Cancelli e paure

Una riflessione profonda sul senso delle scelte e della vita

Parole chiave: cancelli (1), muri (10), ponti (7)
Cancelli e paure

Quei cancelli a Torino e Milano, quelle inferriate sono immagini delle nostre fragilità. Ci sono paure che rivelano incertezze, solitudine. Paure che diventano silenzio, timore degli altri, eccessiva protezione di noi stessi…

Paura dei ladri. E l'Italia ha il primato della vendita dei sistemi d'allarme negli alloggi e nelle case a sono tornate le «inferriate». Scelta giusta certamente, scelta che deve dare protezione e sicurezza, cancellate da molte cause e tanti «sordi» che si sono alternati  al governo.

Paura degli altri. Che lo ammettiamo o no gli attentati compiuti o possibili, hanno insinuato dentro ognuno di noi qualche sospetto in più nei confronti «degli altri», soprattutto se hanno una pelle di diverso colore dalla nostra.

Paura di parlare. Quante volte si tace. Certo è più comodo.

Non si parla più con i figli. Che nostalgia le feste di una volta con i nonni che raccontavano. Valori persi. Quanti silenzi nelle famiglie. Musi lunghi e sguardi abbruttiti per le più incredibili banalità. Silenzi che rischiano di diventare rancore, a volte odio. E le cifre confermano che ci si separa di più e si divorzia di più. Non solo, ma cresce la violenza (quanti delitti in casa!). È un altro segno di debolezza: affidare ai coltelli e alle pistole i nodi da sciogliere.

Paura «dentro». L'Italia è tra i più grandi consumatori di ansiolitici e psicofarmaci. Li prendiamo per uscire, per far festa, per stare in casa, lavorare. Una paura che ne mette insieme tante fatte esplodere o peggiorare, in questi mesi, dalla guerra, i morti, la crisi.

Paure di subire (o che i nostri figli subiscano) ingiustizie. Una paura, questa che ci porta con una frequenza inaudita dal giudice di pace o nei centri anti-conflitti o, semplicemente, ci fa diventare troppo protettivi di noi stessi e dei nostri diritti. Paura che vuol dire anche mai cedere una posizione in coda agli sportelli o «bruciare» magari in sorpasso sulla destra la coda d'auto al semaforo.

Paura della povertà. Nella società che ha cancellato i cortili, le famiglie patriarcali, i nonni, nel nome di chissà che cosa si può diventare più poveri molto in fretta: perdendo il lavoro e non riuscendo a riciclarsi, avendo investito i risparmi in titoli sbagliati, avendo subito una malattia costosa e devastante.

Paura della solitudine. Quel correre, ogni weekend, da una festa ad una sagra non è la prova di quante isole ci siano in giro?

Paura di perdere diritti. È nel suo nome che non si pensa più ai doveri. Solo ai diritti altrimenti c'è subito l'avvocato da interpellare per una qualsiasi banalità a scuola, sul lavoro, in strada. Troppe paure, troppe fragilità e le famiglie ancora troppo sole.

Ma c'è un altro fenomeno che ci sta sfuggendo. Mentre da ogni parte aumentano gli appelli alla tolleranza, alla solidarietà, alla reciprocità, il tasso di maleducazione sta subendo una escalation esponenziale. Guardate che cosa succede, ogni giorno, ogni minuto, sulle strade: insulti, segnacci, aggressioni per un parcheggio, un sorpasso. una manovra sbagliata. 

Farsi rispettare, farsi giustizieri, vendicare: ecco frasi e parole che stanno entrando nel linguaggio comune. Brutti segnali.

Segnali che i grandi valori se ne sono andati, sono sfumati con la caduta dei muri. 

Ovvio non è sempre così. Regge il volontariato (ma già dà qualche segnale di stanchezza), reggono le passioni politiche o meno (ma per un numero sempre più ristretto di persone), reggono gli ideali (ambiente, salute, star bene, ma in una società civile sempre più stanca), reggono i sogni, quelli sì. Ma, in realtà, ci stiamo imprigionando da soli nel benessere, difendiamo con ogni mezzo ciò che abbiamo, ciò che siamo o crediamo di essere.

In questo contesto c'è ancora posto per Dio o almeno per un sorriso?

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