Francesco: "Torino, vai controcorrente"
La visita di Papa Francesco ha lasciato in eredità alla Chiesa e alla comunità torinese un tesoro da coltivare
Abbiamo ancora tutti nel cuore e nella mente le immagini della due giorni di Papa Francesco: la visita pastorale alla Chiesa e alla comunità di Torino, il ritorno a casa di un figlio della nostra terra che si è definito «nipote di questa città». Francesco ha ricordato come i piemontesi siano «razza libera e testarda», come i santi sociali: «Teste quadre, polso fermo e fegato sano, parlano poco ma sanno quel che dicono, anche se camminano adagio, vanno lontano». Sono stati due giorni di grazia, di gioia e di preghiera, di attesa e giubilo. Ora a distanza di una settimana, inizia una nuova fase di impegno e responsabilità personali e collettive per fare tesoro in futuro degli insegnamenti del Santo Padre.
In questo numero de «La Voce del Popolo» vi raccontiamo i momenti più intensi e profondi che Francesco ha trascorso, dal suo arrivo in Piazzetta Reale all’ultimo saluto in piazza Solferino, e ci ha lasciato in eredità. I volti sorridenti, la gioia nelle espressioni e le lacrime delle donne e degli uomini di Torino sono l’emblema delle 48 ore di Bergoglio a Torino. Nelle piazze e nelle vie in migliaia hanno voluto vedere, anche solo per un attimo, il Papa, raccogliere una sua benedizione, rinfrancarsi dalle difficoltà del quotidiano. Questo momento di gioia, composta e raccolta, è la cifra profonda nostalgia di senso e di Dio che, nonostante l’indifferentismo religioso e la secolarizzazione, resta patrimonio di un popolo e continua ad interrogare la coscienza di ogni persona. Ora che è tutto trascorso è necessario riprendere i discorsi, le riflessioni, i pronunciamenti di Papa Francesco, cogliendone l’essenza e gli insegnamenti. Rileggerli, metabolizzarli farli diventare vita, azione concreta e testimonianza cristiana. Questo è il compito affidatoci nel rispetto di ogni idea, valore e idealità presenti nella città plurale. Ciò che ha colpito, come accade da quel ormai lontano 13 marzo 2013, è stata la semplicità dei gesti, la profondità del pensiero, la chiarezza dei concetti espressi, la spiritualità che Papa Francesco esprime nel suo modo di essere e vivere.
Se dobbiamo sintetizzare in un appello o pensiero il messaggio complessivo che il capo della Chiesa Cattolica, il successore di Pietro e vescovo di Roma ha lasciato ai torinesi allora possiamo dire che l’espressione che più ci convince è «Torino vai controcorrente». Una frase chiara e coraggiosa, evangelica e carica di significati. In tutti i momenti della sua visita, tra i lavoratori, i malati, i giovani, nei santuari della storia religiosa di Torino, dai salesiani di Maria Ausiliatrice, figli e figlie di Don Bosco, la Consolata e il Cottolengo, la chiesa di Santa Teresa, nel silenzio profondissimo e carico di spessore teologico nella preghiera di venerazione alla Sacra Sindone, nell’abbraccio storico con i fratelli valdese e la compagnia fraterna della sua famiglia piemontese, l’orizzonte tracciato da Francesco è quello della sequela di Cristo, del Suo amore che è per sempre. Nella solenne celebrazione di Piazza Vittorio Veneto, davanti ad una folla davvero imponente, che non raccoglieva tanta gente dai tempi della prima visita di San Giovanni Paolo II del 1980, nella quale Wojtyla pronunciò il suo messaggio di fiducia nella città lacerata dal terrorismo e dalla crisi industriale «Torino non avere paura», nell’omelia Papa Bergoglio ha pronunciato parole che risuoneranno a lungo nei cuori dei torinesi. «L’amore è fedele, stabile e sicuro», capace di lenire le prove della vita, i dolori più laceranti e inumani. L’Amore di Dio è una carezza misericordiosa che avvolge e guarisce. In un passaggio il Papa ha affermato: «In questa terra sono cresciuti tanti Santi e Beati che hanno accolto l’amore di Dio e lo hanno diffuso nel mondo, santi liberi e testardi.
Sulle orme di questi testimoni, anche noi possiamo vivere la gioia del Vangelo praticando la misericordia. Possiamo condividere le difficoltà di tanta gente, delle famiglie, specialmente quelle più fragili e segnate dalla crisi economica. Le famiglie hanno bisogno di sentire la carezza materna della Chiesa per andare avanti nella vita coniugale, nell’educazione dei figli, nella cura degli anziani e anche nella trasmissione della fede alle nuove generazioni». Se dunque tra la metà dell’Ottocento agli inizi del Novecento, Torino ha espresso un movimento di santità, in un tempo di temperie e contrasti profondissimi, anche oggi, in un mondo diverso, ma attraversato dalle stesse emergenze (Lavoro, immigrazione, crisi), l’impegno dei cristiani dovrà riprendere e aggiornare il carisma e l’azione dei suoi padri.
In due circostanze, nell’incontro con i salesiani a Maria Ausiliatrice e in piazza con i giovani, Papa Bergoglio ha invitato a vivere e non vivacchiare, secondo una espressione del beato Pier Giorgio Frassati, di contrapporre alla logica dell’individualismo e dell’egoismo la via dell’amore e della fraternità, sigilli di un compito e un mandato. Francesco, inoltre, non ha omesso di ricordare le ombre di una città, che sia al tempo dei santi sociali sia oggi è attraversata da una lotta interiore nella quale convivino l’aura magica, espressioni pesanti di anticlericalismo e l’attrazione dalle forze del male, alle quali si contrappongono, con amore e condivisione delle sofferenze, con umiltà e senza volontà di dominio, le forze del bene e della compagnia, del servizio e della solidarietà, della costruzione e del cammino comune della città dell’uomo che ha bisogno della partecipazione di tutti. Una città inclusiva e non esclusiva, solidale e non divisiva, capace di dare lavoro, dignità e valore a tutti i membri della sua comunità.
Per questo il richiamo di Francesco ai «cristiani a non farsi paralizzare dalle paure del futuro e cercare sicurezze in cose che passano, o in un modello di società chiusa che tende ad escludere e non includere», è molto più che un programma ma uno stile di vita, un orizzonte di senso, che riporta al centro l’uomo e il suo destino.
C’è in questo passaggio dell’omelia di Francesco, un riferimento a quel biblico camminare verso la metà che fa del cristiano, un pellegrino nel mondo ma non del mondo. Se Francesco, come hanno ricordato molto commentatori, è forse l’unica voce credibile nel nostro pianeta, affaticato e corrotto, consumato da guerre e violenze, significa che la strada che ogni battezzato o uomo di buona volontà deve compiere è davvero molta, certamente accidentata ma che traguarda il tempo lungo della storia dell’umanità. Nel disorientamento generale, nella società liquida e magmatica, nella globalizzazione che esalta solo le dimensioni dell’economia regolata dalle logiche del profitto estremo, il Papa ci ha ricordato che «Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce».
Per questo il messaggio del Papa ha bisogno di diventare un coro. che grida il suo un triplice «no» alla «economia dello scarto», all’idolatria del denaro e alla corruzione. Se da un lato nulla ritornerà come prima in campo sociale, economico e culturale «non si può solo aspettare la ripresa», ha detto Francesco, ma è necessario un «patto sociale e generazionale» che parta da Torino, prima capitale d’Italia perché con coraggio e fiducia tutti siano «artigiani del futuro».
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