Quinto comandamento, non uccidere
Episodi di cronaca nera, aberranti e allucinanti, pena di morte, disprezzo della vita. Sale alto il monito cristiano
«Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l'abolizione della pena di morte». Le parole di Papa Francesco, pronunciate subito dopo l'Angelus di domenica 21 febbraio, risuonano forte in questo Anno Santo della Misericordia e scandiscono bene tre fini virtuosi che il Catechismo della Chiesa Cattolica intende perseguire: il rispetto della vita umana, la dignità della persona, la difesa della pace. Queste parole fanno sentire ancora il loro peso e sempre di più lo faranno nel mese della Pasqua, simbolo di vittoria sul mondo e sulla morte. Da un punto di vista bioetico, la pena di morte non rappresenta una prassi ragionevole né si trova in accordo con la legge naturale, e se è vero che ogni legge prevede dei diritti, quello alla vita è un diritto di provenienza divina, è un dono di Dio.
Nonostante ciò, 37 Paesi nel mondo applicano ancora la pena di morte, 6 dei quali sono Stati democratici liberali. Fare appello alle coscienze significa sperare che gli uomini diventino davvero uomini di buona volontà, significa credere che nella mente di ogni essere umano possa esserci una comunicazione con qualcosa di estraneo a lui, qualcosa che gli faccia superare i confini della legge del taglione, basata sulla vendetta personale e sull'istinto. Come può accettare dentro sé un'onta del genere questa nostra civitas humana? La vergogna della morte per mano di un fratello non è ancora troppo pesante. Il diritto alla vita è un diritto di natura, riflessione che compare per la prima volta in epoca medievale nell'ambito del diritto canonico, il quale è il diritto della Chiesa e nel quale non c'è traccia di alcun riferimento alla pena di morte, poiché è una condanna che non ha alcun significato medicinale ed è un atto illecito che macchia la nostra relazione con Dio. Il Codice della Chiesa non si basa su norme, ma principalmente sulle prassi della comunità, l'assenza della pena capitale dalle istituzioni giuridiche perciò vale a dire la sua totale inadeguatezza all'interno di una società cristiana. Allora, se la coscienza dei governanti riuscisse a superare la presunta salvaguardia del bene comune, suggerita dalla pena di morte, forse la nostra civiltà assumerebbe i lineamenti di una civitas coelestis, più conforme di certo all'immagine che il Creatore ci ha donato, in somiglianza con Lui.
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