Il vuoto di classe dirigente nell'Italia contemporanea
Un libro del giornalista e politico popolare e democratico Giorgio Merlo sulla complessa transizione del sistema politico italiano negli anni di Matteo Renzi

C’era una volta una classe dirigente competente, caratterizzata dal radicamento territoriale, dall’espressività sociale, dalle grandi idee e dai grandi ideali, dalla rappresentatività politica e culturale. C’erano una volta persone come Luigi Einaudi, Aldo Moro, Enrico Berlinguer. Poi qualcosa è andato storto, il meccanismo si è inceppato, la prima repubblica è finita e sono arrivati Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Silvio Berlusconi. I partiti tradizionali sono scomparsi per lasciare posto a Tangentopoli. Sembrava difficile cadere ancora più basso, eppure personaggi come Felice Capezzone, Vladimir Luxuria, Daniela Santanché, Antonio Razzi (e a breve Francesca Pascale) sono riusciti a comparire sulla scena politica italiana. Che ne è stato della politica come elemento determinante per la vita quotidiana e come forma più alta della carità? Che ne è stato di quei politici che credevano davvero che l’esercizio politico significasse mettersi a servizio della comunità per raggiungere il bene comune?
Su questo, e molto altro, si interroga nell’ultimo suo libro Renzi e la classe dirigente, Giorgio Merlo, giornalista Rai, già parlamentare dell’Ulivo e del Partito Democratico. Candidato nelle elezioni regionali del maggio 2014 nelle liste dei Moderati, proviene da un’esperienza politica iniziata nella DC e passata dal Partito Popolare Italiano e dalla Margherita.
Chi seleziona e soprattutto chi forma la futura classe dirigente?,questa la domanda centrale dell’autore, sulla quale si gioca buona parte del futuro e della qualità della nostra democrazia. Parlare di classe dirigente – ricorda nell’introduzione il vicesegretario del PD, Lorenzo Guerrini – significa ragionare sul potere e sul suo esercizio nel contesto sociale, e interpella tutti coloro che, grazie alla posizione che ricoprono, dispongono dei mezzi per determinare un pezzo importante del modo in cui si definisce e si sviluppa la convivenza sociale.
Oggi dominante è l’antipolitica; ad essere sovrana è la sfiducia rispetto ai partiti, che troppo spesso si rivelano con un uomo solo al comando attorniato da cortigiani e clientele, dediti esclusivamente all’applauso e all’esaltazione acritica. La politica è in crisi, impossibile non rendersene conto. Il cittadino è sempre più lontano dalle istituzioni; in molti hanno dato fiducia a un movimento dichiaratamente antisistema che si pone l’obiettivo di scardinare definitivamente l’architettura istituzionale del nostro assetto democratico e i pochi che ancora ci credono non riescono ad emergere.
Molto, per Merlo, è il lavoro da fare, per rispondere alla crisi della rappresentanza, alla debolezza e alla mancanza di credibilità delle istituzioni, per evitare le derive autoritarie e populiste, per ricostruire una realtà politica e istituzionale ormai completamente deteriorata. Bisogna ricostruire la classe dirigente; una classe dirigente del calibro di don Luigi Sturzo e Carlo Donat-Cattin, citati più volte nel libro, in grado di stilare un progetto di rinnovamento politico e di cambiamento sociale, dotata di energie politiche e risorse etiche indispensabili, che abbia dei tratti della prima repubblica, ma che sia aperta alle sfide future.
Anni di celodurismo leghista, di sessismo berlusconiamo, di incoerenza capezzoniana, di ridicolaggine luxuriana; anni di degrado culturale, etico, civile, linguistico; anni di spese pazze con soldi pubblici ci hanno fatto capire che la questione non è la quantità, ma la qualità del personale politico.
Un primo cambiamento nel quadro istituzionale italiano, l’autore lo individua nell’attuale premier. Con Renzi, scrive¸ una nuova classe dirigente si è imposta a livello nazionale, anche se meno a livello locale, e un nuovo modo di essere ha caratterizzato le stesse modalità del far politica. Lo spirito di rinnovamento e di cambiamento è valso non solo nel Partito Democratico, ma anche negli altri partiti.Ora bisogna continuare a lavorare su questa linea; il cambiamento deve avvenire nei politici, all’interno dei partiti e nel rapporto tra le Istituzioni e la cittadinanza.
Una cosa però è certa. Sino a che la classe dirigente faticherà a scegliere una diminuzione del 10% su uno stipendio di più di 7 mila euro al mese la sua credibilità sarà pari a zero.
Giorgio Merlo, Renzi e la classe dirigente, Rubbettino editre, Soveria Mannelli 2014, pp.136, 12 euro.
Irene Famà
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