Dossier 70° Resistenza: Boves dalla strage alla terra di pace
Don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo, in nome di Dio e del popolo e il sacrificio della vita
«San Bartolomeo, patrono di Boves. Chi è il santo? È l’eroe della fede e dell’amore a Dio. L’eroe vive per un ideale; a questo ideale dona completamente quanto ha, anche la stessa vita pur di raggiungerlo. Il santo, il martire ama Dio, glorifica Dio in se stesso e nelle anime dei fratelli. Né la povertà, né il disprezzo dei malvagi, né la prigione, né la morte lo tratterrà dal suo compito. Morirà se necessario in mezzo ad atroci tormenti per gridare a tutti dal suo patibolo che la sua fede e il suo amore a Dio è più forte della morte». Nell’agosto 1940, sul bollettino della parrocchia di Boves (Cuneo), don Giuseppe Bernardi non sapeva di aver raccontato, per la festa del patrono San Bartolomeo il 24 agosto, il proprio martirio.
Nel marasma provocato dall’armistizio dell’8 settembre 1943, il parroco don Giuseppe Bernardi e il viceparroco don Mario Ghibaudo rimasero accanto ai loro parrocchiani fino al sacrificio della vita. Una presenza da pastori che si adoperano per la salvezza del paese: il parroco come mediatore e il viceparroco come guida e aiuto nella fuga. Cosa potevano fare i due sacerdoti disarmati di fronte alle SS e in mezzo al popolo indifeso? Lo Spirito Santo suggerì loro di portare il perdono di Dio: sono arrivati all’ora suprema benedicendo e assolvendo. L’ultimo ricordo di don Bernardi è il suo gesto di benedire dall’autoblindo su cui l’avevano fatto salire per assistere alla distruzione del paese. Don Ghibaudo morì mentre assolveva un uomo al quale un soldato aveva sparato alla nuca.
Dell’eccidio di Boves, la prima rappresaglia dei nazisti in Italia, si è sempre parlato, anche per denunciare la viltà dei nazisti, che non rispettarono la parola data. Questi due preti non ebbero dubbi nel testimoniare la loro fede, la loro carità e il sacrificio della vita. È durata poco più di un anno l’inchiesta canonica in diocesi di Cuneo. Dell’ingente materiale, ora inviato alla Congregazione per le cause dei santi a Roma, la parte più preziosa è costituita dal racconto dei testimoni.
Boves subì due attacchi. Il 19 settembre 1943 le truppe della 1ª Panzer Division, comandate dal maggiore delle Waffen SS Joachim Peiper, mettono a ferro e fuoco il paese: 350 case bruciate e 24 civili uccisi. Tra il 31 dicembre 1943 e il 3 gennaio 1944 c’è un’altra rappresaglia: 500 case bruciate, 157 partigiani uccisi. Peiper è responsabile anche della morte di 71 soldati americani il 17 dicembre 1944 a Malmedy nelle Ardenne in Belgio. Peiper, arrestato alla fine della guerra, è condannato all’impiccagione per il massacro in Belgio ma la pena è commutata in ergastolo. Scarcerato sulla parola nel 1956, fugge in Francia dove muore nel 1971 nell’incendio del suo chalet colpito da bombe molotov: qualcuno si era vendicato.
Dall’armistizio nel 1943 alla Liberazione nel 1945 l’Italia visse 18 mesi terribili strazianti. A Boves nasce una delle prime formazioni partigiane, composta da militari comandati dall’ufficiale Ignazio Vian, che rifiutano la dittatura, si rifugiano sulle montagne e iniziano una dura battaglia, con sabotaggi e combattimenti, contro l’occupante nazista. Peiper comunica che i fuoriusciti dall’Esercito verranno liquidati come banditi e che chiunque dia loro aiuto o asilo sarà perseguito.
La mattina di domenica 19 settembre 1943 un’auto con due militari tedeschi arriva in paese. I partigiani li sorprendono, li catturano e li trasportano in Val Colla. Neppure un’ora dopo piombano in paese due grandi automezzi carichi di soldati tedeschi: con le bombe a mano distruggono il centralino del telefono, impedendo così ogni comunicazione. A Tetti Sergent divampa la battaglia: i partigiani in meno di un quarto d’ora incalzano i tedeschi. Cadono un partigiano genovese e un militare tedesco, il cui corpo è abbandonato dai commilitoni.
Alle 13 Peiper incarica il parroco don Giuseppe Bernandi e l’industriale Antonio Vassallo di trattare con i partigiani per la riconsegna dei due prigionieri e della salma. In caso di successo, Boves sarà risparmiata, ma il tedesco rifiuta di mettere per iscritto l’impegno: «La parola d’onore di un ufficiale tedesco vale gli scritti di tutti gli italiani». Dopo una breve trattativa, Vian e i partigiani consegnano prigionieri e auto, equipaggiamento e salma del caduto. Tutte le richieste sono soddisfatte. Ma il macellaio Peiper ordina ugualmente la rappresaglia: SS sparano e uccidono anziani, malati, infermi, e appiccano il fuoco. Il bilancio è tragico: 350 case bruciate, 24 uccisi, tra cui don Bernardi, don Ghibaudo e Vassallo: proprio a loro è riservata la fine più brutale. I due ambasciatori vengono fatti entrare nell’androne di una casa e giustiziati con due colpi di pistola, cosparsi di benzina, posti su una catasta di legno a cui viene dato fuoco. Del parroco si ritrovano la testa e il tronco.
Don Ghibaudo corre ovunque per confortare, benedire e assolvere. Racconta un testimone: «Mentre dava l’assoluzione a mio nonno una raffica di mitra colpì la mano benedicente che volò in alto e la testa fu squarciata dai colpi. Vidi una nuvola di sangue, una grossa bolla di sangue. Cadde sul corpo di mio nonno».
La città ha dedicato una grande lapide ai negoziatori Vassallo e Bernardi, insigniti di medaglia d’oro al valor civile: «Parroco nel Comune non esitava, all’ingiunzione dell’ufficiale comandante di un reparto di SS e dietro formale impegno che solo in tal modo si sarebbero evitate spietate rappresaglie ai danni della comunità cittadina, a recarsi con altro animoso nel campo partigiano per ottenere la restituzione dei due militari tedeschi fatti prigionieri. Condotta a termine con successo la missione, venne trattenuto come ostaggio dai tedeschi che avevano iniziato la distruzione della città e il massacro dei cittadini. Maltrattato e seviziato, veniva abbattuto con il compagno a colpi di arma da fuoco nel cortile di uno stabile dato alle fiamme. Fulgido esempio di coraggiosa dedizione e di sublime altruismo spinto fino all’estremo sacrificio».
Il 31 maggio 2013, nel monastero delle Clarisse a Boves, il vescovo di Cuneo e Fossano, mons. Giuseppe Cavallotto, ha aperto la causa di beatificazione, felicemente conclusa un anno dopo. Don Giuseppe Bernardi, nato a Caraglio il 25 novembre 1897, combatte nel primo conflitto mondiale e ne esce convinto che la guerra «è un’inutile strage». Sacerdote dal 1923, arriva a Boves come parroco nel 1938. Don Mario Ghibaudo, nato a Borgo San Dalmazzo il 19 gennaio 1920, fin da piccolo adotta la parola d’ordine «Fare tutto con entusiasmo». Sacerdote nel giugno 1943, giunge a Boves due mesi prima della strage: è ucciso a soli 23 anni.
Il postulatore, don Bruno Mondino, parroco a Boves, ricorda: «All’inizio era più riconoscenza verso questi due preti straordinari, poi mi sono reso conto che intorno a questa storia si stava creando un forte interesse. Lo stupore è stato quello di trovarci di fronte a ricordi vivi, precisi e freschi».
Grazie al loro eroismo il Piemonte santo si arricchisce delle splendide testimonianze di due eroi di bontà e mitezza, misericordia e perdono, fede e carità.
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