Case popolari, 14 mila torinesi in lista d'attesa
Intervista al presidente Marcello Mazzù –Emergenza senza fine, disponibili solo 500 alloggi per anno, migliaia le famiglie costrette a soluzioni di fortuna. Attiva mobilitazione della Chiesa torinese, ennesimo appello dell’Arcivescovo nei giorni di Natale ai proprietari di alloggio.
Numeri alla mano, la fotografia dell’emergenza abitativa a Torino e nella Città metropolitana racconta che per coprire il fabbisogno di alloggi di edilizia popolare richiesti occorrerebbe quasi raddoppiarne il numero a Torino (oggi sono quasi 18mila) e aumentarli di due terzi nell’intera Città Metropolitana (dove sono poco più di 12mila).
Marcello Mazzù, dall’inizio del 2015 presidente dell’Atc Piemonte centrale, una situazione di questo genere è oltre l’emergenza: una drammatica e consolidata realtà. Quali sono i dati nel dettaglio?
«Gli ultimi dati consolidati dell’Osservatorio abitativo sociale dicono che nel 2015 la domanda di casa popolare era stata avanzata da più di 20mila persone sul territorio della Città metropolitana, 13mila 600 a Torino, quasi 7mila nel resto del territorio della vecchia Provincia. Nel 2010 le richieste erano 15mila, quindi il trend è in continua crescita. Le assegnazioni complessive viaggiano intorno al migliaio all’anno tra capoluogo e area metropolitana».
Qual è la situazione a Torino?
«Nel 2016 e 2017 il trend della richiesta e dei nuovi inserimenti si è mantenuto: nella sola città di Torino al momento le domande all’attivo sono 14mila a fronte di circa 500 assegnazioni l’anno. In generale, anche fuori dal capoluogo, abbiamo accorciato del 40 per cento rispetto agli ultimi anni il tempo di ingresso in un alloggio che viene liberato: 30 giorni per quelli che hanno bisogno di lavori di manutenzione ordinaria e 60-90 per quelli che necessitano di interventi straordinari».
Sono in programma nuovi alloggi per far fronte all’emergenza?
«Soltanto due cantieri: Atc è al lavoro in corso Vigevano (area ex Incet) per 40 nuovi appartamenti e altri 70 ne sorgeranno grazie ad un cantiere aperto nella zona di Spina 4. L’ultimo grande insediamento abitativo di edilizia pubblica è lo stabile ex Nebiolo di corso Novara via Como, 160 appartamenti, inaugurato nel 2011».
La Caritas e le associazioni cattoliche rispondono con interventi a tutela delle situazioni di emergenza abitativa che intercettano. Si tratta di casi che sono già noti all’Atc?
«Le associazioni e il mondo della cooperazione intervengono in modo prezioso – molto spesso in collaborazione con noi per la progettazione dell’intervento a lungo termine – nella risposta all’emergenza della fascia di popolazione più disagiata, o quella che ha avuto un tracollo della situazione economica improvviso e non ha ancora presentato domanda per l’alloggio. C’è però un’area di sofferenza che rimane in lista d’attesa per anni e che nessuno riesce a intercettare: quella fascia grigia di cittadini che hanno una condizione economica non di miseria, ma comunque di forte disagio, tale da non potersi permettere nemmeno un alloggio di edilizia a canone ribassato – la fascia leggermente superiore all’edilizia popolare –, figurarsi sul libero mercato».
Come vivono questi richiedenti, nell’attesa di una casa popolare?
«In soluzioni abitative di fortuna, inanellando morosità, oppure ritornando a casa dei genitori con le loro famiglie, determinando quindi una situazione di sovraffollamento degli alloggi dei genitori/nonni, sui quali si scarica il peso della tenuta economica e della dimora di tre generazioni».
Qual è il canone medio mensile negli alloggi Atc?
«Novanta euro. Ci sono situazioni da 40 euro mensili, fino a inquilini di lunga data, con situazioni economiche più consolidate, che pagano circa 200 euro».
Anche importi così bassi faticano ad essere pagati?
«La voce di spesa più allarmante per gli assegnatari di casa popolare non è il canone, ma le spese per acqua e riscaldamento che sono la principale voce di sofferenza delle famiglie. Il 78% degli inquilini si colloca nella fascia reddituale definita di ‘sostegno’ e ‘protezione’, cioè di grave difficoltà economica. 6mila famiglie su 26mila totali beneficiano del fondo sociale regionale per i morosi incolpevoli».
Periodicamente si riaccende la polemica sugli immigrati, sul loro presunto accesso preferenziale agli alloggi popolari, mentre «gli italiani restano in attesa». Esiste questa disparità?
In linea generale, no: non esistono graduatorie separate. Ma per aprire una discussione seria sul tema, è necessario dare qualche dato di riferimento: la percentuale di stranieri a Torino sul totale della popolazione residente è del 15%, una cifra molto simile, il 17%, è la percentuale degli assegnatari di casa popolare Atc. È però vero che negli ultimi anni registriamo un incremento delle assegnazioni a favore di cittadini stranieri (si tratta di immigrati con i documenti in regola, residenti da almeno tre anni nel Comune in cui chiedono l’assegnazione di un alloggio popolare): hanno spesso famiglie numerose e figli minorenni, condizioni che danno priorità d’accesso.
Il trend dei dati preannuncia un futuro all’insegna dell’emergenza. Manca un piano generale di interventi sulla casa?
«Dopo il Programma Casa della Regione Piemonte, correva l’anno 2006, non sono stati approvati piani strutturali regionali sull’emergenza abitativa, anche se l’attenzione sul tema rimane forte e alcuni finanziamenti ci sono: la Regione sta pagando in questi mesi somme anticipate dall’Atc sul fondo morosità incolpevole e per nuove realizzazioni di case popolari (in totale sono 34 milioni), verso il Comune di Torino è stata intrapresa un’azione legale per il rientro di altri 15 milioni. Il Governo nell’ultima legge di bilancio ha stanziato 350 milioni di euro per l’edilizia popolare – di cui 100 per le zone terremotate del centro Italia. Il fabbisogno, però, ha cifre su un’altra scala e continua a crescere».
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