Bombardamenti, ordigni bellici e la diocesi di Torino
Preti di Torino morti durante la Seconda Guerra Mondiale
«Anche il clero torinese ha dovuto contare i suoi caduti durante la guerra e la Resistenza: colpiti dai bombardamenti; assassinati dai tedeschi, dai nazifascisti e dai partigiani; morti nei lager o per conseguenze belliche». Lo ricorda don Giuseppe Tuninetti, storico della Chiesa subalpina nel suo fondamentale libro «Clero, guerra e Resistenza nella diocesi di Torino (1940-1945). Nelle relazioni dei parroci del 1945» pubblicato da Piemme nel 1996.
I sacerdoti italiani morti o dispersi per causa della guerra e della Resistenza sono in totale 729, cioè 471 secolari e 258 regolari. Tra i religiosi a pagare il prezzo più alto i Minori (72), Cappuccini (52), Salesiani (24). Le cifre sono riportate dal testo più attendibile, «Martirologio del clero italiano nella seconda guerra mondiale e nel periodo della Resistenza» pubblicato dall’Azione Cattolica Italiana nel 1963.
Per morti e dispersi del clero diocesano il Piemonte si colloca al quarto posto tra le Regioni: Toscana con 75, Tri-Veneto (63), Romagna (51), Piemonte (47), Emilia (41), Liguria (29), Lazio (29), Campania (29), Marche (24), Lombardia (23). I 47 subalpini sono così distribuiti: 18 parroci, «i più numerosi – scrive Tuninetti - in quanto categoria più esposta per il suo ruolo pastorale e sociale»; 8 viceparroci; 12 cappellani militari; 1 assistente di Azione Cattolica; 5 addetti ad altri uffici; 3 chierici-seminaristi. Tra le 17 diocesi piemontesi solo Pinerolo non ha preti caduti nella seconda guerra mondiale. Nei cinque anni Torino perde 13 sacerdoti: 2 parroci, 3 viceparroci, 3 cappellani militari, 1 assistente di Azione Cattolica, 4 addetti ad altri uffici. Ai 13 diocesani si aggiungono 9 religiosi: 6 cappuccini, 1 salesiano, 1 domenicano, 1 francescano minore.
Sono 158 i sacerdoti diocesani e 107 i sacerdoti religiosi morti in Italia sotto i bombardamenti o per ordigni bellici. I torinesi sono 11: tra essi i 5 frati cappuccini periti sotto il terribile bombardamento che distrusse la chiesa parrocchiale di Madonna di Campagna.
Giuseppe Astegiano (1914-1942) di Piobesi Torinese, cassiere della Curia, muore a 28 anni il 17 dicembre 1942 nel Seminario di Torino in via XX Settembre 83 maneggiando incautamente un ordigno bellico. Fiorenzo Bellora (1913-1944), torinese, viceparroco del Lingotto, muore a 31 anni durante l'incursione aerea del 4 giugno 1944, travolto dalla caduta del campanile su cui era imprudentemente salito per seguire il bombardamento sulla città. Lorenzo Chialva (1867-1943), torinese, cappellano a riposo dell'Opera Pia Barolo, muore a 74 anni durante il bombardamenti della notte del 13 agosto 1943. Luigi Fasciola (1887-1940), torinese, viceparroco di San Secondo in Torino, muore a 53 anni durante l'incursione aerea del 6 settembre 1940. Michele Filippa (1874-1942), torinese, cappellano alla Consolata, vittima a 68 anni dei bombardamenti della notte 20-21 novembre 1942. Angelo Gros (1892-1943), torinese, addetto alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, muore a 51 anni nell'incursione aerea del 13 luglio 1943.
A questi 6 sacerdoti diocesani vanno aggiunti i 5 cappuccini morti nella terribile incursione aerea dell’8 dicembre 1942, che colpisce duramente Torino e che distrugge la chiesa parrocchiale di Madonna di Campagna. Muoiono travolti dalle macerie i padri Francesco da Villafranca, Enrico da San Darniano d’Asti, Celestino da Busca, Ferdinando da Fossano, Marcellino da Novel.
Quando improvvisamente nella serata dell’8 dicembre 1942, solennità dell’Immacolata Concezione, all'improvviso suonano le sirene, i frati e la gente del quartiere cercano rifugio sotto la chiesa. Un grappolo di bombe – 18 quintali la più grande – colpisce il portale, manda in frantumi l’edificio, risparmia miracolosamente solo il campanile. Tra le macerie ci sono 64 vittime.
Il bombardamento dell’8 dicembre 1942 fa parte della seconda fase di incursioni che colpisce Torino, definite «terroristiche». Le azioni notturne sono compiute da grandi formazioni di quadrimotori della Raf che si susseguono a più ondate, avendo come obiettivo una zona predefinita della città, che colpiscono indiscriminatamente. Le bombe dirompenti usate sono di calibro grosso (1.000 libbre) e grossissimo (2.000 e 4.000 libbre). Vengono sganciati anche spezzoni incendiari alla termite, le nuove bombe al fosforo e bottiglie e bidoni di benzina al fosforo. Ogni ondata sgancia prima le bombe dirompenti e poi gli ordigni incendiari. Questa tecnica rende impossibile l’impiego dei mezzi antincendio durante l’incursione e favorisce lo svilupparsi di incendi di vaste proporzioni.
Ai danni degli incendi si sommano quelli delle esplosioni delle bombe dirompenti, che distruggono gli edifici, bloccano i servizi e le comunicazioni, interrompono strade, cavi elettrici e telefonici, tubature del gas e dell’acqua. In questa seconda fase si assiste al primo vero sfollamento dei torinesi. Nell'incursione aerea dell’8 dicembre, durata dalle 20.50 alle 21.50 sono utilizzati 133 Lancaster, Wellington, Stirling e Halifax.
Gli aerei inglesi effettuano un bombardamento a tappeto che provoca un alto numero di vittime, ottenendo un risultato al di là di ogni aspettativa, tanto che il Bomber Command della Raf all'indomani sottolinea che si era trattato «del più grande numero di vittime provocato in tutto il 1942 nonostante che in altri tre raid si fosse impiegato un numero di mezzi molto maggiore. Gli incendi provocati da questo raid stavano ancora divampando la notte successiva».
Quella tragica serata provoca 212 morti e 111 feriti. È bombardato anche l’ospedale delle Molinette, come ricorda il cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati nella lettera pastorale del 20 dicembre 1942: «Come dimenticare la terribile notte dell’8 corrente? Qualche ora dopo l'incursione, che aveva lasciato tante case diroccate o in fiamme, mi si riferiva che una bomba era caduta anche sull’Ospedale di San Giovanni alle Molinette: corro là e trovo la devastazione; mi fermo e benedico alcuni feriti gravi; c'è anche una morta, una giovane suora, suor Santina delle Figlie della carità, che non aveva abbandonato il suo posto presso un'inferma e in questo atto di carità aveva consumato la sua vita».
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