Facciamo il tifo per il Salone, oltre i confini
Un grande successo di pubblico e di incontri a Torino fino a lunedì 22. L'intervento dell'Arcivescovo Cesare Nosiglia sui Santi. Il video dei ragazzi del Valsalice
Mons. Nosiglia al Salone con don Luca Ramello e il mondo degli Oratori
Gli appuntamenti e gli incontri del trentesimo Salone internazionale del libro di Torino si presentano ai nastri di partenza come un fi ume in piena: è sempre stato così e l’edizione di quest’anno non fa eccezione. È il bello del Salone: la consapevolezza che per cinque giorni si farà una grande scorpacciata di libri, scrittori, ospiti vip, volti, chiacchiere intorno al mondo della lettura e, più in generale, della cultura, italiana ed internazionale. Nella speranza che tutto questo fervore non resti solamente scritto sulla sabbia ma instilli occasioni di crescita ulteriore nel popolo dei lettori. Forse è utopia (l’Italia legge poco…) ma, almeno nei giorni del Salone, è bello crederci.
Dopo l’apertura di giovedì 18, la kermesse torinese si butta nel vivo degli appuntamenti proponendo, venerdì 19, «Il nome della rosa» di Umberto Eco nella riscrittura drammaturgica che ne fa il Teatro Stabile di Torino, in scena al Carignano fi no al 23 maggio: presentano lo spettacolo il regista Leo Muscato e il cast degli interpreti (spazio Incontri, alle 10.30). Di cyberbullismo e del disegno di legge «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo» recentemente presentato in Senato si parla con Marco Berry, Alessandro De Cillis, Vittorio Del Monte ed Elena Ferrara allo Spazio Piemonte, alle 11. Quindi «Il digitale e le biblioteche» (spazio ProspetSalone, un fi ume di libri in piena «Lo scrittore e il suo doppio», con Daniel Pennac, «L’educazione al tempo dei Millennials», la lectio magistralis su Giuseppe Ungaretti. Ma anche il rapporto tra scienza e fede, «Le strade di don Milani» e «Religioni di Oriente e di Occidente nell’età dei radicalismi» tive digitali, alle 11.45), «Lo scrittore e il suo doppio» con Daniel Pennac e la sua traduttrice Yasmina Melaouah (sala Professionali, alle 12).
Poi dice di «Vasco, Fabrizio e i Beatles spiegati a mio fi glio», il libro di Marcello Gianotti e Paolo Giordano che lo presentano alla sala Music’n’Books alle 12. Tocca quindi a «Le strade di don Milani», in occasione della pubblicazione della sua opera omnia nei Meridiani Mondadori: Enzo Bianchi, Alberto Melloni, Carlo Ossola, Federico Ruozzi e Sergio Tanzarella si confrontano sulla fi gura di un sacerdote che, a cinquant’anni dalla morte, continua ad interrogare le coscienze di laici e cattolici (sala Blu, alle 13). Sempre venerdì 19, allo spazio Eventi alle 14, mons. Franco Buzzi dialoga con Giuseppe Platone sui cinquecento anni della Riforma protestante; Enzo Bianchi si confronta con Alexis Jenni su «La fede cristiana ridetta altrimenti» (spazio Babel, alle 14.30); Franco Garelli rifl ette su «L’educazione al tempo dei Millennials» (spazio Books, alle 19).
Sabato 20, in sala Rossa alle 10.30, nell’incontro «Dio e l’anima immortale sono compatibili con la scienza dopo Darwin?», l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, un fi losofo ateo, Paolo Flores d’Arcais, ed uno dei massimi studiosi di Darwin, Telmo Pievani, sono a confronto: è ancora possibile credere nell’immortalità dell’anima e in un Dio creatore, quando è scientifi - camente accertata l’origine dell’uomo per evoluzione biologica delle specie? Contemporaneamente, in sala Blu alle 10.30, si parla de «Lo straordinario successo di Elena Ferrante nel mondo», alle 11, in sala Filadelfi a, c’è la lectio magistralis di Carlo Ossola su Ungaretti; e ancora «Giovanni Arpino, la prosa ‘in campo’» (spazio Autori, alle 11.30), «È La storia di tutto. La Bibbia raccontata ai bambini» (Bookstock Village, alle 12.30).
Nello spazio Toscana, alle 14.30, ancora attenzione al prete di Barbiana con la presentazione dei «libri dedicati a don Milani» con gli interventi di Valeria Comparetti Milani, Sandra Gesualdi, Pucci Giannozzo e Mario Lancisi. Domenica 21 torna don Milani in «Don Milani e Barbiana, 50 anni dopo», con le testimonianze di Aldo Bozzolini ed Oliviero Toscani (spazio Autori, alle 14.30); più tardi, alle 18.30, sempre allo spazio Autori c’è «Occidentali’s karma?», cioè le «Religioni di Oriente e di Occidente nell’età dei radicalismi» con interventi, tra gli altri, di Luigi Berzano, Hsing Fang Chang, Massimo Giusio, Massimo Introvigne, Alessandro Meluzzi, Yahya Pallavicini, Bruno Portigliatti, Thuong Tam Thanh. Lunedì 22, alle 12.30 nello spazio Stock, Fabio Geda, Gaia Guasti, Andrea Schiavon conversano su «Don MilaniParole per timidi e disobbedienti: lettere di un cattivo studente»; alle 16.30, nello spazio Incontri, c’è la presentazione del libro su monsignor Bettazzi scritto da Luca Rolandi e Michele Ruggiero.
Mons. Nosiglia al Salone con "L'Italia dei Santi"
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento di mons. Cesare Nosiglia al Salone del Libro, per la presentazione, svoltasi giovedì 18, del volume «L’Italia e i Santi. Agiografi e, riti e devozioni nella costruzione dell’identità nazionale», edito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani.
I santi nascono per non morire. La loro traccia rimane nel tempo e nei cuori delle persone, non è confinata in una lapide o nella custodia di qualche reliquia. Nella definizione dell’identità italiana, così come la assume il pregevole lavoro di questo libro, la categoria della santità viene assunta come esempio e modello. Si tratta, è evidente, di una santità che non corrisponde, se non in parte, all’accezione principale che di essa viene data nelle Chiese cristiane (cattolica, ortodossa, riformata). Stessa considerazione va sottolineata per il termine «martirio», che nel linguaggio ecclesiale indica una funzione specifica, quella di chi spende o lascia la vita in nome della propria fede. In questo libro, invece, santità e martirio vengono applicati a persone e situazioni differenti. Si tratta di «santi laici», di martiri caduti non per la fede ma per la patria, o in qualche guerra… Ma è anche vero che la santità cristiana e la santità diciamo così «nazionale» hanno una coincidenza originaria, un fondamentale tratto comune.
Il fatto, appunto, che i santi nascono per non morire: di essi, cioè, si conserva la memoria oltre il tempo della vita biologica. Continuano a essere motivo di esempio, modelli di comportamento; le loro parole e i loro gesti si tramandano da una generazione all’altra. Perché la memoria, cioè la fedeltà a ciò che è accaduto, alla vita che si è vissuta, è ciò che si impone a noi e chiede di essere ricordato per il suo valore. È al centro della fede, e fin dall’inizio. Da quando cioè il Cristo comanda ai suoi: «Fate questo in memoria di me». Ed è una realtà, una dimensione completamente diversa da qualunque altra memoria del mondo, ben al di là dei limiti del volume che stiamo presentando. Ci sono tre ambiti o categorie della santità che richiamano in modo diretto alcune delle linee guida che la Chiesa italiana, sulla scia dell’insegnamento di Papa Francesco, si è voluta dare per il prossimo decennio.
Sono gli ambiti che riguardano l’abitare, l’educare, il trasfigurare. «Abitare» concerne direttamente la realtà del territorio. E qui vorrei ricordare uno dei libri fondativi della cultura europea, la «Legenda aurea» di Jacopo da Varagine, che raccoglie, in oltre 180 «vite di santi», notizie, informazioni, tradizioni, costumi e devozioni di tutti i Paesi d’Europa, e dell’Italia in particolare. Questa enciclopedia ante litteram è stata, per secoli, una guida spirituale e insieme il contenitore naturale del patrimonio di valori e tradizioni dei popoli. Ugualmente la «città» è un’altra dimensione fondativa: la città delle persone, la civitas, a cui i santi danno un contributo fondamentale nei momenti cruciali della storia. Alcuni esempi sono quasi scontati: si pensi alla figura di Ambrogio, prima prefetto e poi vescovo di Milano, vero nuovo fondatore della città. Siamo di fronte a un tòpos fondamentale per la stessa struttura teologica e dottrinale della fede cristiana.
È figura della nuova Gerusalemme, indicata dall’Apocalisse come mèta ultima del mondo, la realtà che raffi gura come compimento della storia umana. E qui non posso non ricordare il mio primo predecessore, quel Massimo di Torino che, dagli scarsi testi in nostro possesso ci viene descritto e ricordato come un animatore instancabile nella difesa della città dai barbari, ma anche come inflessibile profeta dei valori di solidarietà e giustizia che sono alla base del vivere civile. Un altro santo torinese, a noi molto più vicino nel tempo, Giovanni Bosco, ha sintetizzato nella formula «buoni cristiani e onesti cittadini» quella che non è solo una fondamentale prospettiva educativa, ma anche la scelta consapevole di una vita spesa a servizio di quei valori che sono origine e senso della vita associata.
È la prospettiva del «bene comune» che la dottrina sociale della Chiesa ha lanciato e maturato negli ultimi due secoli ma che affonda le proprie radici appunto nei Padri e nella stessa esperienza dell’insegnamento di Gesù Cristo e della Chiesa primitiva. Una terza categoria ascrivibile alla santità, e forse la più significativa, riguarda «la cura». Vale a dire l’attenzione profonda, il rispetto totale di ogni persona a fare i santi. La grande esperienza dei santi sociali torinesi è l’epopea di una storia che parte dai progressi materiali ed economici della rivoluzione industriale perché di quel contesto evidenzia i limiti umanistici, le gravi ingiustizie che si producono.
Certo, don Bosco e il Cottolengo non scendono in piazza e non indicono scioperi; il Cafasso non contesta la legislazione carceraria. Ma Leonardo Murialdo, rampollo di una famiglia ricca e in vista, non esiterà a mendicare davanti al santuario della Consolata per sostenere i suoi «artigianelli»; e la Marchesa di Barolo investirà le sue ricchezze nell’educazione dei giovani, nella promozione delle donne, in primis quelle dichiarate perdute. Il fatto è che i santi (e non solo quelli ottocenteschi torinesi) hanno trovato un’altra via. Che non è quella della contestazione in vista della rivoluzione, ma non è neppure quella degli «infermieri della storia», che accettano passivamente di «consolare» e rimediare all’arroganza dei potenti. Questa via non è «terza» rispetto ai confl itti sociali. È «altra». Perché si obbliga a ripartire dalla persona, da ogni singola persona: quello è l’unico valore davvero assoluto perché ogni uomo è immagine di Dio e come tale va riconosciuto.
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