Migrare per vivere
Una condizione umana che ci interroga e chiama ad un senso di responsabilità e di progetto per il futuro
Inizia un tempo di ricarica morale, spirituale, fisica, un mese, che tra ferie e vacanze, propone momenti di riflessione, lettura, pensiero e preghiera, prima della ripresa. Il nostro giornale si ferma, rimarrà attiva Lavocedeltempo.it, sia pure con cadenza ridotta, mentre torneremo in edicola, agli abbonati e nelle parrocchie il 6 settembre. Cosa troveremo tra poco meno di un mese è la domanda che ci poniamo nel nostro approfondimento settimanale.
Lo facciamo analizzando alcuni degli ambiti vitali: chiesa, scuola, lavoro, famiglia, politica e cultura. La domanda è quale futuro per il nostro Paese, le nostre comunità. Serpeggia un sentimento di rassegnazione che permea la coscienza collettiva; siamo in presenza di una diffusa esigenza e spesso una necessità di fuga verso nuovi luoghi fisici e spirituali nei quali trovare possibili prospettive di realizzazione personale. Nonostante qualche segnale positivo, troppi sono ancora gli indicatori negativi: corruzione, un modesto senso civico, egoismi e particolarismi diffusi e una cronica incapacità di creare le basi di una duratura alleanza intergenerazionale. Si pensa poco, studi senza grandi narrazioni ideali e sono davvero insufficienti i progetti di lungo respiro in campo politico, economico, sociale e culturale.
Se restiamo nel campo dell’occupazione dagli ultimi dati dell’attività ispettiva del Ministero del lavoro emerge che, nei primi sei mesi del 2015, emerge la contestazione di illeciti a più di 40 mila aziende, con un riscontro di irregolarità nel 59% delle imprese ispezionate e contestato l'impiego di oltre 18 mila lavoratori in 'nero' a livello nazionale. Si resta, dunque, se ci sono prospettive, legalità, senso civico e di responsabilità, futuro per le nuove generazioni; in caso contrario la nostra terra diventerebbe solo una comunità di passaggio in cui si appannano identità e progetti per l’avvenire.
E’ fondamentale ricordare come l’Italia non sia solo meta di immigrazione ma anche terra di consistenti flussi migratori. Da quando è scoppiata la crisi economica, è diventata anche un paese che centinaia di migliaia di persone lasciano in cerca di condizioni di lavoro migliori. Una ricerca del Centro studi «ImpresaLavoro», elaborata su dati dell’Eurostat, e rilanciata di recente dal settimanale «l’Internazionale» rileva che dal 2008 al 2013 sono emigrati 554.727 italiani, di cui 125.735 nel 2013: una crescita del 55 per cento rispetto al 2008. Il 39 per cento di chi ha lasciato il suo paese ha un’età compresa tra i 15 e i 34 anni.
La tendenza è in rapido aumento: rispetto al 2008 i giovani che hanno scelto di trasferirsi all’estero sono aumentati del 4 per cento. Quasi tutti restano comunque all’interno dell’Unione europea, e questo è un dato importante che ribalta una certa concezione antieuropea alimentata da più forze politiche. L’uomo è fatto per migrare, trovare e cogliere occasioni di crescita ed emancipazione. Spesso emigrare vuole dire fuggire dalla morte, dalla guerra, dalla violenza, dall’odio e dall’intolleranza, ma è altrettanto vero che si parte per riuscire a raggiungere legittimamente realizzazioni personali, familiari e generazionali.
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