TESTIMONIANZA

Valeria, una storia di risurrezione

La storia di una detenuta al carcere delle Vallette di Torino: "una rinascita vera dietro le sbarre, come un nuovo parto"

Parole chiave: Pasqua (28), risurrezione (5), testimonianza (3), carcere (21)
Valeria, una storia di risurrezione

Ero una mamma in carriera … una moglie felice.  Una donna intelligente e bella e avevo il mondo ai miei piedi.  Poi una separazione conflittuale, un dolore sordo e acuto  che mi distruggeva dentro e allo stesso tempo mi  toglieva  la razionalità e l’obiettività delle decisioni, ed ho finito per commettere uno sbaglio, lo sbaglio più grande della mia vita; proprio io  che per mestiere ero  testimone di giustizia, una  paladina dei deboli e degli indifesi, ho infranto quei principi  che per anni mi ero prodigata a difendere  e li ho infranti  a tal punto da ritrovarmi colpevole rinchiusa dentro un penitenziario per più di due anni.

Mi è stato detto che ho pagato più degli altri, c’è chi dice in maniera spropositata rispetto al reato commesso proprio in virtù della mia professionalità.  Ho perso il lavoro, l’affidamento delle mie tre bambine, una tranquillità economica e mi sono ritrovata a dover ricominciare la vita dall’ inizio a 50 anni.

Penso che ogni condanna abbia in sé un qualcosa di qualitativamente spropositato, non sia mai direttamente proporzionale al reato commesso e questo nel bene e nel male; tuttavia quando mi chiedono di descrivere ciò che mi è successo  penso che entrare  nel tunnel buio di un carcere e poi nel riuscirci sia  un po’ come  rivivere l’esperienza del parto: una morte e poi  una rinascita. Si convive con se stessi nella solitudine di una cella (il ventre materno), si percepiscono rumori lontani (il mondo che abbiamo lasciato fuori) ma anche i frastuoni vicini, come  le urla e i dolori  dei tuoi compagni di avventura e i comandi delle divise blu che diventano rumori assordanti che il bambino non conosce e che lo spaventano a morte. 

Per un po’ quella casa grigia e scrostata ti accoglie con l’intento sarcastico di metterti a tuo agio, in quel ventre non c’è mai fretta, non c’è mai la paura di non avere il tempo di fare le cose, ti senti quasi protetto, la gravidanza procede in uno spazio senza luogo e senza tempo e  come nel ventre materno appena puoi cominci  a muoverti e a scalciare per uscire, senza essere consapevole che la strada rimarrà sbarrata fino a quando il tempo e la libertà ricomincerà a prendere valore  perché tu avrai capito il valore di quel tempo e di quella libertà  e perché finalmente   saranno scaduti i termini.

Nel ventre del blocco B si cresce perché il bambino da solo pensa, continuamente pensa, può fare solo quello,  e rivive tutta la sua vita  passata  e la srotola come il cordone ombelicale al quale è attaccato;  nel bene e nel male legge, scrive si  informa perché qualcuno nel frattempo si occupa dei tuoi bisogni primari ma soprattutto prega e si  riavvicina a Dio che c’è sempre dove c’è vita anche una vita scomoda, a quel Dio che pensava  nemico lontano e che  invece sente che è li con lui e non lo vede solo perché lo sta tenendo in braccio. In qualche maniera capisci che sei stato fortunato che  qualcuno ti  dà  la possibilità  di cancellare il passato e costruire un nuovo presente; attorno a te ci sono persone nuove che mai avresti pensato di conoscere, i testimoni del male con i quali fai la doccia insieme, ma anche e soprattutto i  testimoni del bene,  tutte quelle persone che si prodigano a rendere quella gravidanza il meno penosa possibile: la tua famiglia, i tuoi amici, le insegnanti, le infermiere, le suore, i preti, i volontari, gli educatori,  gli psicologi. Per il bambino nel ventre queste sono tutte carezze che lo aiutano a non avere paura di quel mondo che lo accoglierà di nuovo,  di quel mondo che le darà una seconda possibilità perché se te la meriti c’è sempre una seconda possibilità.

Già oggi in virtù di quella possibilità sono una persona diversa, il parto è stato un po’ complicato, le forze scarseggiano, ho dovuto trovare risorse nuove e cercare quelle che non conoscevo dentro di me; e quando sono nata è vero  non ho pianto come fanno tutti i bambini perché lacrime non ne avevo più,  ma invece  ho sorriso alle persone che mi hanno voluto  e che mi vogliono   bene e che erano lì ad aspettarmi. Tutte le persone che hanno creduto in me, nonostante tutto, e hanno continuato a camminare frettolosamente nelle corsie di quel reparto, aspettando il lieto evento del colloquio. Non c’è notte che non  veda un’alba, non c’è morte che non veda una rinascita, basta credere nella vita; è vero, in qualche modo  si torna polvere ma con la polvere si possono assemblare nuovi mattoni e nuove case, e non bisogna mai perdere la speranza di capire che dentro ognuno di noi c’è il seme del bene, c’è sempre stato, avevamo solo smesso di coltivarlo per un attimo. Ma un attimo non è la vita.

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