Anniversari: quella controversa idea di conflitto armato/1
Pedagogia religiosa e dottrina sulla guerra da parte cattolica durante il primo grande conflitto planetario
«Aiutaci nella guerra santa. Se anche il pane quotidiano scarseggia, donaci in abbondanza la morte del nemico. Non indurci nella tentazione di eseguire il tuo giudizio, nella nostra ira, in modo troppo mite! Tuo è il Regno, la terra tedesca: e mediante la tua mano d'acciaio, essa diventerà potenza e gloria!».
Cento anni fa Dietrich Vorwerk, specialista di pedagogia religiosa, nel «Padre nostro di guerra» - tratto dalla raccolta di canti guerreschi «Hurra und Halleluja» - tocca il culmine del fanatismo religioso-militarista. Il Protestantesimo tedesco vive la prima guerra mondiale con entusiasmo ed elabora una mistica guerresca intrisa di linguaggio cristiano. Il connubio fra trono germanico e pulpito luterano è molto stretto: la Riforma di Martin Lutero, al di là dei motivi religiosi ed ecclesiali, è protetta e fomentata dai principi tedeschi che spingono a separarsi da Roma e a fare del Luteranesimo una componente importante della coscienza nazionale. Il mito di Lutero come eroe tedesco è spesso criticato dalla propaganda cattolica; il IV centenario della Riforma protestante (1517-1917) cade nel bel mezzo della guerra e dell’unanimità bellicista che spera nella vittoria della Germania sulle potenze occidentali, decadenti e corrotte, nella convinzione che il popolo tedesco sia portatore di una missione universale di civiltà.
Gli altri belligeranti non si tirano indietro. Al di là della Manica risponde piccato re Giorgio V in un infiammato discorso alla Camera dei Comuni, nel giugno 1917, di fronte al generale John J. Pershing, comandante del corpo di spedizione statunitense: «La razza anglosassone deve salvare la civiltà» dalla barbarie germanica.
Ogni Paese tira il buon Dio per la giacca e vuole che il Papa benedica le proprie bandiere e proprie truppe. Il nazionalismo vince, non solo sul socialismo internazionalista, ma anche sul Cristianesimo universale: le Chiese europee (cattolici, ortodossi, protestanti) nei vari Paesi appoggiano l'ideologia nazionalista e guerrafondaia e si schierano con i rispettivi governi ed eserciti.
Cade sotto i colpi del nazionalismo anche la devozione cattolica al Sacro Cuore di Gesù: Benedetto XV la pensa per contrastare il flagello della guerra, con l'intento di favorire la mitezza, la misericordia e il perdono di cui il Cuore di Gesù è il culmine. Le Chiese nazionali interpretano tale devozione come garanzia di vittoria per il proprio esercito. L’imperatore d'Austria Francesco Giuseppe nel dicembre 1914 consacra la sua persona e la sua famiglia al Sacro Cuore per sconfiggere i nemici. Il 26 marzo 1917 si benedicono le bandiere di Belgio, Francia, Inghilterra, Italia, Russia, Romania, Serbia con lo scudo del Sacro Cuore: la cerimonia si svolge a Paray le Monial nella cappella della Visitazione, sopra le reliquie di Margherita Maria Alacoque, la mistica francese che nel Seicento aveva dato impulso al culto del Sacro Cuore. Il cardinale arcivescovo di Parigi Léon-Adolphe Amette consacra i soldati francesi al Sacro Cuore.
I Paesi nemici sono presentati come portatori delle peggiori corruzioni. La Chiesa francese pensa alla Germania come terra del Luteranesimo, capostipite di molti errori moderni, e ai tedeschi come portatori del paganesimo anti-latino e anti-cattolico. La Chiesa tedesca parla della Francia erede della Rivoluzione dalla quale deriva la dissoluzione della cristianità e Parigi è la Babilonia d'Occidente,.
In Italia il nazionalismo sembra meno bellicoso. Alcuni preti e vescovi guardano con favore alla cattolicissima Austria contro il laicismo francese o alla tradizione belgo-francese contro il Protestantesimo tedesco. I vescovi promuovono opere assistenziali ed esortano a obbedire al governo e a collaborare con le autorità. L’amore di Patria e la fede religiosa sono indivisibili, come riassume il prestigioso cardinale Pietro Maffi, arcivescovo di Pisa: «Prima si poteva discutere, dopo si potrà di nuovo discutere: ora bisogna fare il dovere verso la Patria». Mons. Giuseppe Giustiniani, vescovo di Sorrento, scrive: «Concordi nel volere la guerra che Dio ha voluto, che l'autorità legittima ha ordinato a inviare i nostri cari più intimi a prestare l'opera loro, a rendere sempre più grande e gloriosa l'Italia nostra». Mons. Giovanni Battista Ricci, arcivescovo di Ancona, aggiunge: «Poiché gli uomini al governo della Nazione hanno giudicata necessaria la guerra, noi dobbiamo cooperare per il conseguimento dei fini nei quali è racchiusa l’integrità e la dignità della Patria».
Il cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy compone una «preghiera alla Consolata pei nostri soldati in guerra»: invoca conforto ma anche «coraggio e ardore»; sottolinea in loro l’intreccio tra amore di Patria e devozione alla Madonna; si appella – come Benedetto XV – a Gesù «re della pace e Dio delle vittorie» (delle armi italiane); si rivolge a Maria perché interceda presso Gesù; invoca la consolazione delle madri angosciate per la sorte dei figli; affida le speranze a Gesù «re della pace»: «Maria, dite per noi una parola a Gesù; e Gesù ci guarderà con occhio di amore; e noi gusteremo le dolcezze della benedizione di Gesù, che è il Dio delle vittorie, il Re della pace». E conclude: «Santi di Casa Savoia, pregate per il vostro figlio e nostro re: conduca egli l’Italia a una pace gloriosa e duratura». Nella lettera pastorale per la Quaresima 1915 Richelmy parla delle «tristi circostanze della guerra e delle funzioni religiose indicate dal Papa»; segnala «il dovere dell’ora presente: penitenza ed espiazione»; sostiene che «la fede insegna a conoscere nel peccato la sorgente della disgrazie e a credere che Dio possa trarre dal male il bene»; invita «ad abbandonare le false massime del mondo per seguire i dettami del Vangelo»; condanna «la corruzione dei costumi e l’immoralità della stampa»; invita a sostenere il quotidiano cattolico «Il momento».
Si fa propaganda patriottica ai funerali dei caduti; si prega per la vittoria; dopo la vittoria italiana, il 9 novembre 1918 in tutte le chiese si canta il «Te Deum».
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