Frassati contro la guerra
Una opposizione di Alfredo e Pier Giorgio contro il conflitto mondiale che coinvolse e sconvolse l'Italia
«Pier Giorgio Frassati, quattordicenne, già fiero nemico di ogni violenza e sopruso, non poteva certo applaudire a una guerra che ogni giorno causava decine e decine di morti e feriti. Nettamente contrario all'intervento, più di una volta, al liceo “Massimo D'Azeglio” di Torino, sostenne con fermezza e coraggio l'accusa rivoltagli dai compagni di scuola interventisti di essere “un traditore”, come suo padre e “un soldino”, cioè venduto per un soldo agli Imperi Centrali».
Carla Casalegno, nella splendida biografia «Pier Giorgio Frassati» pubblicata da Piemme nel 1993, ricorda l’atteggiamento dello «studente delle otto beatitudini» e le scelte coraggiose del padre, Alfredo Frassati, comproprietario e direttore de «La Stampa», unico giornale italiano neutrale nel conflitto 1914-1918.
Il 24 maggio 1915 «re sciaboletta» Vittorio Emanuele III proclama: «L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria». Il comandante in capo è il generale novarese Luigi Cadorna ma l’Esercito è carente di tutto e impreparato. Infatti la Marina austriaca cannoneggia subito Ancona, Senigallia, Rimini, Porto Corsini, Termoli, Barletta e le Tremiti. La gestione di Cadorna è fallimentare. Alle spalle un Paese frantumato tra interventisti e pacifisti. Incertezze che si riflettono sul fronte: timide avanzate e disastrose ritirate.
Per il giovane la guerra è un incubo di tutti i giorni e di tutte le ore. Va a confortare i bambini orfani, profughi dal Veneto, alloggiati nella palestra del suo liceo, e distribuisce loro i soldi che riesce a racimolare. Prega perché l’«inutile strage» - come la definisce Benedetto XV – finisca in fretta.
Il senatore Alfredo, su «La Stampa» denuncia errori, incongruenze e deficienze dell’apparato militare ma la censura mutila i suoi articoli. Frassati senior non è un pacifista nato, ma assume questa posizione dopo una lucida e pragmatica analisi della situazione. Il neutralismo costa al quotidiano torinese un calo di vendite di 50.000 copie.
Dice ai suoi redattori: «Da ogni parte chiamano me e il mio giornale “traditori”. La gente ha pienamente ragione. Le hanno detto che la guerra sarà di corta durata e facile. In due, o al massimo tre mesi, avremo Trento, Trieste, arriveremo fino a Vienna. E con la dissoluzione dell'Austria faremo precipitare la disfatta della Germania. Ma così non è perché la posizione militare e diplomatica dell'Italia è tutt'altro di quella che credono i fautori dell’intervento: è invece posizione irta di difficoltà. Si dice: la guerra sarà rapida e decisiva. Ma il tempo delle guerre rapide è tramontato sulla Marna. Il piano della Germania era di mettere fuori combattimento la Francia per rovesciarsi con tutte le forze contro la Russia. La vittoria francese della Marna ha sventato quel piano, e alla guerra manovrata è subentrata la guerra di trincea, lunga, logorante, che impegnerà tutte le forze. Se questi principi li applichiamo al Carso, vedete quali conseguenze se ne devono trarre. Il nostro Stato maggiore non conosce il Carso, ma io che l'ho attraversato “en touriste”, ho bene presente dinanzi agli occhi cosa sarà la guerra. Centomila austriaci basteranno a fermare l'Esercito italiano. L'Austria avrà buon gioco a restare fin che le faccia comodo sulla difensiva. I nostri soldati faranno miracoli di valori, di sacrifici; ma tutto il loro eroismo si consumerà contro una tattica logorante. Se i nostri soldati riuscissero a spingersi tanto avanti da costituire una seria minaccia per Trieste, si troverebbero di fronte anche l'esercito tedesco. Trieste rappresenta per la Germania un interesse vitale non meno che per l'Austria. E, pur di salvare l'unico sbocco sull'Adriatico, Austria e Germania faranno sforzi estremi. Non possiamo cacciarci in una guerra solo per dar modo ai nostri soldati di provare il loro valore».
Lucidissima analisi quella di Frassati. «La Stampa» è l’ultima a capitolare e si allinea con l’editoriale «Tutti uniti». Pier Giorgio è vicino ai soldati, visita i feriti dell'Ospedale Militare, porta fiori sulle tombe dei caduti. Racconta la sorella Luciana: «Una volta erano morti duemila alpini, una strage paurosa. Pier Giorgio corse subito in cucina dalla sua grande amica Carolina Masoero, la cuoca, che commentò con le lagrime agli occhi: "Ah, se avessi la potenza e la sapienza di scrivere qualche libro, di gridargliela a tutto il mondo la crudeltà e l'infamia della guerra! Se potessi far capire che la guerra è il più spaventoso errore del mondo!". Lui commentò: "Ha ragione, ma non servirebbe a niente!"».
In questa situazione il giovane decide di offrire a Dio la vita in cambio della fine del conflitto e maturare una chiara coscienza democratica e una concezione della politica che nel 1919-20 lo porterà a schierarsi con il Partito Popolare. Il giornalista e scrittore canavesano Carlo Trabucco osserva: «Nessuno si è amai accorto della sua "borghesia"; egli stimolava tutti a essere vicini ai poveri. E quando la questione sociale si fece calda, divenne "operaista" a spada tratta».
Per soddisfare le richieste belliche, l’industria sottopone i lavoratori a durissimi sforzi, soprattutto la folta manodopera femminile che sostituiva gli operai al fronte: orari massacranti di 14-16 ore, turni di riposo saltati, regolamenti di fabbrica applicati con estremo rigore, pesanti multe per ogni minimo difetto di lavorazione. Per molti contadini, braccianti, massaie e casalinghe è difficile trasformarsi in operai e quindi gli errori a volte inevitabili. Scrive 1'«Avanti» del 22 marzo 1916: «Entrando alla Fiat gli operai devono dimenticare nel modo più assoluto di essere uomini per rassegnarsi a essere considerati come degli utensili».
Rincara tutto: derrate alimentari, affitti, vestiario, luce, gas, carbone. Il malumore popolare esplode in sommosse che sfociano nel «biennio rosso» 1919-1920. Il 1917 è l’anno della «Rivoluzione d'ottobre» in Russia e, in Italia, della disastrosa ritirata di Caporetto. La rivolta si allarga a diversi quartieri e città con assalti e saccheggi ai negozi e operai in sciopero. A Torino negli scontri con la polizia rimangono sul terreno 50 morti e centinaia di feriti.
Nell'ultimo anno di guerra la micidiale «spagnola» provoca migliaia di vittime. Il giovane, con coraggio, visita i malati poveri nelle squallide stamberghe, fa ricoverare i più gravi, procura le medicine. La poderosa offensiva di Vittorio Veneto, la conquista di Trento e Trieste, l’armistizio e l'annuncio della vittoria il 4 novembre 1815 scatenano l’entusiasmo. Si grida: «Viva l'Italia!» e «Viva la pace!». Pier Giorgio si trova a Pollone (Biella) e sale di corsa in cima ai campanili per suonare a distesa. Il 6 gennaio 1919 Thomas Wilson, presidente degli Stati Uniti, visita Torino accolto con entusiasmo. Vi partecipa Pier Giorgio: ottenuta la licenza liceale, si iscrive all'università.
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