Torino, città aperta. Perché puntare sul «G7» a Venaria

In vista del summit alla Reggia alcune considerazioni sul ruolo internazionale del capoluogo subalpino

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Torino, città aperta. Perché puntare sul «G7» a Venaria

Come accadde per il Salone del Libro, facciamo il tifo per il vertice internazionale G7 di fine settembre a Torino-Venaria, un vetrina da sostenere senza riserve, sfidando problemi organizzativi, cacciando lo spettro di piazza San Carlo ed anche la paura dei disordini sempre possibili con gli imprevedibili black block. Dobbiamo imparare a gestirla, la paura, non a fuggirla come vorrebbero certe proposte di contenere in poche ore, lo stretto indispensabile, questo vertice dei Capi di Stato in terra piemontese. Il summit duri quello che deve durare, ci si concentri piuttosto nel dare buona prova di organizzazione.

Torino internazionale non è semplicemente il nome di un ente. Negli ultimi vent’anni, tra luci ed ombre, la città si è scrollata il proprio torpore e grigiore, con un’idea precisa di organizzazione, sviluppo e prospettiva proiettandosi nel contesto mondiale. Se oggi  Torino non è semplicemente più la città della Fiat e della Juventus lo si deve anche a più di un ragionamento sulla riqualificazione politico-culturale, economica e sociale che negli ultimi decenni è stata realizzata, con qualche inciampo ma con coerenza. Sarà dunque la Reggia di Venaria Reale a ospitare il G7 su Industria, Lavoro e Scienza, in un primo momento previsto al Lingotto e ora trasferito in una cornice prestigiosa in cui arte e natura, storia e futuro si intrecciano.

La conferma di Venaria è giunta pochi giorni fa dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda: ha dato appuntamento ai suoi colleghi nella residenza sabauda, dopo che per settimane si era paventato il trasferimento del vertice a Milano. Resta l’incognita della durata, con il Sindaco Chiara Appendino che  vorrebbe ridurre i tempi. Diversi i motivi: la paura di un corteo di antagonisti e con possibili scontri e disordini, e dopo la tragedia di piazza San Carlo e i fatti di piazza Santa Giulia, la difficoltà di dare fornire tutti gli elementi indispensabili per una riuscita complessiva dell’evento, evitando che diventi una sorta di summit nello splendido isolamento della Reggia. Una attività di moral suasion nei confronti del governo è stato portato  avanti dall’Amministrazione comunale così come l’idea di un summit alternativo da celebrarsi sugli stessi temi promosso da realtà sociali di base. 

Ma la storia di Torino, la sua tradizione, la decisiva posizione geografica che le permette di essere cerniera tra nord e sud Europa hanno determinato una visibilità e una contiguità continentale e internazionale da salvaguardare e da sviluppare anche in futuro.  Per questi motivi e per le caratteristiche prossime ad una eccellenza nella tradizione diplomatica, il rapporto con le istituzioni sovranazionali europee e mondiali, la storia dell’impresa e il suo profondo sedimento culturale la possibilità, quasi certa di poter ospitare il G7 a Torino, nella Reggia di Venaria, dovrebbe inorgoglire istituzioni e cittadini, ponendoli in un’ottica di internazionalizzazione della città che agli anni Novanta, non solo per la presenza della più importante impresa industriale in Italia, è stata in forte crescita.

Senza blandire come un vessillo nostalgico il tempo di preparazione e di realizzazione dei Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 e la trasformazione urbanistica e in fondo sociale della città e senza omettere ciò che di nebuloso e irrisolto ha lasciato quel ventennio, si può sicuramente affermare che Torino è degna di ospitare un incontro internazionale di valore mondiale per tutti i giorni necessari, diventare non tanto  vetrina mediatica, favorendo la visione della sue bellezze artistico naturali, ma esprimersi come comunità, istituzione, cuore pulsante di una storia di saper fare e costruire ed esportare, il proprio ingegno. Va riproposto, insomma, la dimensione internazionale di Torino contro una deriva autoreferenziale in cui dominano la paura di non farcela o peggio di essere in balia di azioni di disturbo esterno. 

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