinea che questo incontro richiede anche dono di amore cercando lo stesso volto nel nostro prossimo, suggerendo che proprio la presenza della Sindone a Torino può spiegare la fioritura della vocazione sociale della città, scoprendo, in essa le radici di un vero umanesimo cristiano, concetto a lui particolarmente caro, e che, ricordo, sarà anche il tema del prossimo Convegno ecclesiale di Firenze, al quale dunque la riflessione sulla Sindone potrà portare un non marginale contributo.
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