Padre Lombardi: "Io e i 'miei' tre Papi"
Intervista – parla il gesuita piemontese per dieci anni portavoce della Santa Sede, stretto collaboratore di Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio
Dopo essere stato stretto collaboratore di tre Papi, dieci anni come portavoce della Santa Sede e ventisei alla guida della Radio vaticana, può raccontare con grande fraternità e il giusto distacco dalle cose terrene i tanti anni vissuti intensamente, di vita ordinaria della Chiesa e in Vaticano, i viaggi apostolici degli ultimi tre Papi in ogni angolo del mondo. Descrivere come è cambiata la realtà della comunicazione.
Padre Federico Lombardi è un prete buono, ha uno sguardo che rasserena. Una parola per tutti, un sorriso e un incoraggiamento per coloro che lo avvicinano alla fine della sua conferenza. Un piemontese al tempo stesso loquace e riservato, sereno e diplomatico, uno spirito libero e coraggioso, animato dalla Parola di Dio. Padre Lombardi è originario di Saluzzo, nipote del celebre gesuita Riccardo, conosciuto come «il microfono di Dio» al tempo di Pio XII, e del famoso giurista cattolico Gabrio. Oggi si avvicina ai 75 anni e a Torino è di casa. All’Ucid, nella sede di Corso Palestro, dentro la casa degli Artigianelli del Murialdo, ha tenuto una brillante conferenza sul tema «La Voce dei tre Papi». Gli abbiamo rivolto alcune domande, alle quali padre Federico ha risposto riprendendo alcune delle bellissime riflessioni rivolte ad una platea attenta e partecipe.
Dall’alto della sua esperienza, quali saranno le frontiere della comunicazione in futuro?
Al di là dei mezzi e dei supporti che mutano, e di cui non possiamo non tener conto per non perdere il contatto con il mondo, la comunicazione deve primariamente creare unità, fraternità, relazioni, bene. La cronaca fa vendere i giornali, ma sono tante le notizie positive nel campo della cultura e dell’impegno sociale che elevano, si contrappongono alle ‘bufale’, ai discorsi d’odio, ai tentativi di creare conflitto, e possono costruire una società migliore. Dunque comunicare vuol dire unire e non dividere, favorire la comprensione e non l’odio; ricercare la verità, non dare false informazioni, comunicare le cose positive e non dare troppo risalto al male, perché l’amore è più forte del male. E guardare al bello, all’arte e alla bellezza che elevano lo spirito.
Le è mai capitato di valutare insieme con uno dei Papi con i quali ha collaborato gli esiti del suo comunicare?
Sì. Come già si faceva con Giovanni Paolo II, dopo ogni viaggio il Papa incontrava i collaboratori che si occupavano di comunicazione per fare il punto su com'era andata. Eravamo il Papa, io, il direttore dell'«Osservatore Romano», un responsabile per la radio. E Benedetto ci sollecitava: «Dite. dite...». Lui voleva rifletterci, la sua disponibilità c'era, ma sapeva anche cosa fare e cosa no. Le veglie con i giovani: non amava gli applausi, che lo interrompevano nel filo del discorso che stava facendo. Giovanni Paolo II e ancor di più Francesco, invece, vivono del dialogo. Tu dici una cosa, chi ascolta reagisce; anzi, loro provocano una reazione, che è una cosa bellissima. Ma Benedetto no: voleva esprimere il suo pensiero. E ne valeva la pena.
Durante i viaggi, nei lunghi tragitti in aereo le interviste con i giornalisti sono diventate un momento fondamentale nella comunicazione…
Avevo elaborato il metodo che mi pareva più adatto a Benedetto XVI: cioè il chiedere prima delle domande per selezionarne le più interessanti. Non per censura: non ho mai cancellato le domande più difficili; però sceglievo quelle che potevano interessare di più a tutti i giornalisti, non quelle particolari tipo «Ma lei verrà nel mio paese?». Gliele dicevo prima ma non è che lui si preoccupasse: era bravissimo, semmai, a raccogliere le idee a esprimerle. Per cui in un quarto d'ora Benedetto rispondeva a cinque domande e forniva una quantità di concetti densi, ricchi, precisi. Mai una sbavatura, tranne in un caso. Una volta gli è sfuggita l'espressione che il preservativo peggiora la diffusione dell'Aids, durante il viaggio in Camerun e Angola, nel 2009, e quel «peggiora» fu un disastro. Con Francesco è tutto diverso. Lui non vuole mediazioni, vuole che i giornalisti, che sono donne e uomini con i loro dubbi, pensieri, valori si esprimano liberamente. Poi li saluta tutti, gli chiede delle loro famiglie, c’è un rapporto davvero molto intenso.
Giovanni Paolo II, un santo, un grande maestro di fede e di vita, apostolo di Gesù Cristo nel mondo…
Ricordo due cose che mi avevano profondamente toccato. La sua autorevolezza nel parlare ai popoli: in occasione dei suoi viaggi, aveva la capacità di entrare nella storia, nella cultura, nello spirito delle diverse nazioni a cominciare naturalmente dalla sua Polonia. Lavorando alla Radio Vaticana, che ha sempre cercato di essere multilinguistica, multiculturale, aperta alle differenze e alle varietà delle culture, mi coinvolgeva moltissimo. E poi la sua fede profonda, che si manifestava nei momenti di preghiera personale, raccolto e forte anche in mezzo alla grande confusione, alle grandi attese dei viaggi che svolgeva. Si capiva che c’era un rapporto personale con Dio al centro della sua vita, della sua attenzione, del suo servizio. In questo senso la sua canonizzazione ha corrisposto a una testimonianza di vita nella fede molto chiara. Per quanto straordinarie, non sono quindi tanto le opere di Giovanni Paolo II ad attirare oggi la nostra attenzione, quanto la loro sorgente spirituale, la sua fede, la sua speranza, la sua carità. Le opere sono da ammirare proprio perché sono espressione della profondità e dell’autenticità del suo rapporto con Dio, del suo amore per Cristo e per tutte le persone umane, a cominciare dai poveri e i deboli; del suo tenero rapporto filiale con la Madre di Gesù.
Benedetto XVI, un Papa di cui solo la storia rivelerà la grandezza…
Benedetto è stato il Papa del card. Bergoglio, e da lui ha ricevuto tutto il rispetto e l’affetto che ogni credente, in particolare ogni cardinale che è legato da una particolare vicinanza di fedeltà e di servizio al Papa, deve avere. Tutto questo non è certo venuto meno con l’avvicendamento, tra loro è rimasto un rapporto spirituale profondo; sono assolutamente convinto che esista una profonda confidenza, fiducia e legame fra due persone di fede. L’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI non lo riesco a definire drammatico, perché era una decisione presa con totale responsabilità e quindi anche con serenità di fronte a Dio. Lo sgomento è una sensazione che non ho assolutamente mai avuto. Del resto chi era vicino al Papa, negli ultimi mesi prima della rinuncia, si era reso conto che si sentiva giunto al limite delle sue possibilità per uno svolgimento pieno del suo servizio, Benedetto XVI ha fatto diventare reale quella che era semplicemente una possibilità. Con questo ha aperto una strada che può essere eventualmente percorsa dai suoi successori.
Papa Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo…
Tutti sono molto colpiti dall’aspetto della comunicazione di Papa Francesco. Lui è molto spontaneo e direi che è un aspetto di carattere carismatico che lui possiede e che gli viene dal rapporto diretto, coltivato per decenni, come pastore di una grandissima diocesi. Non è quindi il frutto di un calcolo fatto a tavolino o di uno studio particolarmente complesso fatto da esperti. E’ l’essere sincero, libero, aperto di un pastore che incontra il popolo di Dio senza barriere, con una capacità di rivolgersi al cuore e alla mente di ognuno. Tutto questo attira una gratitudine profonda da parte di persone che sentono il bisogno di avere una testimonianza, un messaggio, una presenza che manifesti chiaramente attenzione, amore, solidarietà Quando il Signore chiama ad assumere un compito, una responsabilità, un determinato servizio dà anche la grazia necessaria, le forze umane e spirituali particolari per poterlo fare. Questo, con Papa Francesco, è assolutamente chiaro e caratteristico. Lui è stato eletto Papa già ad una certa età, quando stava preparandosi alle dimissioni anche da arcivescovo di Buenos Aires e quindi non aveva davanti prospettive di un impegno immenso, incredibile da un punto di vista delle responsabilità e delle energie. E più di una volta ho avuto modo di domandargli, nel corso dei lunghi viaggi apostolici segnati da un grande dispendio di energie, dove trovasse la forza per svolgere il ministero petrino con tanto slancio ed entusiasmo, anche in situazioni molto impegnative sotto il profilo fisico.
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