Dall’Italia al Sudamerica, andata e ritorno
Emigrazioni – La fuga dal Brasile dei discendenti italiani. lo sbarco dei profughi sulle nostre coste. i piemontesi nel mondo in visita ad oropa
C’era una volta l’Italia. In milioni sono partiti quando in Piemonte si mangiavano patate e «profumo d’acciuga» e sul tavolo mancava tutto; a piedi, in bici, sulle «corriere» che violavano i bricchi, dall’Ossola a Cortemilia, con il paese nel cuore e il cuore in gola; sui bastimenti che lasciavano Genova in un tripudio triste di fazzoletti e foulard che sventolavano.
C’era una volta l’Italia e c’è per centomila africani, indocinesi, indiani, filippini sbarcati da gennaio nei porti che nessun altro in Europa apre a chi ha fame e a chi scappa da scontri e persecuzioni. C’era una volta l’Italia e non c’è più per migliaia di persone che non hanno visto l’alba e sono scomparsi nel mar Mediterraneo dei fantasmi. Le sfaccettature dell’immenso e continuo «esodo biblico» sono il film delle contraddizioni del mondo, dell’economia, nostre. È, di nuovo l’estate dei barconi, dei salvataggi. È di nuovo l’estate delle polemiche.
Ma intanto attorno allo splendido santuario di Oropa, tra la frescura che scivola giù dai monti ricoperti di alberi, i piemontesi che nel ‘900 si sono sparsi tra i continenti, tornano a casa. Sono argentini, sudafricani, australiani. Scendono lentamente le gradinate che fanno da corona alla Madonna Nera. Tra le nuvole di luglio rivivono la partenza, sessant’anni fa, ricordano le lacrime e l’ombra del distacco, il magone dell’addio.
Sono partiti perché non c’era lavoro, grande miseria come l’85 per cento (l’ha confermato il premier Gentiloni) di coloro che bussano alle nostre porte. Operai, artigiani, dirigenti che conoscevano soltanto il piemontese. Come Costanzo che nella periferia di Sidney ha ricominciato a vivere. Accolti con diffidenza, ieri come oggi? «Sì, è vero, ci guardavano a volte con sospetto. Eravamo stranieri, cercavamo lavoro e spesso anche loro. Non sapevano nulla di noi. Non sapevamo nulla di loro. Eppure io ho trovato chi mi ha insegnato l’inglese. Ho trovato chi mi ha fatto dormire in casa loro. Ho trovato chi, tra mille difficoltà, ci ha sorriso». Mario viene dal Sudafrica. C’è andato con la moglie, Angela, in cerca d’un futuro migliore. Ha costruito, come muratore, case, strade, dighe. Ora si stringe nelle spalle di soddisfazione. «Ci aveva preceduti la fama dei mafiosi, della delinquenza, della malavita. Non è stato facile. Il viaggio lungo, una terra sconosciuta».
Così anche per chi, esattamente come i genitori di Papa Francesco, hanno scelto, allora, l’Argentina, quella dove cent’anni fa hanno ucciso Vanzetti, quella delle dittature, delle madri di Plaza de Mayo, dei desaparecidos. Srotolano le fotografie sbiadite di una vita, gli stenti di giorni eterni, la quarantena, i controlli nei porti, i controlli sanitari.
Ma ora sono tutti integrati.
C’era una volta l’Italia. Ed è per questo che sono qui con «Ritorno ad Oropa dei Piemontesi nel mondo». Una grande idea della loro associazione, della Famija turineisa, della Regione Piemonte. «Per tutti i centomila che hanno deciso allora di espatriare», confermano, «il santuario è rimasto un punto di riferimento importante. Per questo il viaggio di ritorno ci porta qui, un luogo simbolico». Andata e ritorno: è così da secoli con una forte accelerazione tra fine Ottocento e Novecento. Allora come ora. Solo nell’ultimo anno centomila italiani hanno scelto di vivere all’estero. Sono soprattutto giovani preparati, intraprendenti, desiderosi di abbracciare nuove opportunità, conoscere altre culture, di arricchire il bagaglio di esperienze, costruendo nuovi rapporti.
Giovani, oggi come ieri. Hanno fatto (e fanno) di tutto: facchini, lustrascarpe, sarti, camerieri, ristoratori. Hanno portato la cultura, le tradizioni, il sorriso, l’accoglienza da Cordoba a Commodoro Rivadavia, da San Paolo a Santa Fe. Ma hanno trovato porte aperte, pur nella durezza delle condizioni economiche. È una bella lezione, la loro, discreta, senza proclami, una testimonianza vera che si unisce al grazie alla Madonna. Una testimonianza nei giorni in cui l’Europa dei codardi continua dire no e lascia all’Italia il fardello di un’accoglienza sempre più difficile, complessa, grande che provoca proteste dei sindaci, dubbi nella gente, cortei.
Una voce serena, la loro, che scava tra le pieghe dei sentimenti umani per capire cosa vuol dire migrare nel Ventunesimo secolo. Che significa vivere in bilico tra due culture, tra cervelli in fuga e cervelli in viaggio. E, naturalmente, non può mancare una finestra sul libro di Orsola Appendino e Giancarlo Libert sulla nonna del Papa, Nonna Rosa. È l’emigrazione di sempre che si miscela con sentimenti nuovi e valanghe di ricordi.
Ma c’è un altro fenomeno che sta crescendo in questi mesi, la grande fuga dal Sudamerica dei discendenti italiani.
C’era una volta l’Italia e c’è, di nuovo, anche per loro. Sono 300 mila gli oriundi che hanno chiesto il passaporto italiano. I picchi in Brasile, dove dilaga di nuovo la crisi economica, e il Venezuela, travagliato dai terremoti politici. Scappano dall’incertezza. Il boom nel 2001 in Argentina quando davanti all’ambasciata italiana a Buenos Aires venne allestita addirittura una tendopoli. Tornare: per nostalgia e per paura.
Il Venezuela ha ogni giorno marce di protesta contro il presidente Maduro con morti e feriti. Il Paese è in ginocchio. In tre anni la mortalità infantile è cresciuta del 30 per cento. Il Brasile sta attraversando il periodo di recessione più lungo della sua storia. Gli scandali, la corruzione politica e il crollo delle materie prime sono alla base della crisi.
Gli italiani all’estero sono 4.811.163, un grande popolo in cammino. Come quelli che, giorno dopo giorno stanno risalendo l’Africa, sognando l’egoistica Europa.
Migranti, immigrati, emigrati; jus soli o jus sanguinis; risorsa o fonte di polemica e di divisioni?
I profughi della terra sono quasi 66 milioni. Lo conferma l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Se formassero un paese, sarebbero il 21esimo stato più popoloso al mondo, dopo la Thailandia e appena prima del Regno Unito. A spingerli, sempre, guerra e povertà.
Anche per molti di loro: «C’era una volta l’Italia e c’è, nonostante tutto». Perché la Storia non si può fermare e non si fermerà!
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