Fraternità condivisa

L'Arcivescovo e la comunità ecclesiale incontro ai profughi e rifugiati per un Natale di pace e speranza

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Fraternità condivisa

Ha appena tre mesi è nata in Italia, ma i suoi genitori sono venuti dal Cameroun per studiare, per cercare una vita migliore. Con la sua nascita hanno perso la casa – incompatibile la presenza di un neonato in una residenza universitaria - e a tre giorni dal Natale hanno saputo che grazie all’Ufficio migranti avranno finalmente un alloggio dove stare. Così anche loro, con la piccola «passata di mano in mano», coccolata da chi guardandola ti dice «rivedo la mia sorellina rimasta in Africa perchè qui siamo tutti fratelli maggiori», o da chi  commenta: «mi fa pensare a mia mamma la dove però fa meno freddo di qui e non li vestiamo così…», hanno voluto essere presenti ad esprimere il loro grazie all’incontro organizzato martedì 22 dicembre dalla Pastorale Migranti. Un incontro di condivisione e augurio organizzato tra congregazioni religiose, associazioni e parrocchie che hanno dato la propria disponibilità all’accoglienza dei profughi, i profughi stessi dalle origini più diverse (Cameroun, Afghanistan, Etiopia, Sudan, Siria, Gambia, Albania…), e l’Arcivescovo. Quasi due ore di testimonianze, di sguardi che hanno espresso molto più di parole in italiano stentato, ma al tempo stesso «sperimentato» con orgoglio. Perché anche parlare nella nostra lingua per Ibsa, Skandar, Marouf… è un modo per esprimere il grazie alle nostre comunità, ai nostri volontari al nostro paese che li ha accolti e dove stanno imparando la lingua per meglio integrarsi e intraprendere un percorso di autonomia.

Accoglienza che non si ferma neanche durante l’incontro stesso: «Mentre siamo qui – spiega Sergio Durando, direttore della Pastorale Migranti – c’è chi sta telefonando perché una famiglia di curdi che ci preparavamo ad accogliere l’8 gennaio è arrivata prima e stanotte non sa dove andare...». Sarà un Natale diverso per loro, perché tempo qualche ora il posto si troverà, sarà un Natale diverso, indipendentemente dalla fede professata, per i 445 profughi da nazioni diverse, di età diverse che grazie all’appello di Papa Francesco e di mons. Nosiglia hanno trovato accoglienza: «non solo un tetto – spiegano – ma amici, fratelli, persone che si sono date da fare per noi». Ecco dunque che nell’incontro dopo le parole di Sergio Durando, dopo quelle di don Domenico Ricca coordinatore dell’accoglienza dei profughi per la Famiglia Salesiana, che ha sottolineato quanto «questa esperienza ci sta facendo un gran bene» sono appunto i «grazie» a riempire la serata. Tra i tanti pronunciati anche quello di Shawkad, a nome dei 6 afgani che con lui sono  ospitati nella comunità Youzai di via Porporati, che ha voluto esprimere la riconoscenza del gruppo donando all’Arcivescovo una mazza da cricket. Quel cricket che qui hanno avuto la possibilità nuovamente di giocare, quel cricket che rimanda alla spensieratezza che hanno sperato di riconquistare lasciando la loro terra ma che quotidianamente fa i conti con i ricordi delle sofferenze patite, delle famiglie lasciate che trapela dagli sguardi.

Così nel riceverla mons. Nosiglia si lascia sfuggire una battuta sul gioco del calcio, come se stesse parlando ad uno dei ragazzi dei nostri oratori: uno scambio di sguardi, un sorriso… perché accoglienza è anche questo come ha poi ricordato l’Arcivescovo nel saluto che ha concluso le testimonianze. «È  importante che tutti ci sentiamo corresponsabili, voi siete anzitutto un aiuto per la nostra Chiesa, le vostre storie ci richiamano all’importanza della condivisione. Anche il Giubileo che abbiamo avviato ci conferma su questa strada di accoglienza e restituzione. Grazie a voi!».

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