Chiesa Ortodossa e Rivoluzione russa
Cento anni dopo la nascita dell'Unione Sovietica
«La notte sarà molto lunga e oscura» mormora sul letto di morte Tichon, patriarca della Russia, ricoverato in una clinica di Mosca dove spira il 7 aprile 1925. Intravede per i cristiani una stagione durissima sotto la dittatura comunista. La persecuzione annienta la Chiesa ortodossa russa e costringe i cristiani nelle catacombe.
La rivoluzione bolscevica ha tempi concitati. Il 7 novembre 1917 a Pietrogrado, con l’assalto al Palazzo d’Inverno (Ermitage), si infiamma l’insurrezione guidata da Lenin contro l’impero zarista. Il giorno dopo l’assemblea dei Soviet elegge Lenin presidente del Consiglio dei commissari del popolo. Il 2 dicembre a Brest-Litovsk in Bielorussia partono le trattative per la fine delle ostilità e si concludono il 3 marzo 1918 con la sconfitta della Russia e l'indipendenza di Finlandia, Polonia, Ucraina, Lettonia, Estonia, Lituania e Bielorussia. Il 7 dicembre 1917 gli Stati Uniti dichiarano guerra all’Impero austro-ungarico e il 26 dicembre la «Pravda» pubblica le tesi di Lenin sull’Assemblea costituente: è il trionfo dei Soviet.
Nel 1917 il Sinodo elegge patriarca Tichon (Vasilij Ivanovič Bellavin) di 117 milioni di ortodossi, 73 diocesi e 60 mila chiese. Tichon, in rapporti epistolari con Benedetto XV, tenta di resistere alla politica antireligiosa; condanna l’uccisione dello zar e le persecuzioni; denuncia la volontà dei bolscevichi di distruggere la Chiesa; protesta per la confisca dei beni ecclesiastici. Il 19 gennaio 1918 lancia la scomunica contro i bolscevichi: «La santa Chiesa di Cristo in terra russa attraversa una ben triste epoca: i nemici dichiarati o nascosti della verità di Cristo perseguitano questa verità. Ogni giorno giunge l'eco dì orribili e crudeli massacri di genti innocenti. Ritornate in voi stessi, insensati, cessate i massacri». Per tutta risposta è accusato di sabotaggio e incarcerato. Di fronte al pericolo dell’annientamento totale, il patriarca cede: secondo la più cupa tradizione sovietica, è costretto a fare autocritica, dichiara lealtà al regime, condanna la controrivoluzione.
Per secoli l’impero zarista dei Romanov odia la Chiesa di Roma; si proclama difensore degli ortodossi; lancia un programma panslavista; ingloba a forza i 25 milioni di cattolici di rito latino e uniati di rito orientale. Pietro il Grande nel 1712 abolisce il Patriarcato: è appena ricostituito quando nel 1917 l’impero zarista crolla e la Chiesa di Stato va in pezzi perseguitata dal Partito operaio comunista. Un decreto dei commissari del popolo del 23 luglio 1918 ordina la separazione tra Stato e Chiesa; considera la religione «relitto della società capitalistica»; cancella dalla vita pubblica ogni traccia religiosa; interdisce ogni forma di predicazione fuori delle chiese e l'educazione della gioventù; introduce il matrimonio civile; proibisce l'insegnamento religioso nelle scuole; incamera i beni ecclesiastici; sequestra chiese e sopprime monasteri.
Mai nella storia della Chiesa una persecuzione è così estesa nello spazio e nel tempo come quella ingaggiata dall’Urss nel XX secolo. Le persecuzioni dei primi tre secoli avevano un carattere locale e duravano qualche anno. Anche la terribile persecuzione di Diocleziano dura otto anni. La bandiera rossa brandita da masse inferocite inizia a garrire nel vento gelido della Russia.
Primo periodo (1917-1923) – I bolscevichi saccheggiano le chiese; giustiziano i metropoliti di Pietroburgo e Kiev, più di 80 vescovi e migliaia di sacerdoti, monaci e monache; migliaia languono nelle prigioni o sono deportati in Siberia e sul Mar Bianco. Nel 1921 una terribile carestia si abbatte: 20 milioni soffrono la fame, un milione muore. Il patriarca Tichon reagisce immediatamente e nell’agosto 1921 indirizza ai fedeli, ai patriarchi orientali, al Papa di Roma, all’arcivescovo di Canterbury e all’arcivescovo di New York un messaggio in cui chiede aiuti per gli affamati. I comunisti confiscano i beni ecclesiastici sotto il pretesto di aiutare le vittime.
Secondo periodo (1923-1933) – La polizia segreta tenta di provocare uno scisma nella Chiesa ortodossa. Il 21 gennaio 1924muore Lenin: gli succede Josif Stalin (Vissarionovič Džugašvili) che rafforza la dittatura. Domina per trent’anni sull’Urss e sui Paesi satelliti: dietro sue istruzioni la Cattedrale ortodossa di Mosca, intitolata a Cristo Salvatore, il 5 dicembre 1931 è fatta saltare in aria e ridotta in rovine.
Terzo periodo (1933-1953), anni del terrore - Nel 1937 ben 136.900 preti ortodossi sono arrestati e di essi 85.300 sono uccisi; 1938 arrestati 28.300, di cui 21.500 fucilati; 1939, arrestati 1.500 dei quali 900 fucilati; 1940 arrestasti 5.100 di cui 1.100 fucilati; 1941, 4.000 arrestati, 1.900 fucilati. Il 10 ottobre 1937 il metropolita Pietro, facente funzione di patriarca, è ucciso dopo 8 anni di prigione in isolamento. Sull’immenso territorio restano in piedi solo 1.277 chiese. Il presidente dell’Unione atei militanti annuncia che non ci sono più monasteri.
L’Unione Sovietica, sotto il tallone dell’ex seminarista «Stalin, uomo d’acciaio» occupa l’Europa centro-orientale, la Germania e Berlino Est. Il 5 marzo 1953 al Cremlino muore il tiranno: con deportazioni, purghe, carestie, lavori forzati stermina 20-60 milioni di persone. Gli esponenti dei partiti italiani di sinistra lo esaltano come un grand’uomo ed elogiano le repressioni di Mosca. Palmiro Togliatti «il migliore», segretario del Pci, durante la guerra partigiana è riparato in Russia ed è complice di Stalin perche non muove un dito per salvare i compagni dalle «purghe» e lo esalta come «gigante del pensiero e dell’azione: con il suo nome verrà chiamato il secolo intero». Sandro Pertini, capo socialista e futuro presidente della Repubblica lo commemora in Parlamento: «Ha terminato bene la sua giornata, anche se troppo presto. L’ultima sua parola è stata di pace. Si resta stupiti per la grandezza che la morte pone nella giusta luce. Uomini di ogni credo, amici e avversari, riconoscono l’immensa statura. È un gigante della storia e la sua memoria non conoscerà tramonto».
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