Speranza Scappucci: prima donna italiana a dirigere a Vienna
Il 3 novembre sarà la prima direttrice d'orchestra italiana chiamata all'Opera di Vienna sul prestigioso podio per dirigere la Cenerentola di Rossini.
La Voce e il Tempo - La Voce del Popolo la intervistò a marzo in occasione dell'opera rossiniana al Regio di Torino. Ora vi riproponiamo il colloquio
Una bacchetta rosa per la "Cenerentola"
Il colloquio con la musicista romano-piemontese (una parte di famiglia è originaria di Pozzolo Formigaro nell'alessandrino), che dal 15 al 24 marzo al Teatro Regio di Torino, ha diretto l'opera di Rossini è ricca e appassionata.
Solidi studi, sacrifici, anni di duro lavoro, di gratificazioni ma anche - per sua stessa ammissione - di gavetta, molta gavetta sia pure tra partiture, cantanti, assistenza a vari direttori e in teatri di grido. Un debutto internazionale poco meno di quattro anni or sono a Yale, con un prestigioso titolo mozartiano, Così fan tutte. A breve sarà a Pesaro, al mitico R.O.F., il Rossini Opera Festival con una nuova produzione per la regia di Livermore. Ha diretto la Royal Liverpool Philharmonic ed ha mietuto successi negli States, per l’esattezza a Washington. Ha lavorato accanto a direttori del calibro di Muti, Ozawa, Mehta, Levine. La sua carriera è tutta in ascesa ed ha grandi progetti a breve e lungo termine.
Si chiama Speranza Scappucci, una massa di capelli fulvi, sguardo penetrante, colta, piacevole conversatrice, modi gentili, molta determinatezza. Accetta di buon grado la proposta di un’intervista per «La Voce del Popolo». La incontriamo nei camerini del Regio durante una pausa delle prove e ci intratteniamo a lungo, dopo averla osservata ‘all’opera’ nel pomeriggio, dalla platea semibuia. Ed è con un titolo rossiniano - l’inossidabile Cenerentola - che Speranza (un nome bene augurale, nomen omen come dicevano i latini) debutterà sul podio della vasta sala molliniana martedì 15 marzo.
Il segreto per entrare in sintonia con i professori d’orchestra? Carisma? disciplina? Charme? Un mix di tutto ciò?
«Innanzitutto occorre grande preparazione e la piena convinzione del proprie idee musicali. Certo sì, ci vuole un pizzico di carisma, forse anche più di un pizzico, occorre saper comunicare agli artisti, professori d’orchestra e cantanti, con poche ma incisive parole, le proprie idee interpretative. Occorre riuscire a comunicare ciò chi si vuole ottenere: tipo di suono, fraseggio e via dicendo; tutto questo avviene ovviamente in sede di concertazione, vale a dire durante le prove, in recita. Il giorno della prima ovvero del concerto se si tratta di sinfonica, entra in gioco anche il gesto, una certa ‘spettacolarità, ma il più ormai è fatto. Non solo con l’orchestra, bensì anche con i cantanti occorre entrare in sintonia e lavorare insieme in sinergia. Qui a Torino ho trovato un cast i rossiniani doc... dunque super esperti dell’autore e profondi conoscitori della partitura, eppure abbiamo scoperto (o riscoperto) insieme alcune cose; è bello e gratificante riscoprire le partiture, approfondirne il significato studiandole a fondo e dare un senso ad esempio a pianissimi e dettagli che diversamente rischi di dimenticare o tralasciare, un lavoro che si fa anche col coro... un coro magnifico quello di Torino, guidato da un professionista serissimo e scrupoloso [Claudio Fenoglio n.d.r.]».
Dirigere un melodramma e affrontare una partitura sinfonica. Analogie e differenze...
«L’opera richiede una conoscenza approfondita delle voci, presuppone una conoscenza di come preparare il coro, l’opera richiede l’attenzione ad aspetti diversi, occorre comprendere che cosa funziona in teatro e cosa no; bisogna interagire col regista, impossessarsi del testo; in termini di fatica è... più impegnativa, ci vuole più concentrazione mentale e fisica. Per una come me, poi, che in recita suona anche il fortepiano è ancora più impegnativo... [ripristinando la corretta prassi filologica, Speranza Scappucci si occuperà infatti anche del disimpegno dei recitativi, durante le recite, come si faceva un tempo, anziché affidarsi ad un maestro collaboratore, al cembalo ovvero al fortepiano, chapeau, n.d.r.]. Nel sinfonico, - prosegue - le prove sono più brevi, tutto è più conciso, ma non meno impegnativo. Nel sinfonico se hai buone capacità di concertare occorre trovare una drammaturgia senza le parole». Le faccio notare che questa affermazione è molto interessante. «Per esempio prendiamo Mozart: se dirigi una sua opera e poi affronti una Sinfonia come la Jupiter... beh ecco, c’è un’evidente continuità, non sono due mondo separati...».
Più difficile lavorare con i cantanti o relazionarsi coi registi?
«Con i cantanti c’è un lavoro che deve mirare alla ‘verità’, pur non assoluta, beninteso, occorre puntare alla totale aderenza tra testo e musica». Fa molti esempi che per ragioni pratiche non si possono riportare in un’intervista, canta, suona brandelli di armonie al pianoforte, conversiamo a lungo anche su questo. «Capita - conclude - che ci si imbatta in cantanti che conoscono il ruolo assai bene ed hanno in merito, conseguentemente idee forti. Occorre lavorarci, proporre (e non certo imporre) la propria idea interpretativa. Altri, invece, sono più per così dire malleabili e propensi a cercare insieme idee nuove». Fa molti esempi tecnici, ad esempio sul versante dei delicati e difficili recitativi. «Ma in generale se hai un’idea forte di solito il cantante ti viene dietro». «Coi registi poi si deve fare un lavoro di squadra, ognuno con le proprie idee, nel rispetto reciproco, ma la musica e l’aspetto visivo dovrebbero auspicabilmente combaciare... non sempre avviene». Domandiamo anticipazioni di questa regia che vedremo al Regio. Sorride ed inizia ad accennare a qualcosa, ma poi fa marcia indietro: niente anticipazioni, top secret. «Vedrete la sera della prima e giudicherete...».
L’orchestra del Regio è una macchina umana meravigliosa, duttile e perfettamente allenata reduce da una fortunata tournée ad Hong Kong. Come si è trovata durante le prove di questa Cenerentola?
«Sì, un’orchestra davvero straordinaria... e nonostante la Cenerentola sia un’opera di repertorio, dunque ben nota all’orchestra che più volte l’ha eseguita, ho trovato l’intera compagine disposta a lavorare su vari dettagli niente affatto secondari, sulle sfumature dinamiche, agogiche, di fraseggi da me richieste».
Cenerentola, figura così anacronistica, continua ad affascinare?
«Sì, senz’altro! Il personaggio è un personaggio universale, vale per tutte le epoche; la protagonista rappresenta chiunque di noi - maschio o femmina - vive sperando che il suo sogno si avveri e sogna che con la tenacia e la determinatezza si possa realizzare. Come non identificarsi in Angelina, alias Cenerentola? Un archetipo fuori dal tempo, più ancora al di sopra del tempo».
Le qualità che ammira in un cantante e quelle che più apprezza in un collega della bacchetta...
«Amo molto la voce, lavorare come maestro collaboratore è stata un’esperienza molto determinante per la mia formazione... desidero che ogni cantante possa esprimere con la voce i sentimenti che tutti proviamo, e dunque ammiro chi riesce ad immedesimarsi in tal senso nel singolo personaggio. Ho un rammarico: mi dispiace non aver avuto agio di approfondire il canto in maniera personale, le tecniche e via dicendo. Insomma mi dispiace non aver potuto studiare anche canto (oltre a pianoforte, composizione, direzione eccetera)». «Nel direttore d’orchestra ammiro e apprezzo la capacità di ‘trascinare’... un certo qual magnetismo e non solo il dato tecnico fine a se stesso che di solito non porta a nulla... occorre il carisma, lo si diceva poc’anzi...».
I suoi idoli in campo teatrale, insomma i suoi autori prediletti? Qualche autore e qualche titolo...
«Mozart in assoluto, e poi Rossini, quindi i campioni del Romanticismo nostrano, e allora Bellini, Verdi... adoro Puccini (e come si farebbe a non amarlo?) e debutterò presto in Bohème, a Los Angeles». Domandiamo se possiamo scriverlo e Speranza conferma che è ufficiale. «Lo scriva senz’altro», ribadisce con comprensibile orgoglio.
E in ambito sinfonico?
«Amo Schubert, ovviamente Mozart e ancora Mozart e poi Beethoven... c’è tempo per consolidare il repertorio sinfonico, finora - sospira - ho puntato soprattutto sul versante del melodramma...».
Il musicista che vorrebbe riportare in vita. Cosa gli domanderebbe?
«Mozart, certamente!» Le brillano gli occhi. «Gli domanderei come ha fatto a scrivere con quei tempi così serrati tutto quanto ha composto e senza quasi correggere una nota». Ci mostra il fac simile della partitura del Don Giovanni e con avidità iniziamo a scorrerla insieme, ne suoniamo qualche brano, accenna ad un passo cantando. «Non c’è quasi una sola correzione, non un ripensamento, tutto di getto, capisce? È a dir poco prodigioso...».
La partitura teatrale che si porterebbe sulla proverbiale isola deserta’
«Le nozze di Figaro»! Non ci pensa un solo istante e, a onor del vero, non avevamo dubbi che si sarebbe trattato di un titolo mozartiano.
Il sogno nel cassetto?
«Assumere la direzione musicale di un teatro dove avere la possibilità di curare e far crescere un’orchestra e un coro...». Fuori intervista ci confessa che le piacerebbe molto realizzare il remake di spettacoli storici con regie di grandi come Visconti, Ronconi...
Quando non studia e non è impegnata a dirigere di cosa ama occuparsi?
«Amo lo sport...il calcio in particolare, sono juventina... sorride... pur essendo romana di nascita, seguo la squadra della vostra città con maniacale scrupolo. Domenica scorsa, durante un’intervista con un suo collega non potevo fare a meno di consultare lo smartphone ad ogni istante, quando ho visto che la Juve aveva vinto 2 a 0 contro l’Atalanta ho esultato, spiazzando un poco il mio intervistatore...».
Il primo ricordo musicale della sua infanzia?
«Le lezioni di pianoforte di mia sorella Gioia alla quali assistevo essendovi stata ammessa, nonostante la tenerissima età - avevo solamente 4 anni - e ricordo come se fosse oggi come l’insegnate di musica avesse dato anche a me un quadernetto pentagrammato sul quale scrivere, ed io imitavo... ». Anche a dirigere un’orchestra? Ci viene da domandare? Sorride sorniona, anzi ride di gusto...
Il consiglio che darebbe a un giovane direttore alle prime armi?
«Studiare molto la partitura, studiare e poi ancora studiare, approfondire l’armonia la strumentazione, i fraseggi, le parti vocali... il gesto... beh ecco, viene di conseguenza...».
Donne magistrato e donne scienziato. Per una donna oggi è possibile pilotare un jet o compiere escursioni interplanetarie nello spazio. I direttori d’orchestra - ovviamente - si dividono tra eccellenti, buoni, mediocri e via elencando e non certo tra uomini e donne. La prima domanda pur tuttavia, per quanto scontata, è quasi d’obbligo. Perché nel mondo le presenze femminili sul podio sono ancora così rare?
«Intanto non è poi così vero in assoluto quello che lei dice, sono, anzi siamo sempre meno rare. Per fortuna, direi. Certo il passato ci condiziona, i pregiudizi assurdi di decenni se non secoli oggi stanno cadendo... così come sono caduti da tempo per le donne in orchestra (che infatti oggi suonano anche gli strumenti più inconsueti, dal basso tuba al contrabbasso, alle percussioni), insomma il giorno in cui una donna sul podio non farà più notizia l’arte musicale e più ancora la nostra società avranno fatto un bel passo avanti...».
Cosa l’affascina di Torino?
«Sono a dir poco innamorata di Torino! Pur essendo per metà piemontese per parte di madre, sono qui per la prima volta. L’ho visitata durante questo periodo intenso di prove al Regio, ho visto l’Egizio e molti luoghi storici del centro, avrei voluto aere più tempo... è elegante raffinata, ripiena di cultura, non solo musicale, si respira aria di capitale, come dire... sabauda...».
Fuori intervista ancora molti gli episodi e gli aneddoti che ci racconta. Come quando Muti la convocò in camerino - all’epoca sosteneva la parte del cembalo nei recitativi - con apprensione si avvicinò al Maestro, temendo che la rimbrottasse e invece ne ebbe elogi ed incoraggiamenti.
Un paio d’ore sono volate, si è parlato di cultura musicale in Italia e negli States o più in generale nel mondo, in Europa e nelle principali capitali: Speranza ora vive un po’ a New York e un po’ a Vienna, ma ha lavorati molto a Salisburgo e in varie altre città, dove c’è musica, musica bella...
Usciamo assieme dal Regio e la bianca facciata dell’Archivio di Stato, all’imbrunire si riflette coreograficamente sulle pareti vetrate del Regio. Sotto i portici signore frettolose e ragazzini. Appuntamento a martedì, quando il sipario s’alzerà sulla favola rossiniana e una bacchetta al femminile saprà farci sognare conducendoci tra le pieghe della partitura e governando saldamente orchestra e palcoscenico. In bocca al lupo, Speranza! Le promettiamo che andremo a salutarla in camerino dopo la première. Sorride affabile e scompare in un taxi.
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