Del Noce, la crisi della modernità
Profilo - l'attualità del pensiero del filosofo piemontese a quasi trent'anni dalla scomparsa: le chiavi per capire la nostra epoca
Esce in questi giorni per la prestigiosa casa editrice canadese McGill University Press l’edizione in lingua inglese di uno dei più significativi libri del filosofo Augusto Del Noce (1910-1989), L’epoca della secolarizzazione, pubblicato nel 1970; curata dallo studioso italiano Carlo Lancellotti (docente alla Staten Island University), l’edizione segue la raccolta di scritti delnociani pubblicata dallo stesso editore nel 2015 dal significativo titolo The crisis of modernity.
In effetti, a oltre venticinque anni dalla sua scomparsa, le intuizioni del pensatore piemontese – a detta di molti il più originale pensatore cattolico del XX secolo – mostrano una sorprendente attualità e vivezza, specie se vengono intese come chiavi per comprendere anche il nostro tempo. Di tutto ciò si è discusso di recente in un dibattito torinese (organizzato dalla Fondazione Centro Studi Augusto Del Noce e dal Centro Culturale Pier Giorgio Frassati) con gli interventi dello stesso Carlo Lacellotti e dei professori Giuseppe Riconda ed Enzo Randone.
Anzitutto, Del Noce ci offre gli strumenti per capire l’origine del fenomeno della secolarizzazione e del conseguente immanentismo, di molti fenomeni attuali, come la ‘rivoluzione’ sessuale, la bulimia dei diritti o lo strapotere delle tecnologie. Sia negli Usa sia in Europa tali fenomeni sono il frutto della cultura neoilluministica del secondo Novecento, in grado di scalzare, dopo il ’68, persino il marxismo e di aprire la strada ad un vero e proprio “nuovo totalitarismo”. Secondo Del Noce, infatti, l’idea “rivoluzionaria ha preso realtà nelle società tecnocratiche, secolarizzandole nella forma di totalitarismo, nelle società democratiche in quella di consumismo” (A. Del Noce, L’interpretazione transpolitica della storia contemporanea).
L’idea di fondo di Del Noce - secondo la quale nessun fenomeno storico è riconducibile solo a “cause” sociali o economiche, ma va ricondotto anche alle sue radici ideali e “transpolitiche” - rappresenta un’ipotesi feconda per capire proprio le conseguenze della secolarizzazione; peraltro, essa non è un fenomeno irrimediabile, né ineluttabile, ma piuttosto una delle possibilità della storia, per cui spetta agli uomini religiosi (ed in primis ai cattolici) farne emergere le contraddizioni e le aporie ed affermare la verità storica dei valori eterni ed immutabili.
Da questo punto di vista grande è l’importanza del pensiero: esso è chiamato a misurarsi oggi con le maggiori tematiche del nostro tempo (in particolare quelle legate alla globalizzazione, alla biotecnica e al terrorismo internazionale), in un contesto nel quale il materialismo - sotto le spoglie del relativismo - ha occupato gran parte della scena ed ha tentato di escludere la verità dalla storia; ma in ciascuno di questi ambiti, l’eclissi della verità apre la strada alla strumentalità (ed alla violenza) utilitaristica, secondo l’intuizione, già di Dostoevskij, per cui “se si nega Dio, tutto è possibile”. In questo senso la riscossa non può che avvenire sul piano religioso, riproponendo il senso della persona umana quale imago Dei ed il valore della verità nella storia.
Proprio per questo Del Noce ricorda a tutti il valore storico dell’idea di “provvidenza”, quale antitesi del nichilismo e della concezione deterministica della storia stessa. In questo senso grande è la responsabilità (anche in ambito politico) di questo tempo, in cui si stanno rivelando con chiarezza le conseguenze ultime, distruttive, della società “orizzontale” costruita dalle ideologie della modernità: la loro erosione, cioè la loro perdita di significato, ha portato il più delle volte non già a ritrovare la dimensione religiosa, ma a proporre nuove ideologie relativistiche e tecnocratiche (non meno invasive e violente di quelle del passato) a cui occorre opporsi con grande determinazione.
Per Del Noce, inoltre, la storia non è il regno della necessità, ma piuttosto della libertà, per cui spetta ad ogni generazione riprendere in mano il proprio destino recuperando proprio quella “verità”, che le ideologie hanno pervertito fino agli esiti ultimi del nichilismo. Da questo punto di vista nessuno può sottrarsi alla sua responsabilità, né “disertare” rispetto alla necessità di una continua conversione alla verità (G. Riconda) e conseguentemente ad un diuturno cambiamento di mentalità.
Altrettanto significative sono le intuizioni più strettamente “politiche” di Del Noce, capace di comprendere ben prima del 1989 la crisi irrimediabile del marxismo e dei diversi esperimenti comunisti, così come la debolezza del progressismo e la ricomprensione di quelle esperienze politiche e culturali nell’ambito del laicismo borghese, quello stesso laicismo che un tempo il marxismo fieramente avversava.
Scriveva così Del Noce: “Non occorreva davvero essere indovini: persa per strada l’utopia rivoluzionaria, [cioè il carattere] di surrogato religioso, è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto dell’illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata. Anche il comunismo all’europea, dunque, si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali. Anzi, si pone ora come obiettivo storico l’imborghesire nel modo peggiore quelle masse che voleva liberare dalla cultura e dall’oppressione borghesi” (La catastrofe della modernità, Intervista di V. Messori ad A. Del Noce, 1987).
Anche rispetto al compito storico dei cattolici l’insegnamento di Del Noce risulta vivacemente attuale: soprattutto laddove richiama l’importanza di una lettura “culturale” anche del contesto politico, e invita a cercare giudizi storici profondi (e perciò controcorrente…) sulla realtà e sulla stessa storia contemporanea. L’intuizione secondo cui “isolando la politica dalla religione, per i cattolici inizia una strada verso il suicidio” (Intervista di A. Banfi ad A. Del Noce, “Il Sabato”, 17-5-1987) fa comprendere l’importanza delle motivazioni di fondo anche dell’impegno politico e contesta radicalmente l’idea dell’assoluta autonomia della politica rispetto ai valori, nonché la possibilità di concepire l’agire politico, a tutti i livelli, come se dovesse essere sciolto da un impegno culturale. Tale affermazione ricorda pure che il disinteresse per la politica e il rifiuto di declinare in essa i princìpi della visione cristiana, contribuiscono a decretarne l’irrilevanza e la decadenza.
Augusto del Noce si definiva un “pensatore solitario” e per molti decenni è stato emarginato dalla cultura maggioritaria, sostanzialmente incompreso: l’interesse di cui è oggi oggetto (a cominciare dagli Stati Uniti) rende– almeno in parte – giustizia alla profondità delle sue intuizioni e all’acutezza delle sue riflessioni; e, al momento presente, ciò pare di buon auspicio.
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