La città dell’accoglienza una responsabilità civica
A colloquio con Elide Tisi, vice Sindaco di Torino e l’emergenza profughi
La Commissione dell’Unione europea ha approvato l’agenda per una nuova politica dell’immigrazione che trasforma la missione Triton quasi in Mare Nostrum e propone un sistema di emergenza di quote, per ripartire fra tutti chi arriva vivo sulle nostre coste: sarà obbligatorio, ma non per Italia e Grecia, ai quali - pesante segnale politico - viene riconosciuto di aver fatto già abbastanza. Per l'Italia è stata proposta la quota di accoglienza non vincolante dell'11,84%.. Intanto il nostro territorio e la comunità torinese si organizza. In particolare cosa sta facendo ed ha fatto la città rispetto all’emergenza profughi e il piano europeo. Lo abbiamo chiesto ad Elide Tisi, vice sindaco di Torino e responsabile delle politiche sociali.
Nei confronti dei profughi Torino si sta attivando secondo la sua tradizione di accoglienza, solidarietà diffusa e responsabilità. Senza clamori ma con concretezza, una collaborazione davvero importante tra l’ente pubblico e decine di associazioni che spesso in passato non sempre hanno lavorato insieme. Dei circa 1300 arrivati in Piemonte a fine aprile, circa 330 sono rimasti a Torino e 970 in provincia, tutti gli altri nel resto della Regione. Al 31 dicembre scorso in tutto il Piemonte se ne contavano altri 3.232, 2.340 dei quali sistemati nei vari centri di accoglienza individuati dalla Prefettura e 890 accolti dal sistema Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), costituito dalla rete degli Enti locali che – per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata – accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. La Prefettura di Torino sta lavorando bene ma non riesce a fare fronte ad una situazione complicata come quella attuale ma il progetto è gestito dai Comuni, e a Torino, non da oggi stiamo lavorando sul «Progetto Rifugio». Oggi possiamo contare 478 posti, che orma sono esauriti, mentre le persone accolte sono davvero migliaia.
«L’accoglienza ai rifugiati non è un mestiere che si può improvvisare», afferma il vice sindaco «perché le emergenze vanno gestite e governate. E la responsabilità morale e politica non è quella di creare allarme sociale ma dare risposte concrete». Elide Tisi prosegue il suo ragionamento affermando che «Torino si connota per un lavoro di tenuta e dialogo e il Ministero, che coordina il progetto, ci chiede se siamo disponibili ad allargare questo progetto di accoglienza». Ed è, infatti «solo insieme è possibile fronteggiare una realtà così complessa. In questi anni la nostra città ha lavorato molto ma questa emergenza deve essere affrontata attraverso scelte politiche coraggiose e globali, europee e nazionali». Ancora Elide Tisi ricorda che «quando si chiuse l’emergenza Nord Africa nel 2013, non vi fu solo l’occupazione del Moi, ma grazie al progetto Sprar, dei programmi mirati. Si è evitato che vi fossero altre occupazioni e situazioni di grave disagio. Si volevano evitare delle nuove occupazioni, e di evitare di lasciare molte persone per la strada, senza una fissa dimora».
«Dunque è fondamentale – prosegue Tisi – che si operi in stretta collaborazione con le politiche europee e nazionali; ma l’azione dovrebbe essere incardinata sul territorio e non calata dall’alto. Non si possono riempire gli alberghi, dichiarare e poi sospendere stati d’emergenza, lasciando poi ai territori, la gestione delle criticità». Oggi intanto i profughi e richiedenti Asilo giungono in città provenienti soprattutto dal centro di accoglienza di Crotone, pochi quelli da Lampedusa. Sono soprattutto persone della Nigeria, Libia, Mali, Niger, Pakistan. Una parte resta in città. Molti sono quelli che emigrano in altri Paesi, e la libera circolazione in Europa non ci consente di avere dati certi. Certamente vi sarà una crescita notevole rispetto ai 1500 accessi all’anno di media, prima delle nuova grave emergenza. Elide Tisi pone l’accento come «L’impegno della città, in momenti di grave crisi economica, e di mancanza di lavoro diventa davvero complesso. Ma si lavora per un progetto di integrazione e accompagnamento.
In questo si può sottolineare l’importanza dei protocolli d’Intesa con le organizzazioni dell’Agricoltura per cercare di trovare un lavoro nel settore ai migranti e dare qualche risposta di stabilizzazioni». Infine, anche rispetto all’impegno delle famiglie che accolgono, oggi sono 29, il vice sindaco esprime un parere molto chiaro: «L’esperienza torinese che in affido in famiglia non metti la persona appena arrivata, che spesso hanno bisogno di superare traumi e situazioni tragiche di grave disagio. Ma dopo un percorso e un progetto di inserimento. L’abbinamento deve essere giusto. Non si possono dare risorse anche economiche alle famiglie per risolvere il problema dei rifugiati, senza un progetto serio e di lungo periodo».
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