Dieci anni dopo: Ratisbona e il dialogo tra le civiltà nel discorso di Benedetto XVI
Tre autorevoli esperti rileggono quell’intervento di papa Ratzinger che ancora oggi, a distanza di dieci anni, fa discutere e interroga dentro e fuori la dimensione teologica ed ecclesiale
A dieci anni di distanza e oltre le polemiche e le strumentalizzazioni del discorso: “Fede, ragione e università, tenuto da Ratzinger nell’Aula Magna dell’Ateneo di Resenburg. Lo abbiamo chiesto a tre autorevoli studiosi. Roberto Repole, presidente dell’Associazione dei Teologici Italiani e preside della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale sezione di Torino , Christian Albiani, docente e studioso di Sacra Scrittura e Alberto Guasco, docente di storia della Chiesa.
Roberto Repole: “Mi pare che a distanza di dieci anni, il tema di fondo del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona sia ancora più drammaticamente attuale. Egli ci ha invitati a cogliere un certo riduzionismo della ragione e, dunque dell'uomo; un restringimento alla "logica del verificabile" che è incapace di ospitare le grandi questioni che coinvolgono l'umano: a cominciare da quelle che riguardano la sua origine e il suo destino. Si tratta di qualcosa che, in questi anni, si è potuto sperimentare in modo ancora più evidente e drammatico: si pensi alla crisi economica che ha indubbiamente anche a che fare con una ragione ristretta, incapace di guardare alla totalità della realtà dell'umano; e si pensi ad uno sviluppo tecnico, che può risultare devastante della terra e dell'uomo. Forse a partire dagli effetti che una ragione così ristretta sta avendo su di noi e che il successore di Benedetto, papa Francesco, non smette di indicarci, risulta ancora più evidente la portata profetica di quel discorso di dieci anni fa. In fondo, esso sta ancora lì per domandarci se non stiamo abdicando a qualcosa di veramente profondo della nostra umanità, rinunciando a "pensare in grande". Esso è, al contempo e proprio per questo, un discorso di speranza e di prospettiva rispetto agli effetti nefasti di una ragione e di un umano così ridotti. Fede e ragione, religioni e violenza due confronti che partono da un confronto aperto e approfondito sulle grandi sfide del mondo di oggi, che hanno radici lontane: il rapporto tra le religioni e quello tra le fedi e la ragione. In mezzo la condizione, tra bene e male- violenza e pace, nel quale si sviluppa la dialettica umana.
E' abbastanza consueto e spesso anche retorico ritenere che le religioni siano fonte di violenza. Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona ci invitava quanto meno a riconoscere che, per quanto riguarda il cristianesimo, non si può parlare di un volto "arbitrario" di Dio. Egli è il Dio della Bontà e dell'Amore in una certa continuità, pur nella profonda distanza, con la capacità di bene e di amore che contrassegna l'uomo. Oggi quel discorso, anche al cospetto della grettezza con cui nella nostra Europa stiamo affrontando eventi epocali quali le migrazioni dal sud del mondo, è di aiuto a non essere superficiali: non sono le religioni ad essere violente. E' ciò che in noi uomini va contro la capacità di bene, di solidarietà, di compassione... a generare violenza. E forse è il momento di chiederci, in continuità con quanto il papa ci invitava a fare e al cospetto degli eventi della nostra contemporanea vicenda europea ed occidentale, se non sia proprio una ragione così impoverita a contenere in sé alcuni germi di violenza. Non è forse vero che una certa logica del profitto, ad esempio, quale unica logica secondo cui interpretare il mondo e l'umano, genera conflitti e violenze o, quanto meno, ostacola la parte migliore della nostra umanità?”
Alberto Guasco: Scientificamente bisogna riconsiderare quello che è stato il pontificato di Benedetto XVI e il magistero di Papa Ratzinger di cui il discorso di Ratisbona riprende alcuni fili rossi in particolare il rapporto fede e ragione che è uno dei temi che dominano la sua speculazione filosofica e teologica e il suo rapporto come teologo e presidente della Congregazione per la Dottrina della Fede e teologo di fiducia di Giovanni Paolo II. Sul quale si potrebbe utilizzare una battuta del professor Giuseppe Alberigo, “Quando un teologo polacco incontra un teologo tedesco, quest’ultimo vince”. Restano oggi aperti i problemi sollevati allora sotto un segno rovesciato. Mi spiego, se allora i media arabi e islamici, avevano fatto una lettura selettiva e distorta del discorso, oggi da certi ambienti tradizionalisti, silenti in questo periodo, dopo la pubblicazione del saggio di Ratzinger “Ultime conversazioni” hanno tentato di prendere gli ultimi tragici eventi che hanno macchiato di sangue l’Europa e il mondo seminano morte e terrore in molte parti del mondo (il terrorismo Jihadista) per alimentare uno scontro di civiltà e religiosa che invece dovrebbe essere combattuto con la cultura, il dialogo e l’azione diplomatica. Esiste però anche un’altra faccia della medaglia. Più silenziosamente e più significativamente, il discorso di Ratisbona non ha contribuito a sbarrare la strada del dialogo – termine tutto da precisare, tanto in sé quanto riguardo alla cornice teologica entro il quale, non solo per Ratzinger, esso può verificarsi – ma ad aprirla maggiormente. L’hanno testimoniato, ad esempio, l’incontro dell’aprile 2007 tra lo stesso Benedetto XVI e diversi intellettuali iraniani dedicato al tema «Ragione, fede e violenza», la lettera del 13 ottobre 2007 indirizzata al Papa da 138 saggi musulmani e ancora, nel novembre 2008, il primo Forum cattolico-musulmano tenuto in Vaticano. Sena dimenticare che il Papa emerito ha evidenziato come quel passaggio avrebbe potuto ometterlo o citarlo in un contesto diverso.
Cristian Albini: “Fede e ragione sono i valori in cui ho riconosciuto la mia missione», dice Benedetto XVI nelle Ultime conversazioni. Di questo, e non di Islam, ha parlato anche a Regensburg. L’anniversario del discorso è momento propizio per correggere strumentalizzazioni e fraintendimenti interrogandosi sul valore che assume per noi nel 2016. Possiamo individuare due cardini nell’intervento. Uno è costituito dall’ormai nota citazione di Manuele II Palelologo secondo cui la violenza non è conforme alla natura dell’anima e di Dio: «Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». Ciò comporta un’autocritica e una purificazione della religione alla luce della ragione per evitare i fondamentalismi che la distorcono e che sono una patologia presente in forme diverse in tutte le fedi. Ma l’affermazione dell’imperatore bizantino può essere letta anche in un altro senso: se c’è un legame tra Dio e la ragione, quest’ultima non può estromettere la possibilità e l’idea del divino. Il riferimento alla violenza la qualifica come ragione che non è solo astratta e speculativa, ma si rivolge alle nostre relazioni personali e sociali per umanizzarle. Una religione secondo ragione prende le distanze da tutte le forme di disprezzo e criminalizzazione di poveri, diversi e stranieri, che magari si appellano a essa come riferimento identitario. Come siamo lontani da Regensurg, proprio noi occidentali che ci professiamo cristiani! Tocchiamo così il secondo cardine del discorso: l’allargamento degli orizzonti della ragione. Possiamo fare fronte alle minacce di oggi, diceva Benedetto XVI, «solo se ragione e fede si ritrovano unite in modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata dalla ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. La teologia, come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nel vasto dialogo delle scienze». Essa può aiutare il pensiero laico, incagliato in un individualismo dove si perde un senso condiviso (Charles Taylor), a crescere in compassione. La fede è portatrice di un conoscere proprio che ha portata universale e nel crocifisso vede tutte le vittime, senza distinzioni. Oggi purtroppo lo scambio non avviene a causa di preconcetti antireligiosi, ma anche di una teologia spesso chiusa in recinti e gerghi accademici che non sanno comunicare nello spazio della convivenza. Una teologia “in uscita” può diventare interlocutore anche per i soggetti islamici, in questo “dialogo di civiltà” necessario per tutti”.
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