Mons. Romero, la beatificazione a maggio, 35 anni dopo l'uccisione
Il 23 maggio a San Salvador il solenne rito
Dicono che la sera del 24 marzo 1980, quando ammazzarono Romero, nei quartieri-bene dell’oligarchia salvadoregna si festeggiò a spumante la morte del «bastardo prete comunista». In quelle giornate El diario de hoy, giornale della destra oligarchica, invitava i lettori a celebrare con musica e rulli di tamburi Romero ormai «nel suo nuovo pulpito, visibile solo alle anime, dal quale debutta la sua voce toccata dalla Luce Perpetua». Il giorno del suo funerale ampi striscioni appesi sulla facciata della cattedrale dai militanti delle organizzazioni di sinistra vietavano l’ingresso agli «yankee», ai membri della giunta di governo e ai vescovi “nemici”. Nella piazza gremita di gente a un certo punto esplose una bomba carta, cominciarono a sibilare proiettili vaganti, si scatenò il panico e decine di persone morirono schiacciate dalla folla atterrita che cercava rifugio in chiesa, dove i cori che intonavano el pueblo unido jamàs serà vencido si mescolavano ai canti perla Vergine santissima. Le esequie furono interrotte, e il corpo dell’arcivescovo fu tumulato nella cripta in fretta e furia.
Trentacinque anni dopo, Papa Francesco vince resistenze e sabotaggi più o meno occulti e su suo impulsola Congregazioneper le cause dei santi preden atto del dato – di per sè abbastanza evidente - che l’assassinio di un vescovo trucidato sull’altare mentre celebrava messa rappresenta un atto compiuto in odium fidei. Romero verrà beatificato come martire a San Salvador, il prossimo 23 maggio. Nella sua eliminazione violenta si erano rese evidenti tutte le faglie di odio e divisione che dividevano allora i cuori del piccolo Paese centroamericano, e anche della Chiesa salvadoregna. Adesso, la sua elevazione all’onore degli altari avviene nell’omaggio unanime tributato al vescovo martire da tutti i settori - politici e ecclesiali – salvadoregni.
Le ferite incancrenite di quegli anni sembrano - almeno in parte - guarite. Ma non si fanno i santi per chiudere i conti col passato, o per concedere riconoscimenti “riparatori” alla memoria ecclesialmente maltrattata di uomini e donne che hanno sofferto per la fede. Sela Chiesariconosce oggi martire Romero, lo fa perchè Romero ha molto da dire ai cristiani del tempo presente. E anche a quelli di domani.
Per cogliere il tesoro sempre attuale suggeritoci dalla vicenda di Romero conviene guardare al suo profilo reale - messo in luce anche dalle ricerche dello storico Roberto Morozzo della Rocca - e liberarsi dagli stereotipi di opposta fattura che hanno sempre assediato tante narrazioni sul vescovo martire. Si scoprirà che Romero c’entra poco con lo stereotipo dei preti guerriglieri della Iglesia popular che in quegli anni talvolta scambiavano rivoluzione e avvento del regno di Dio. Lui rimane per tutta la vita un prete qualunque della sua generazione. Un prete che ha studiato a Roma negli anni di Pio XI e Pio XII, e fino alla fine prenderà «coraggio apostolico» inginocchiandosi presso la tomba di Pietro e dei suoi successori, ogni volta che gli capita di tornare nella Città eterna (l’ultima sarà due mesi prima di essere ucciso). Da parroco e poi da vescovo non fa altro che pregare e far catechismo, confessa per ore. La sua fede si nutre fino agli ultimi giorni delle pratiche di devozione più tradizionali: rosario, Via Crucis, visite al SSmo Sacramento. Segue cordialmente la linea indicata da Paolo VI e dal Concilio Vaticano II, e realizza senza reticenze le riforme conciliari. E anche davanti alla feroce repressione attuata da esercito e gruppi paramilitari per conto dell’oligarchia, Romero non fa altro che applicare al mattatoio salvadoregno di quegli anni gli insegnamenti di Sant’Ambrogio e dei Padri della Chiesa. Quelli per cui l’oppresione del povero e la frode del salario agli operai «gridano vendetta al cospetto di Dio».
La sua denuncia del blocco di potere che strangolava il suo popolo sgorgava dal cuore della Tradizione della Chiesa. Anche per questo irritava gli ecclesiastici avvezzi a spacciare per fedeltà a tale Tradizione le proprie preferenze politiche di destra.
Il maggiore Roberto D’Abuisson, indicato come il mandante ideologico dell’assassinio di Romero, andava in televisione a spiegare che «Questi comunisti vestiti da preti hanno organizzato una cosa che si chiama Chiesa popolare, che non è la nostra Chiesa del Vaticano,la Chiesache è guidata dal Papa,la Chiesain cui noi crediamo». Oggi, negli anni di Papa Francesco,la Chiesaindica a modello il Vescovo martire. Anche per ribadire che la predilezione per i poveri non è un “nuovismo” teologico o l’effetto di qualche infatuazione sociologica, ma è la scelta stessa di Dio.
Dicono che la sera del24 marzo 1980, quando ammazzarono Romero, nei quartieri-bene dell’oligarchia salvadoregna si festeggiò a spumante la morte del «bastardo prete comunista». Mentre nel giorno del suo funerale ampi striscioni appesi sulla facciata della cattedrale dai militanti delle organizzazioni di sinistra vietavano l’ingresso agli «yankee», ai membri della giunta di governo e ai vescovi “nemici”.
Trentacinque anni dopo, Papa Francesco vince resistenze e sabotaggi più o meno occulti e su suo impulsola Congregazioneper le cause dei santi preden atto del dato – di per sè abbastanza evidente - che l’assassinio di un vescovo trucidato sull’altare mentre celebrava messa rappresenta un atto compiuto in odium fidei. Romero verrà beatificato come martire a San Salvador, il prossimo 23 maggio. Nella sua eliminazione violenta si erano rese evidenti tutte le faglie di odio che dividevano allora il piccolo Paese centroamericano. Adesso, la sua elevazione all’onore degli altari avviene nell’omaggio unanime tributato al vescovo martire da tutti i settori - politici e ecclesiali – salvadoregni.
Le ferite di quegli anni sembrano - almeno in parte - guarite. Ma non si fanno i santi per chiudere i conti col passato, o per concedere riconoscimenti “riparatori” alla memoria ecclesialmente maltrattata di uomini e donne che hanno sofferto per la fede. Sela Chiesariconosce oggi martire Romero, lo fa perchè Romero ha molto da dire ai cristiani del tempo presente. E anche a quelli di domani.
Per cogliere il tesoro sempre attuale suggeritoci dalla vicenda di Romero conviene guardare al suo profilo reale - messo in luce anche dalle ricerche dello storico Roberto Morozzo della Rocca - e liberarsi dagli stereotipi di opposta fattura che hanno sempre assediato tante narrazioni sul vescovo martire. Si scoprirà che Romero c’entra poco con lo stereotipo dei preti guerriglieri della Iglesia popular che in quegli anni talvolta scambiavano rivoluzione e avvento del regno di Dio. Lui rimane per tutta la vita un prete qualunque della sua generazione. Un prete che fino alla fine prenderà «coraggio apostolico» inginocchiandosi presso la tomba di Pietro e dei suoi successori, ogni volta che gli capita di tornare nella Città Eterna (l’ultima sarà due mesi prima di essere ucciso). Da parroco e poi da vescovo non fa altro che pregare e far catechismo, confessa per ore. Segue e applica cordialmente la linea indicata da Paolo VI e dal Concilio Vaticano II. E anche davanti alla feroce repressione attuata da esercito e gruppi paramilitari per conto dell’oligarchia, Romero non fa altro che applicare al mattatoio salvadoregno di quegli anni gli insegnamenti di Sant’Ambrogio e dei Padri della Chiesa. Quelli per cui l’oppressione del povero e la frode del salario agli operai «gridano vendetta al cospetto di Dio».
La sua denuncia del blocco di potere che strangolava il suo popolo sgorgava dal cuore della Tradizione della Chiesa. Anche per questo irritava gli ecclesiastici avvezzi a spacciare per fedeltà a tale Tradizione le proprie preferenze politiche di destra.
Il maggiore Roberto D’Abuisson, indicato come il mandante ideologico dell’assassinio di Romero, andava dicendo a quei tempi che «Questi comunisti vestiti da preti hanno organizzato una cosa che si chiama Chiesa popolare, che non è la nostra Chiesa del Vaticano, la Chiesa che è guidata dal Papa, la Chiesa in cui noi crediamo». Oggi, la Chiesa indica a modello il Vescovo martire. Anche per ribadire che la predilezione per i poveri non è un “nuovismo” teologico o l’effetto di qualche infatuazione sociologica, ma è la scelta stessa di Dio.
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