Don Ciotti, settant'anni dalla parte degli ultimi
Gli auguri e l'impegno per l'evangelizzazione e la giustizia sociale
Don Luigi Ciotti, il più famoso «prete di strada» d’Italia, compie 70 anni. Nasce il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore (Belluno). A 5 anni la famiglia si trasferisce a Torino in cerca di lavoro. L’impatto è traumatico: il padre lavora come muratore ma non trova una casa, per cui la famiglia è costretta a vivere in una baracca del cantiere. Qui sperimenta pregiudizi ed emarginazione. Per questo a vent’anni, nel 1965, con alcuni amici, fonda il Gruppo Abele impegnato tra «i ragazzi che fanno fatica»: reclusi nelle carceri minorili, drogati, bambine prostitute. Esperienza unica in Italia che oggi opera su numerosi fronti, dalle tossicodipendenze al gioco d'azzardo, dall'aiuto alle vittime delle «nuove schiavitù» alla prostituzione minorile e alla tratta degli immigrati. Ha decine di cooperative, comunità di accoglienza, unità di strada, servizi.
Luigi avverte la vocazione al sacerdozio e studia nel Seminario di Torino. È la stagione immediatamente successiva al Concilio Vaticano II, che spalanca porte e finestre della Chiesa, e del cardinale Michele Pellegrino, «il vescovo che ha fatto strada ai poveri». L’11 novembre 1972, nella cappella del Seminario di Giaveno, Pellegrino ordina sacerdote Luigi, che è circondato dai suoi giovani amici, ragazzi strappati alla droga, al carcere, alla prostituzione. L’arcivescovo gli affida: «La tua parrocchia sarà la strada». Luigi ama dire: «Il Vangelo e la strada sono inseparabili». In televisione e sulle piazze, nelle scuole e negli oratori, insiste su questo binomio. Nella trasmissione di Rai3 nel febbraio 2009 dice: «Sono felice di spendere la mia vita a saldare la terra con il cielo». Pellegrino, come i suoi successori, lo sostiene contro le critiche dei benpensanti, il chiacchiericcio dei pusillanimi, gli attacchi dei conservatori, le minacce dei malviventi.
Fra le prime attività un progetto educativo negli istituti di pena minorili – il «Ferrante Aporti» di Torino e il «Cesare Beccaria» di Milano -, la nascita di comunità per adolescenti alternative al carcere, la fondazione della «Cascina del Gruppo Abele» a Murisengo (Alessandria). Sulla strada, nel 1973, il Gruppo inaugura il «Centro droga» e le comunità, luoghi di accoglienza e ascolto dei giovani tossicodipendenti. . All’accoglienza delle persone in difficoltà si affianca l’impegno culturale - un centro studi, una casa editrice, l’«Università della strada» – e l’impegno politico con clamorose mobilitazioni: nell’estate 1975 in piazza Solferino, in centro a Torino, la «tenda del Gruppo Abele», visitata dal cardinale Pellegrino e dal vescovo ausiliare Livio Maritano, porta alla «685», prima legge non repressiva sull’uso di droghe.
Il Gruppo affronta il disagio sociale nel modo più ampio, dai servizi a bassa soglia alle comunità, dagli spazi di ascolto all’attenzione per le varie forme di dipendenza – nuove droghe, alcool, gioco d’azzardo – dall’aiuto alle vittime della «tratta» e alle donne prostituite – unità di strada, numero verde, supporto legale – all’integrazione degli immigrati, all’«educativa di strada» per gli adolescenti stranieri.
Ancora attività di ricerca, biblioteca, riviste tematiche, percorsi educativi rivolti a giovani, operatori sociali e famiglie; mediazione dei conflitti e sostegno alle vittime di reato; cooperative sociali per dare lavoro a persone con percorsi difficili. Dal 1979 il Gruppo si apre alla cooperazione internazionale con vari progetti che interessano il Vietnam, vari Paesi dell’America Latina,la Costad’Avorio. Nel 1982 contribuisce alla nascita del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (Cnca) e lo presiede per dieci anni; nel 1986 partecipa alla fondazione della Lega italiana per la lotta all’Aids (Lila) per la difesa dei diritti delle persone sieropositive, della quale è presidente.
Il prete torinese è sempre in prima linea nelle battaglie per una legge migliore sulle droghe, contro gli sgomberi dei campi rom, a fianco delle donne vittime di sfruttamento sessuale. Si rende conto che dietro tutte le losche attività ci sono i giganteschi profitti delle mafie, che – con la corruzione, l’evasione fiscale e il «sommerso» - corrodono il tessuto sociale d’Italia fino al midollo, ne succhiano l’anima e ne corrompono l’immagine. Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, nell’estate 1992, fonda il mensile «Narcomafie» di cui è direttore. Con una scelta coraggiosa e profetica: il 25 marzo 1995 fonda «Libera, 1.500 associazioni, nomi e numeri contro le mafie» per sensibilizzare la società e promuovere una cultura della legalità: aderiscono diverse sigle dell’associazionismo, della scuola, della cooperazione, del sindacato.
Nel 1996 Libera promuove la raccolta di oltre un milione di firme per l’approvazione della legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie che permette di trasformare 6.500 immobili e terreni in cooperative sociali di giovani che realizzano prodotti con il marchio «Liberaterra», garanzia di gusto, legalità e responsabilità. Nel 2010 una seconda campagna nazionale contro la corruzione. Obiettivo di Libera è favorire e alimentare quel cambiamento etico, sociale, culturale necessario per spezzare alla radice i fenomeni mafiosi e ogni forma di ingiustizia, illegalità e malaffare: percorsi educativi in collaborazione con 4.500 scuole e numerose Università; sostegno ai familiari delle vittime innocenti della mafia, per cui istituisce la «Giornata della memoria e dell’impegno» che si celebra il 21 marzo, primo giorno di primavera; investimento sulla ricerca e l’informazione, attraverso l’osservatorio «LIberaInformazoione». L’ultima campagna è per la modifica dell’articolo 416 ter del Codice penale in tema di voto di scambio politico-mafioso.
Il percorso di Libera rispecchia il pensiero del suo capo carismatico: «La libertà è il bene più grande. Chi è povero non è libero, chi è senza lavoro, chi è vittima delle mafie e dell'usura non è libero. E la libertà è un diritto che Dio ha voluto per tutte le persone. Vivere il Vangelo non vuol dire soltanto insegnare e osservare la dottrina. Vuol dire prima di tutto incontrare e accogliere le persone, avendo come unico criterio i loro bisogni e le loro speranze. Non posso che gioire che Papa Francesco abbia voluto caratterizzarela Chiesacome una Chiesa in cammino, sulla strada, diretta nei luoghi più poveri e dimenticati».
Venerdì 21 marzo 2014 il Papa e don Luigi si incontrano, si abbracciano ed entrano in chiesa mano nella mano. In quel gesto, delicato e disarmante, c’è tutta la vicinanza della Chiesa alle famiglie riunite per ricordare i loro cari, vittime innocenti delle mafie: le parole del Pontefice sono un balsamo per le ferite del cuore di padri, madri, fratelli e figli, e una mazzata ai mafiosi: «Il vostro potere è insanguinato, per favore, ve lo chiedo in ginocchio, convertitevi e non fate più il male. Uomini e donne di mafia cambiate vita, convertitevi, fermate di fare il male. Noi preghiamo per voi: convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene. Questa vita che vivete non vi darà felicità e gioia. Potere e denaro che avete da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, denaro e potere che non potrai portarlo nell’altra vita. Perciò convertitevi, c'è tempo per non finire nell'inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada».
La ragione delle minacce mafiose al prete torinese – che da decenni vive blindato e scortato - è l’attività di Libera: il boss dei boss Totò Riina, nel carcere duro, è «preoccupato per tutti questi sequestri di beni». Sono agghiaccianti le minacce mormorate il 14 settembre 2013 dal capomafia di Corleone al boss pugliese della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso: «Ciotti, Ciotti, putissimo (possiamo) pure ammazzarlo. È come don Puglisi. Questo prete è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi».
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