Regione Piemonte, i debiti ammontano a cinque miliardi
Il presidente Sergio Chiamparino in emergenza, accuse incrociate fra i predecessori Cota e Bresso. E' polemica sull'origine della voragine
Si è fatta nerissima la voragine del Bilancio della Regione, dopo la recente pronuncia della Corte dei Conti (giudizio di parifica sul rendiconto regionale del 2013) che ha certificato per il Piemonte un disavanzo che supera i 5 miliardi di euro (tenendo conto dei residui attivi e passivi sarebbero addirittura 6,6 miliardi secondo quanto dichiarato dall’assessore al Bilancio Aldo Reschigna).
Si tratta di una somma esorbitante, figlia innanzitutto della gestione di 2,55 miliardi di euro di risorse statali destinate nel 2013 al piano straordinario per il rimborso dei debiti arretrati della pubblica amministrazione. La Giunta Cota utilizzò quelle risorse anche per finanziare nuova spesa corrente, «in coerenza con quanto concordato con i Governo tecnico di Mario Monti e quello di centrosinistra di Enrico Letta» ha precisato nei giorni scorsi l’ex governatore. La situazione piemontese è comune ad altre regioni italiane, in verità, (gli stanziamenti statali totali ammontavano ad un totale di 26 miliardi di euro), ma sotto la Mole è stata cassata per la prima volta da una sentenza della Corte costituzionale emessa il 24 luglio con la quale la Consulta ha dato ragione alle Province di Alessandria e del Verbano Cusio Ossola, che si erano rivolte al Tar in seguito al pesante taglio dei trasferimenti regionali avvenuto nel 2013. Utilizzando le risorse vincolate al ripiano dei debiti anche per finanziare nuova spesa corrente, la Regione ha violato secondo la Consulta le regole contabili e l’articolo 119 della Costituzione che impone agli enti locali di indebitarsi solo per finanziare investimenti.
L’altra parte del debito che grava sulle casse regionali, altri 2 miliardi circa, sarebbe causata da debiti fuori bilancio effettuati dalla Regione in anni passati. Su questo punto il rimpallo delle responsabilità tra gli ex amministratori del Piemonte è spietato: il leghista Cota, che s’intesta la prima vera riduzione dell’indebitamento regionale per l’ammontare di 200 milioni di euro durante il suo mandato, accusa le Giunte guidate da Mercedes Bresso (Pd, anni 2005-2010) di aver prodotto il disavanzo, mentre la Bresso addossa le colpe sul suo successore leghista, spiegando che i disavanzi del bilancio consuntivo, sotto la gestione Cota, venivano ribaltati sul bilancio preventivo dell’anno dopo, con il quale cercavano di coprire ammanchi da 4/500 milioni di euro.
Più di un parlamentare, commentando il pronunciamento della Corte costituzionale, ha paventato un rischio per la tenuta dei conti delle Regioni italiane, salvo un intervento risolutivo del Governo. Rischiano la bocciatura anche Lazio, Campania, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Puglia, per un buco potenziale che potrebbe arrivare a una ventina di miliardi. Non è un caso, dicono gli osservatori qualificati della vicenda, se in questi giorni dal Governo stanno arrivando segnali della volontà di intervenire in soccorso degli enti indebitati modificando le regole sul pareggio di bilancio, che senza interventi in extremis dal prossimo anno si applicherà anche a Regioni e Comuni.
Intanto il vicepresidente e assessore al Bilancio Aldo Reschigna, commentando la sentenza che ha bocciato una parte dei documenti contabili approvati nel 2013 ha spiegato: «Se non avessimo messo mano al bilancio, oggi la Regione sarebbe in default». I conti, però, sono drammatici, e non a causa del settore Sanità, tradizionalmente considerato il più malandato della Regione, che proprio Reschigna a marzo di quest’anno aveva «scagionato» affermando alla stampa: «Il resto della Regione è un malato assai più grave della sanità». I numeri comunicati dal vicepresidente all’approvazione del conto economico di previsione dicono che «tra residui passivi, debiti fuori bilancio della sanità e negli altri comparti, e passività pregresse, la Regione ha in totale 6,6 miliardi di euro di somme da ripianare. Debiti enormi accumulati in 15 anni, il che significa corrispondere a bisogni impellenti degli enti locali».
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