L'inclusione che non c'è
“Io quelle persone lì, qui non le voglio” dice lei voltandosi di scatto e guardandoci con contrarietà.
Il qui è un albergo nel riminese. Lei è la proprietaria. Con un amico sto considerando le misure di un bagno minuscolo. “Certo che lì non riesce a entrare nemmeno una persona sovrappeso, figurati una sedia a rotelle!”, osservo. La risposta tagliente della signora ci gela.
Quelle persone lì non sa di inclusione, vero? D’altra parte credo sia in buona compagnia: mia figlia, che si muove con una sedia a rotelle, aveva avuto l’idea di trascorrere tre giorni a Spotorno a fine agosto, con un’amica. Telefonò per prenotare una camera d’albergo; la risposta fu: “Per i disabili esistono delle strutture fatte apposta, qua in albergo potete venire solamente in bassa stagione.” Anche quando con la famiglia al gran completo entravamo in un ristorante capitava talvolta, specie quando andavano avanti i miei tre ragazzini speciali, che uno sguardo di disapprovazione si disegnasse sul volto del ristoratore. Innervosirsi? Denunciare? Fare un post su Facebook?
Personalmente non ho mai creduto nella forza delle lamentele. Preferisco trovare soluzioni, convinta che se vivo ogni considerazione negativa come una pugnalata morirò dissanguata in un brevissimo spazio di tempo. Per esempio di fronte ai ristoratori contrariati facevamo rapidamente dietrofront affermando: “Avete perso sette clienti, e avremmo pagato con soldi normali, non diversi!”, trovando poco dopo ristoranti più accoglienti.
“Non ti curar di lor, ma guarda e passa” scriveva il grande vate. E allora, al posto di sentirmi annientata, queste reazioni intolleranti alimentano la mia volontà di andare avanti nel cammino per far percepire la normalità della diversità, per permettere di avvicinarsi agli altri con uno sguardo aperto. La peggiore disabilità è quella del cuore: quando vediamo l’altro, ma non lo guardiamo, quando ci avviciniamo all’altro, ma non lo sappiamo prendere per mano, quando sentiamo l’altro, ma non lo ascoltiamo.
Forse l’unico modo per non vedere la caratteristica speciale di chi abbiamo vicino, ma per vedere il vicino, nel profondo, occorre conoscerlo e percorrere un tratto di strada insieme. E uno dei primi passi per conoscere vite vive, che non ruotano intorno alla propria disabilità, dovrebbe portare alla possibilità per tutti di scegliere liberamente come trascorrere il proprio tempo libero, dove andare in vacanza, senza doversi prima arrampicare faticosamente oltre il muro del pregiudizio.
A proposito! Mia figlia e la sua amica sono andate a Spotorno comunque, dormendo in tenda e senza che nessuno nel campeggio si sia sentito infastidito dalla sua presenza: forse perché è caruccia e abbronzata fa la sua discreta figura?
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