Frassati contro la guerra

Una opposizione di Alfredo e Pier Giorgio contro il conflitto mondiale che coinvolse e sconvolse l'Italia

Parole chiave: frassati (15), guerra (63)
Frassati contro la guerra

«Pier Giorgio Frassati, quattordicenne, già fiero nemico di ogni violenza e sopruso, non poteva certo applaudire a una guerra che ogni giorno causava deci­ne e decine di morti e feriti. Nettamente contrario all'intervento, più di una volta, al liceo “Massimo D'Azeglio” di Torino, sosten­ne con fermezza e coraggio l'accusa rivoltagli dai compagni di scuola interventisti di essere “un traditore”, come suo padre e “un soldino”, cioè venduto per un soldo agli Imperi Centrali».

Carla Casalegno, nella splendida biografia «Pier Giorgio Frassati» pubblicata da Piemme nel 1993, ricorda l’atteggiamento dello «studente delle otto beatitudini» e le scelte coraggiose del padre, Alfredo Frassati, comproprietario e direttore de «La Stampa», unico giornale italiano neutrale nel conflitto 1914-1918.

Il 24 maggio 1915 «re sciaboletta» Vittorio Emanuele III proclama: «L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria». Il comandante in capo è il generale novarese Luigi Cadorna ma l’Esercito è carente di tutto e impreparato. Infatti la Marina austriaca can­noneggia subito Ancona, Senigallia, Rimini, Porto Corsini, Termoli, Barletta e le Tremiti. La gestione di Cadorna è fallimentare. Alle spalle un Paese frantumato tra interventisti e pacifisti. Incertezze che si riflettono sul fronte: timide avanzate e disastrose ritirate.

Per il giovane la guerra è un incubo di tutti i giorni e di tutte le ore. Va a confortare i bambini orfani, profughi dal Veneto, alloggiati nella palestra del suo liceo, e distribuisce loro i soldi che riesce a racimolare. Prega perché l’«inutile strage» - come la definisce Benedet­to XV – finisca in fretta.

Il senatore Alfre­do, su «La Stampa» denuncia errori, incongruenze e deficienze dell’apparato militare ma la censura mutila i suoi articoli. Frassati senior non è un pacifista nato, ma assume questa posizione dopo una lucida e prag­matica analisi della situazione. Il neutralismo costa al quoti­diano torinese un calo di vendite di 50.000 copie.

Dice ai suoi redattori: «Da ogni parte chiamano me e il mio giornale “traditori”. La gente ha piena­mente ragione. Le hanno detto che la guerra sarà di corta durata e facile. In due, o al massimo tre mesi, avremo Trento, Trieste, arriveremo fino a Vienna. E con la dissoluzione dell'Austria fare­mo precipitare la disfatta della Germania. Ma così non è perché la posizione militare e diplomatica dell'Italia è tutt'altro di quella che credono i fautori dell’intervento: è invece posizione irta di difficoltà. Si dice: la guerra sarà rapida e decisiva. Ma il tempo delle guerre rapide è tramontato sulla Marna. Il piano della Ger­mania era di mettere fuori combattimento la Francia per rovesciarsi con tutte le forze contro la Russia. La vittoria francese della Marna ha sventato quel piano, e alla guerra manovrata è subentrata la guerra di trincea, lunga, logorante, che impegnerà tutte le forze. Se questi princi­pi li applichiamo al Carso, vedete quali conseguenze se ne devono trarre. Il nostro Stato mag­giore non conosce il Carso, ma io che l'ho attraversa­to “en touriste”, ho bene presente dinanzi agli occhi co­sa sarà la guerra. Centomila austriaci basteran­no a fermare l'Esercito italiano. L'Austria avrà buon gioco a restare fin che le faccia comodo sulla difensiva. I nostri soldati faranno miracoli di valori, di sacrifici; ma tutto il loro eroismo si consumerà con­tro una tattica logorante. Se i nostri soldati riuscissero a spingersi tanto avan­ti da costituire una seria minaccia per Trieste, si troverebbero di fronte anche l'eser­cito tedesco. Trieste rappresenta per la Germania un interesse vitale non meno che per l'Austria. E, pur di salvare l'unico sbocco sull'Adriatico, Austria e Germania faranno sforzi estremi. Non possiamo cacciarci in una guerra solo per dar modo ai nostri soldati di provare il loro valore».

Lucidissima analisi quella di Frassati. «La Stampa» è l’ultima a capitolare e si allinea con l’editoriale «Tutti uniti». Pier Giorgio è vicino ai soldati, visita i feriti dell'Ospedale Militare, porta fiori sulle tombe dei caduti. Racconta la sorella Luciana: «Una volta erano morti duemila alpini, una strage pau­rosa. Pier Giorgio corse subito in cucina dalla sua grande amica Carolina Masoero, la cuoca, che commentò con le lagrime agli occhi: "Ah, se avessi la potenza e la sapienza di scri­vere qualche libro, di gridargliela a tutto il mondo la crudeltà e l'infamia della guerra! Se potessi far capire che la guerra è il più spaventoso errore del mondo!". Lui commentò: "Ha ragione, ma non servirebbe a niente!"».

In questa situazione il giovane decide di offrire a Dio la vita in cambio della fine del conflitto e maturare una chiara coscienza democratica e una concezione della politica che nel 1919-20 lo porterà a schierarsi con il Partito Popolare. Il giornalista e scrittore canavesano Carlo Trabucco osserva:  «Nessuno si è amai accorto della sua "borghesia"; egli stimolava tutti a essere vicini ai poveri. E quando la questione sociale si fece calda, divenne "operaista" a spada tratta».

Per sod­disfare le richieste belliche, l’industria sottopone i lavo­ratori a durissimi sforzi, soprattutto la folta manodopera femminile che sostituiva gli operai al fronte: orari massacranti di 14-16 ore, turni di riposo saltati, regolamenti di fabbrica  applicati con estremo rigore, pesanti multe per ogni minimo difetto di lavorazione. Per molti contadini, braccianti, massaie e casalinghe è difficile trasformarsi in operai e quindi gli errori a volte inevitabili. Scrive 1'«Avanti» del 22 marzo 1916: «Entrando alla Fiat gli operai devono dimenticare nel modo più assoluto di essere uomini per rassegnarsi a essere considerati come degli utensili».

Rincara tutto: derrate alimentari, affitti, vestiario, luce, gas, carbone. Il malumore popolare esplode in sommosse che sfociano nel «biennio rosso» 1919-1920. Il 1917 è l’anno della «Rivoluzione d'ottobre» in Russia e, in Italia, della disastrosa ritirata di Caporetto. La rivolta si allarga a diversi quartieri e città con assalti e sac­cheggi ai negozi e operai in sciopero. A Torino negli scontri con la polizia rimangono sul terreno 50 morti e centi­naia di feriti.

Nell'ultimo anno di guerra la micidiale «spagnola» provoca migliaia di vittime. Il giovane, con coraggio, visita i malati poveri nelle squallide stamberghe, fa ricoverare i più gravi, procura­ le medicine. La poderosa offensiva di Vittorio Veneto, la conquista di Trento e Trieste, l’armistizio e l'annuncio della vit­toria il 4 novembre 1815 scatenano l’entusiasmo. Si grida: «Viva l'Italia!» e «Viva la pace!». Pier Giorgio si trova a Pollo­ne (Biella) e sale di corsa in cima ai campanili per suonare a distesa. Il 6 gen­naio 1919 Thomas Wil­son, presidente degli Stati Uniti, visita Torino accolto con entusiasmo. Vi partecipa Pier Giorgio: ottenuta la licenza liceale, si iscrive all'università.

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